La richiesta di ingresso nella NATO da parte di Finlandia e Svezia è un evento di importanza storica per l’Alleanza e per l’intero panorama internazionale. Se le aspettative su una reazione negativa da parte del presidente russo Vladimir Putin sono state parzialmente deluse, una dura opposizione all’allargamento della NATO è arrivata invece proprio da un membro dell’Alleanza: la Turchia. In seguito all’annuncio dei due Paesi scandinavi, il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan ha annunciato di non avere una posizione positiva in merito all’ingresso di Svezia e Finlandia. Sebbene il giorno successivo il portavoce presidenziale, Ibrahim Kalın, abbia corretto il tiro, dichiarando in un’intervista alla Reuters che la Turchia non intende chiudere la porta ai negoziati, il presidente ha continuato a ribadire il proprio veto alle richieste di adesione svedese e finlandese.
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Le ragioni dichiarate del no all’ingresso dei paesi scandinavi
Le ragioni ufficiali di questa posizione, come ampiamente argomentato sia da Erdoğan che da Kalın, risiederebbero nel fatto che i due paesi scandinavi sarebbero dei “santuari di gruppi terroristici”, ossia ospiterebbero e sosterrebbero attivamente membri del PKK (Partito dei Lavoratori del Kurdistan), membri del YPG (Unità di Protezione Popolare) ed esiliati afferenti a FETÖ (acronimo che indica la presunta rete di affiliati all’imam Fetullah Gülen, accusato del tentato golpe del 2016). Pertanto, motivi di sicurezza nazionale indurrebbero la Turchia a respingere l’allargamento in questo senso, a meno che Svezia e Finlandia non siano pronte ad assecondare le rivendicazioni di Ankara. Tra di esse vi sono, ad esempio, la richiesta di estradizione di almeno 30 presunti terroristi curdi e gülenisti e la fine dell’embargo di armi imposto nel 2019 dai due Paesi in seguito all’intervento militare turco contro i curdi nel nord della Siria.
I rapporti con Helsinki, comunque, sembrano progredire, come dichiarato domenica scorsa dal ministro degli Esteri turco Mevlüt Çavuşoğlu e confermato dall’annuncio di Erdoğan di colloqui telefonici con la Finlandia. Quelli con Stoccolma, invece, restano ancora tesi. In merito a ciò pesa molto l’attivismo svedese nei confronti della causa curda. L’attuale governo non ha mai nascosto le proprie simpatie nei confronti della leadership curdo-siriana, tanto che il primo ministro Ann Linde ne avrebbe più volte incontrato uno dei maggiori rappresentanti, Ilham Ahmed, presidente esecutivo del Consiglio Democratico Siriano, legato al YPG.
Ankara vuole negoziare con Washington
Secondo alcuni analisti, all’incontro NATO dei ministri degli Esteri di domenica 15 maggio, Çavuşoğlu avrebbe avanzato la pretesa che Svezia e Finlandia riconoscano pubblicamente il legame tra il YPG e il PKK. Tale associazione per i turchi è di fondamentale importanza, dal momento che il PKK è considerato un’organizzazione terroristica da Stati Uniti ed Unione Europea, mentre il YPG è il principale alleato degli americani nella lotta contro lo Stato Islamico. La questione sollevata da Ankara, dunque, non riguarda soltanto l’allargamento ai Paesi scandinavi, ma chiama in causa direttamente gli Stati Uniti, con i quali le relazioni si sono raffreddate a partire dal 2015. In questo senso, le dichiarazioni di Erdoğan di lunedì 16 maggio, per cui svedesi e finlandesi possono non disturbarsi a inviare delegati ad Ankara, vanno lette come un segnale agli Stati Uniti: Erdoğan vuole negoziare direttamente con gli americani.
I precedenti veti turchi nella NATO
Non è la prima volta, in realtà, che i turchi si mettono di traverso all’interno dell’Alleanza. Nel 2009, ad esempio, posero il veto all’elezione di Anders Fogh Rasmussen, ex primo ministro danese, come Segretario Generale della NATO per aver difeso il quotidiano Jylland-Posten nella polemica per la pubblicazione delle vignette satiriche che raffiguravano il profeta Maometto. Inoltre, la Turchia pretendeva la chiusura della Roj-TV, televisione pro-curda con sede in Danimarca.
Nel 2019, poi, la Turchia sospese i piani di difesa per i Baltici e la Polonia, ancora una volta ponendo l’attenzione sul dovere della NATO di riconoscere il YPG come una minaccia terroristica e in difesa della Turchia.
La prima crisi fu superata solo grazie all’intervento dell’allora presidente americano Barack Obama e inoltre nel 2010 una corte danese chiuse effettivamente il canale filo-curdo per aver violato le leggi nazionali anti-terrorismo. Nel secondo caso, per ottenere il benestare di Ankara, fu concessa alla Turchia una maggiore rappresentanza nell’Alleanza.
Più scenari di crisi, un solo negoziato: linkage alla turca
Erdoğan, quindi, ha utilizzato e continua a utilizzare il proprio diritto di veto nella NATO per perseguire i propri interessi politici e strategici. E questa volta la posta in gioco è ancora più alta: non si tratta infatti soltanto della questione dei rapporti con Svezia e Finlandia sulla questione curda, ma anche di questioni militari legate all’espulsione della Turchia dal programma degli F-35 e del congelamento, da parte del Congresso americano, della richiesta di kit per l’ammodernamento della flotta di F-16 già in possesso di Ankara.
Sia il Segretario Generale della NATO, Jens Stoltenberg, sia il Consigliere alla Sicurezza Nazionale americano, Jake Sullivan, hanno usato toni accomodanti rispetto al veto turco. Il primo ha sottolineato che nei negoziati verranno tenuti in considerazione gli interessi alla sicurezza di tutti gli alleati, mentre il secondo ha garantito la mediazione americana per raggiungere una soluzione.
In questo contesto, giovedì 19 maggio Çavuşoğlu si è recato a New York per incontrare il Segretario di Stato americano Anthony Blinken. Al termine del colloquio, è stata diffusa una dichiarazione congiunta sulla volontà reciproca di approfondire i rapporti turco-americani attraverso la cooperazione su più ambiti e un maggiore dialogo. Inoltre, Çavuşoğlu ha affermato che anche i negoziati per ottenere i kit di modernizzazione della flotta di F-16 hanno preso una “traiettoria positiva”. Secondo Bloomberg News, poi, rappresentanti turchi avrebbero rivelato all’emittente americana che è in corso un tentativo turco di riammissione nel programma F-35.
Erdoğan, dunque, dimostra non solo di anteporre la sicurezza nazionale alla sicurezza collettiva dell’alleanza, ma anche di servirsi del proprio diritto di veto per ottenere vantaggi unilaterali in altri ambiti. Una strategia degna del cosiddetto linkage, ossia il metodo utilizzato dall’amministrazione Nixon e sponsorizzato da Henry Kissinger negli anni ’70, tale da creare un collegamento tra eventi diversi per accrescere il vantaggio comparato al tavolo dei negoziati. Nel caso in cui, poi, ulteriori richieste del governo turco venissero accolte, soprattutto in merito alla questione curda, Erdoğan massimizzerebbe i benefici nell’ambito che gli interessa più di tutti, ossia la politica interna. Il suo consenso, infatti, è attualmente ai minimi storici e in vista delle elezioni del 2023 i successi in politica estera potrebbero fargli recuperare gli elettori perduti.