“Si è appena concluso un vertice di svolta con i capi di Stato e di governo della NATO. Abbiamo preso decisioni di vasta portata per adattare la nostra Alleanza per il futuro”. Queste le parole del Segretario Generale Jens Stoltenberg durante la conferenza stampa conclusiva del vertice di Madrid. Un vertice dove, attraverso le decisioni prese, la NATO si è proiettata verso il 2030. Per saperne di più, abbiamo intervistato l’Ambasciatore Francesco Talò, Rappresentante permanente della delegazione italiana alla NATO.
Riproponiamo l’intervista all’Ambasciatore Francesco Talò del luglio 2022, in occasione della sua nomina a consigliere diplomatico della Presidente del Consiglio Giorgia Meloni.
Ambasciatore la ringraziamo per la sua disponibilità. Per iniziare vorrei tornare un po’ più indietro nel tempo. È possibile dire che la famosa intervista che Macron ha rilasciato al The Economist nel 2019 sia servita come spinta alla NATO per arrivare dove è oggi?
Direi di sì, poi però ci sono stati altri avvenimenti importanti. Diciamo che quella di Macron è stata una provocazione utile perché subito dopo quell’intervista abbiamo avuto il vertice di Londra, nel dicembre del 2019, dove si è deciso di reagire con un’iniziativa forte, ossia quella di costituire un gruppo di riflessione composto da 10 persone tra le quali c’era la nostra Marta Dassù. Da lì è partito quel processo che ha portato al lancio dell’agenda NATO2030, al vertice di Bruxelles del giugno dello scorso anno e all’approvazione del nuovo Concetto Strategico che forse è stato il risultato tangibile più importante del vertice di Madrid di pochi giorni fa.
Il vertice di Madrid è stato considerato da tutti come un momento storico e di cambiamento per l’Alleanza Atlantica. Lei cosa ne pensa?
L’aggettivo storico è spesso un po’ abusato ma in questa circostanza probabilmente è giustificato perché effettivamente di vertici così articolati, complessi e importanti non ce ne sono stati nonostante negli ultimi anni ci siamo incontrati spesso. Basti pensare che solo nel 2022 ci sono stati tre vertici – il che, tra le altre cose, smentisce quella diagnosi della morte cerebrale della NATO.
Soprattutto, il vertice di Madrid è stato importante per una serie di motivi tra cui l’adozione del nuovo Concetto Strategico – cosa che accade più o meno ogni dieci anni e che sostituisce quello approvato a Lisbona nel 2010 –, l’inizio di un processo che porterà ad un nuovo allargamento dell’Alleanza con l’entrata di Finlandia e Svezia; il rafforzamento della postura nel Fianco Est; la presenza per la prima volta dei partner dell’Indo-Pacifico (Australia, Corea del Sud, Giappone e Nuova Zelanda); la grande spinta verso il Fianco Sud e l’attenzione per le grandi sfide “orizzontali”, innovazione tecnologica e cambiamento climatico su tutte. Tutto ciò è stato un grande segnale di vitalità e di consapevolezza dei tempi che cambiano, il che richiede un forte impegno ma allo stesso tempo dimostra l’importanza della NATO.
A proposito di Finlandia e Svezia, la NATO tornerà ad allargarsi. Quanto è importante il loro ingresso all’interno dell’Alleanza?
È importante per la NATO ma allo stesso tempo è importante per questi paesi. Va ricordato che sono paesi che da tempo hanno un rapporto molto stretto con l’Alleanza. Erano considerati “partner rafforzati” che però se ne stavano tranquillamente fuori ad una porta che era aperta. Lo scorso autunno, insieme ai colleghi del Consiglio Atlantico e con il Segretario Generale Stoltenberg siamo andati ad Helsinki e a Stoccolma dove abbiamo avuto una serie di incontri con i vertici politici dei due paesi e tutti ci dicevano che erano contenti di questo loro rapporto con la NATO. Tutto però è cambiato dopo il 24 febbraio – con l’aggressione russa all’Ucraina – tramite una spinta dal basso, e questo è importante sottolinearlo. Non è stato come ai tempi del Patto di Varsavia quando i paesi venivano inglobati con forza bensì è stata una volontà nazionale per un’esigenza di sentirsi più sicuri sotto l’ombrello della NATO.
Questi due paesi hanno la particolarità di essere molto maturi e pronti sotto tanti aspetti, in primo luogo quello democratico e di adesione ai nostri stessi valori, e poi di essere già da molti anni stati membri dell’Unione Europea, di essere dei paesi avanzati e forti dal punto di vista dell’innovazione. Sono tutti fattori che li rendono – come si suol dire – dei contributori netti di sicurezza. E’ un vantaggio per la NATO oltre che un elemento di rassicurazione per quei paesi stessi e per i paesi della loro regione, in particolare per i nostri alleati del Nord Est. Ci tengo anche a sottolineare che durante la cerimonia della firma dei protocolli di adesione di Finlandia e Svezia – alla quale ho partecipato incontrando i loro ministri degli Esteri – questi ultimi hanno confermato la loro piena adesione all’approccio a 360° gradi dell’Alleanza. È vero che sono due paesi nordici ma sono profondamente convinti di voler adottare un approccio ampio che tenga conto delle minacce e delle sfide che provengono dal Sud. In effetti, hanno anche una grande tradizione nei rapporti con il Sud globale, ad esempio per quanto riguarda la cooperazione allo sviluppo ma non solo.
Passando alla Russia, crede sia ancora possibile il dialogo con Mosca?
Innanzitutto, adesso servirebbe un tipo di atteggiamento completamente diverso da parte della Russia. Per noi rimane importante la prospettiva – un giorno – di riprendere il dialogo con Mosca. L’Italia ha sempre sostenuto una politica di doppio binario per la quale la componente del dialogo è molto importante. Ma confrontarsi con la Russia di oggi è impossibile. Loro stessi hanno rifiutato più volte un vero dialogo di fronte a tanti nostri tentativi in tal senso prima che avvenisse l’aggressione. Qualora la Russia dimostrasse finalmente di rispettare in pieno le norme del diritto internazionale allora potrebbe esserci una possibilità di dialogo costruttivo tra la NATO e Mosca. Prima o poi speriamo che ci si arrivi, non possiamo trovarci in una situazione di solo contrasto con un paese così importante. Bisogna, però, che Mosca cambi il suo approccio.
Inevitabilmente il focus principale del nuovo Concetto Strategico è sulla Russia ma per la prima volta all’interno di tale documento si fa esplicito riferimento alla Cina. C’è un consenso alleato generale sul ruolo giocato da Pechino nello scenario internazionale? Cosa rappresenta la Cina per la NATO?
Questa è la dimostrazione della capacità della NATO di adattarsi al mutevole contesto securitario e proprio per questo era necessario avere un nuovo Concetto Strategico, quello del 2010 non rispecchiava più lo scenario internazionale degli ultimi anni. Dicevo prima che uno degli elementi più distintivi e importanti del vertice di Madrid è stata proprio la partecipazione dei partner dell’Indo-Pacifico. Questa cosa, abbinata al fatto che nel nuovo Concetto Strategico si dedichi attenzione alla Cina, è un altro dei fattori importanti che hanno caratterizzato questo vertice.
Come lei ha giustamente ricordato, infatti, nel precedente documento strategico la Cina non veniva menzionata neanche una volta. Visti i tempi, non si poteva non dedicare attenzione alla Cina. Averlo fatto significa prendere atto di un mondo che cambia, un mondo in cui la Cina ha assunto un peso importante. Tuttavia, vorrei sottolineare che questa maggiore attenzione nei confronti di Pechino non significa che la NATO inizierà ad operare nell’Asia Orientale. La Cina è ormai una potenza globale che si sta avvicinando sempre di più a noi e ciò impone una maggiore attenzione alle sfide che ne derivano, sia geopolitiche – basti pensare alla presenza cinese in Africa o nel Mediterraneo – ma anche tematiche come, ad esempio, la necessità di mantenere il vantaggio tecnologico. Ciononostante, la NATO è e rimane un’Alleanza regionale e comunque la Cina non viene considerata un avversario.
Ambasciatore, lei ha citato l’importanza di preservare il vantaggio tecnologico. Il vertice di Madrid può essere considerato un punto di svolta per questo tipo di sfida?
Certamente. Il vertice è stato senza dubbio un punto di svolta perché ha sancito la partenza definitiva dell’iniziativa chiamata DIANA (Defence Innovation Accelerator for the North Atlantic) – acronimo che fra l’altro ho inventato io – già lanciata al vertice di Bruxelles e che si focalizzerà su quelle deep technologies che l’Alleanza ha individuato come prioritarie: intelligenza artificiale, big-data, tecnologie quantistiche, autonomia e biotecnologie. Ma non solo, gli alleati hanno anche approvato la decisione di dotarsi di un NATO Innovation Fund – con un investimento di 1 miliardo per i prossimi 15 anni – che cercherà di facilitare una più stretta cooperazione con le imprese impegnate nel settore dello sviluppo tecnologico. Si tratta di un qualcosa di completamente nuovo perché l’Alleanza fino ad ora non aveva mai portato avanti iniziative di venture capital a beneficio delle start-up. Questo mi pare uno sviluppo molto importante che mi ricorda l’esperienza israeliana: non a caso Israele viene chiamata proprio la start-up nation.
L’Italia come ne esce dal Summit?
L’Italia ne esce molto bene in circostanze che all’apparenza potevano sembrare difficili e complicate perché inevitabilmente l’aggressione all’Ucraina ha riportato una grande attenzione al Fianco Est e all’aspetto di deterrenza e difesa. Dunque, si poteva pensare che si sarebbe data meno importanza agli altri due core task: gestione e prevenzione delle crisi e sicurezza cooperativa. Invece così non è stato. C’è stata grande attenzione al rafforzamento della difesa e della deterrenza ma allo stesso tempo ormai è sancito e accettato al 100% da tutti l’approccio a 360° che è quello che l’Italia ha sostenuto per prima. Ciò è perché le sfide che vengono del Sud riguardano tutti quanti: così come noi siamo attenti all’Est i paesi dell’Est sono attenti al Sud dove, tra l’altro, è presente anche la Russia. In generale credo che bisognerebbe smetterla di parlare di una contrapposizione tra Sud e Est, è una visione un po’ localistica che un paese come il nostro non si può permettere perché deve avere una visione ampia.
Comunque, se a ciò aggiungiamo quelle sfide orizzontali che ho ricordato precedentemente – che valgono per l’Italia così come per gli altri paesi – e che dovranno fungere da pungolo per il nostro sistema paese, abbiamo ottenuto ottimi risultati. L’Italia cresce dentro la NATO e crescerà in assoluto perché più innovazione e più attenzione agli aspetti ambientali vuol dire un’Italia che crescerà meglio anche al suo interno. In questo contesto, vorrei ricordare un’altra tematica importante che è quella della resilienza che si è dimostrata, anche con la pandemia, una necessità fondamentale per le nostre società. L’Italia ha sicuramente dimostrato di essere resiliente.
Ultima domanda. Che tipo di ruolo ha giocato la delegazione italiana nel percorso verso questo vertice?
Il ruolo della delegazione è il ruolo dell’Italia. Noi rappresentiamo la Repubblica in tutte le sue articolazioni; naturalmente particolarmente importanti sono le componenti diplomatiche e militari che sono fortemente integrate. Credo che abbiamo contribuito, forse un po’ più che per 1/30, al successo del vertice. Quello che importa però è la squadra che vince, ossia l’Italia e non tanto la delegazione o i singoli componenti. Siamo orgogliosi di far parte di questa squadra e di rappresentare l’Italia. Siamo orgogliosi del lavoro e dell’impegno dei nostri militari, un impegno sottolineato da tutti all’interno della NATO. A tal proposito, pochi giorni fa sono stato in Kosovo e durante un incontro, la Presidente Vjosa Osmani mi ha ribadito quanto siano contenti della presenza ultraventennale dei militari italiani nel loro paese. Queste sono le cose che ci fanno piacere e noi diamo semplicemente un sostegno. Inoltre, cerchiamo di promuovere nuove iniziative e di essere sempre propositivi. Ad esempio, il convengo sulla correlazione tra cambiamento climatico e sicurezza – organizzato da noi quasi tre anni fa – è stato un nostro successo perché in quel momento quasi nessuno ne parlava e invece vediamo adesso come il tema sia diventato dominante e di particolare importanza.