Le relazioni tra Russia ed Israele hanno sempre avuto una via preferenziale in Medio Oriente e oggi più che mai tale rapporto è necessario alla stabilità di un Mediterraneo sempre più instabile.
Il recente accordo tra Israele, Emirati Arabi e Bahrain, il già noto “Accordo di Abramo”, siglato il 15 agosto scorso a Washington sotto l’egida dell’Amministrazione Trump ha ricevuto, come è ovvio, pareri discordanti dai vari attori della comunità internazionale. Se da una parte alcuni paesi arabi, tra i quali l’Arabia Saudita, hanno espresso il proprio sostegno in chiave anti-iraniana, dall’altra Teheran in primis ha fermamente condannato questo documento, definendolo un “vergognoso” atto di aggressione; stessa cosa dicasi per la Turchia, il Pakistan e la Palestina le quali hanno pubblicamente rinnegato l’Accordo.
Più cauta invece è stata, fino ad ora, la Russia, la quale ha accolto positivamente tale inaspettato mutamento, sottolineando però al Primo ministro Netanyahu di non perseguire al progetto di annessione delle colonie israeliane nella West Bank, sulle alture del Golan e soprattutto di evitare le continue escalation di tensione con la vicina Siria, fedele alleata della Russia.
Il richiamo di Putin all’amico Netanyahu, così come riportato dal “Time of Israel” il 24 agosto 2020, riporta in auge il lungo rapporto di questa “strana” amicizia tra Mosca e Tel Aviv, fatta di “accortezze” diplomatiche, collaborazioni di ricerca medica e militare, ma anche di sgarbi e di crisi che a partire dal 2000, anno di inizio del ventennio putiniano, e poi dal 2009, primo anno del decennio Netanyahu hanno caratterizzato le relazioni tra i due paesi.
Il fil rouge russo – israeliano
Le vicende politiche interne ed internazionali di Mosca e Tel Aviv sono da sempre accomunate da un unico fil rouge che accompagna la loro esistenza fin dalla nascita della dottrina sionista di Herzl e dalla rivoluzione bolscevica; ma questa, pur essendo un’altra storia, è fondamentale non solo all’esistenza stessa dello stato di Israele, alla sua storia, alla sua politica finanche alla sua società, quanto – soprattutto – al reciproco riconoscimento dei due paesi come attori internazionali e protagonisti delle vicende mediorientali ed internazionali.
E’ importante sottolineare e ricordare come lo Stato di Israele, fin dalla sua fondazione, è stata una terra di immigrati, provenienti dai territori della Polonia, della Romania, dell’Ungheria, ma soprattutto dalla Russia. Il flusso delle aliyot, che venne ripreso poi solo a partire dagli anni’80, ha fatto sì che in questi ultimi quarant’anni la popolazione israeliana venisse costituita da quasi 1.5 milioni di cittadini di origine russa o parlanti russo in famiglia – su una popolazione di 8 milioni e 600 abitanti – provenienti soprattutto dalle piccole comunità ebraiche russe, facendo così salire Israele al terzo posto tra i paesi con il più alto tasso di cittadini russofoni. Nell’ultimo quinquennio però, si è assistito ad un processo singolarmente opposto: la popolazione israeliana in Russia ha superato quota 100mila, con una presenza di circa 80 mila cittadini israeliani nella sola Mosca.
La forte presenza israeliana nella Federazione è stata possibile non solo dalla vicinanza di Vladimir Putin nei confronti del popolo ebraico – egli ha più volte raccontato di essere stato accudito da una famiglia ebrea nei suoi primi anni di vita a Leningrado – ma anche dal consistente numero di comunità ebraiche presenti in tutta la Russia, finanche dalla nota (e fallimentare) realtà dell’Oblast autonomo ebraico, creato da Stalin nel 1934, nell’estremo oriente russo.
Secondo la FCJR (Federation of Jewish Community of Russia) la popolazione ebraica in Russia si aggirerebbe attorno al milione di abitanti. Sebbene le stime siano piuttosto esagerate, il numero di cittadini di origine ebraica rimane elevato se si pensa che, secondo il censimento del 2010, il 3% dei russi è di origine ebraica.
I russi in Israele
Andando oltre la questione culturale squisitamente kosher è fondamentale ricordare come, per la Cristianità ortodossa, Gerusalemme, con il suo quartiere russo e la Cattedrale della Santissima trinità, rappresenti una meta di pellegrinaggio per i fedeli russi. Nel paese si contano oggi circa 300 mila cittadini russi ben integrati all’interno della società e soprattutto della politica. La maggioranza dell’elettorato russofono infatti, di cui gli haredim, gli ebrei ultraortodossi, sono la fetta più consistente, viene rappresentato dal partito conservatore Yisrael Beitenu, il cui leader Avigdor Lieberman, ex cittadino sovietico, ha ricoperto fino al 2018 la carica di ministro della difesa.
Proprio il settore della difesa e della cooperazione militare è stato, da sempre, un interessante (oltreché necessario) punto di incontro tra i due paesi e, talvolta, terreno di scontro. Un confronto politico-militare emerso nell’ultimo quinquennio, che ha avuto una maggiore enfasi dopo l’intervento militare russo in Siria e che è stato giocato in modi differenti da Russia e Israele.
I due paesi infatti hanno sempre avuto degli atteggiamenti “ambigui” di fronte alle sfide interne ed internazionali. Un esempio significativo è stato l’abbattimento di un Ilyushin I-20 russo nel settembre 2018 da parte dell’aviazione israeliana intenta a neutralizzare obiettivi di Hezbollah in territorio siriano. In quella occasione si è assistito ad un deterioramento dei rapporti diplomatici tra i due paesi, al punto da costringere i russi a dispiegare il sistema missilistico S-300 verso Israele. Dall’altra parte però, spesso e volentieri, Tel Aviv ha riservato un occhio di riguardo verso Mosca, specialmente per alcuni episodi particolarmente gravi, come il tentativo di assassinio della spia Sergei Skripal e della figlia Julia, avvenuto a Salisbury nel marzo 2018, di cui sono stati accusati agenti del FSB. Allora Tel Aviv sosteneva la tesi dell’innocenza del Cremlino, rifiutandosi di espellere diplomatici russi così come fatto da alcuni paesi occidentali.
E come dimenticare le presunte interferenze russe, avanzate dal partito di opposizione “Blu Bianco” di Gantz, alle elezioni israeliane del 4 aprile 2019. In quella occasione il Cremlino consegnò i resti di Zachariah Baumel, un giovane soldato dell’IDF perito in Siria negli anni’80 ed ivi ritrovato dalle truppe russe, come “dono” per la politica adottata da Netanyahu di commemorare, ogni 9 maggio, le vite dei soldati ebrei che hanno combattuto nell’Armata rossa durante la Grande guerra patriottica.
Un partenariato fondamentale
Le relazioni russo – israeliane vanno ad incastrarsi perfettamente all’interno dello scacchiere geopolitico mediorientale, specie all’indomani dell’Accordo del 15 agosto. I due paesi hanno avviato da qualche anno delle partnerships in materia economica e militare. Dando uno sguardo ai numeri dell’import/export, nel 2018 la Russia ha esportato in Israele l’equivalente di quasi 2 miliardi di Dollari in beni petroliferi, idrocarburi e generi alimentari, contro i 764 milioni di dollari di import da Israele. Per quanto riguarda invece l’ambito militare è importante ricordare che, a partire dal 2010, i due paesi hanno siglato e rinnovato un patto di cooperazione nello sviluppo di tecnologie militari ed aerospaziali. Nel 2015 Mosca ha acquistato un droni per un valore complessivo di 300 milioni di dollari. . Ma non solo. Con il mondo in piena crisi pandemica, alla ricerca spasmodica di un vaccino , un team congiunto russo israeliano hanno condotto, in Agosto, dei test su un potenziale vaccino anti Covid, ricevendo il plauso di parte della Comunità scientifica internazionale. Il rapporto tra Mosca e Tel Aviv è, dunque, fondamentale alla stabilità stessa della regione.
Questi partenariati in ambito di difesa, economico e, in ultima istanza, anche sanitario rientrano di buon grado in quella strategia politico – militare che, nell’ultimo quinquennio, ha visto un consistente aumento della partecipazione militare moscovita nella regione. Tale presenza è rivolta non soltanto al tentativo russo di imporsi sempre di più nello scenario politico ed economico mediorientale, ma anche come attore ed interlocutore strategico e militare, sostitutivo a Washington. Beninteso, sia l’Amministrazione Trump, quanto quella precedente di Obama hanno solo apparentemente “allentato la corda” nella regione, con il ritiro di gran parte delle proprie truppe dall’Iraq e con la labile presenza militare in Siria. Ma basti pensare all’omicidio del generale Qasem Soleimani del gennaio scorso o al programma di politica estera del candidato Joe Biden e ci si rende conto di come la Russia, avrà difficoltà nel ritagliarsi partenariati militari con altri attori della regione che non siano la Siria e l’Iran. .
Emanuele Pipitone,
Geopolitica.info