Europeismo convinto e convincente: questa la risorsa di Maia Sandu che le ha permesso, lo scorso 15 novembre, di vincere le elezioni presidenziali della Repubblica di Moldavia contro l’ex Presidente socialista Igor Dodov. Lo scarto, inaspettato, tra il 57,7% ed il 42,2% del secondo turno rappresenta la possibilità di un rinnovamento che, dalla voce della vincitrice, passa per riforme strutturali e implementazione dello stato di diritto. Queste prefigurano nuove opportunità per rilanciare gli interessi di rinascita del paese e collimarli con quelli europei. Tuttavia, sembra difficile che questo coincida con un vero e proprio abbandono della conciliazione politica e strategica con Mosca, a cui gli interessi economici garantiscono ancora spazi di azione.
La Moldavia è una Repubblica parlamentare che però da pochi anni prevede l’elezione diretta del capo dello Stato affidando al Presidente un compito strategico: egli è il simbolo dell’unità e della sovranità statale ma in Moldavia ciò implica un significativo potere politico per mezzo del diritto di veto sulle proposte di legge.
Il nuovo corso elettorale
La neoeletta Presidentessa del Partito dell’Azione e della Solidarietà aveva già convinto il 36 % degli elettori al primo turno. Rispetto alle elezioni parlamentari del 2019, Maia Sandu porta il partito ad una maggiore forza in Parlamento. I collegi elettorali registrano un passaggio di costituencies grazie al quale il PAS ha piuttosto sostituito la leadership dell’ex presidente Dodon nelle aree urbane, per cui decisivo si è dimostrato l’endorsement di Renato Usatîi, guida del Partito Nostru, arrivato terzo con il 17% di voti. Igor Dodon, invece, sembra essere aver incrementato i suoi consensi nelle aree rurali in precedenza tendenzialmente a sostegno dell’oligarca Vladimir Plahotniuc, ora perseguito dalla magistratura per frode.
La pandemia se da un lato può aver ridotto la partecipazione elettorale al 45% e 55%, rispettivamente del primo e secondo turno, ha dall’altro rafforzato il senso di identità nazionale all’estero, da dove i moldavi hanno determinato i risultati delle ultime elezioni. Infatti, il 92% dei votanti dall’Europa e l’81% dall’oltreoceano hanno espresso la loro preferenza per l’economista. Le code di attesa davanti alle urne che raggiungevano tempi di 5 o 6 ore in paesi come Germania, Regno Unito e Italia, non hanno fermato la grande affluenza. Essa riflette una nuova sensibilità circa il futuro del paese nonché il desiderio di rompere con un isolazionismo così distante da un’Europa tanto vicina.
A pesare è stata inoltre la preoccupazione economica legata all’emergenza. Sarà perciò fondamentale, per il mantenimento della fiducia elettorale, rinvigorire una bilancia dei pagamenti fra le più deboli del continente (il 20% della quota del PIL si basa sulle rimesse degli emigrati) oltre a ridurre l’elevato tasso di corruzione e sfidare un’élite oligarchica dal forte potere politico. Tali azioni sono chiare dal 2015, quando Maya Sandu assunse la carica di Ministro dell’Istruzione, settore dove la corruzione dilaga, e soprattutto nel 2019, quando da Primo Ministro ha proposto le dimissioni del vertice dell’Istituto nazionale di giustizia. A seguito di queste rivendicazioni ed in particolare con la proposta di una legge anticorruzione, nel giugno, il suo ruolo di premier fu sfiduciato dalla maggioranza, formata dal movimento europeista Acum, dal partito democratico di Plahotniuc, e dal Partito socialista di Dodon.
Passato e futuro di una svolta politica
La consolidata prassi politica di connivenza fra i vari partiti di centro sinistra con il partito socialista volta a contrastare l’entrata in gioco di nuovi partiti che minacciano lo status quo come il PAS, offre un ulteriore elemento di analisi di queste elezioni in chiave rivoluzionaria. La tendenza assunta dai partiti centristi, infatti, sottintende concordati intra-partitici in cui il ruolo giocato dal bene comune del paese e dalle istanze ideologiche sono tanto marginali quanto retorici. La strategia adottata è stata quella di inglobare liberali e conservatori, con metodi e comportamenti condannati come non-democratici, nel tentativo di monopolizzare la presa sui sentimenti filoccidentali, formalizzarne la rappresentanza nel Parlamentul Republicii Moldova e soddisfare interessi personalistici grazie ai privilegi istituzionali.
Inoltre, in contrasto con l’instabilità post-elettorale di Bielorussia, Kirghizistan e Georgia, la Moldavia sembra dar prova che alcuni risultati sono stati raggiunti nell’ultimo ventennio in termini di democratizzazione. Il dualismo primordiale ed insito anche nella competizione elettorale dell’anno in corso, legato alle diverse inclinazioni dei due candidati, l’uno filorusso l’altro filoeuropeo, rimanda alle contestazioni di risultati delle elezioni presidenziali del 2009, che avevano visto primeggiare il comunista Voronin, trascinando centinaia di manifestanti ad arresti, pestaggi, forme di tortura e degradazione. La polarizzazione permise alle istanze comuniste e le autorità moscovite di condannare l’Occidente quale propulsore delle manifestazioni volte ad un colpo di stato, giustificando così le violazioni dei diritti umani commesse. Anche il caos politico che seguì alle elezioni dello scorso anno può dirsi superato? Tale constatazione deriverebbe, oltre che in ragione del calmo e promettente clima postelettorale, anche a partire dalle promesse da parte dell’opposizione circa l’impegno per la costruzione di un percorso all’insegna del bene del paese ed immune alle influenze geopolitiche. Anche la leadership europea ed il presidente russo hanno fornito alla neoeletta pieno supporto politico, nonostante Putin aveva pochi giorni prima esplicitato sostegno a Dodon (il quale dichiarò che il rapporto con Mosca avrebbe portato il beneficio di uno sconto del 12% sul gas importato in caso di rielezione). Il cambio di rotta putiniano combacia con la tradizionale strategia realista e degli obiettivi geopolitici che ambiscono a consolidarsi in una rete priva di matrice ideologica.
L’impegno di Maia Sandu, tuttavia, si muove in direzione opposta: rimettere al centro la Moldavia per una popolazione che, sin dalla proclamazione dell’indipendenza, è stata costretta a emigrare per le gravose condizioni economiche e sociali. A tale proposito, il suo partito prevede di infondere fiducia nelle istituzioni nazionali, garantendone l’efficienza e la separazione dei poteri.
Recenti promesse o antiche risorse?
La Moldavia è un paese isolato, piccolo e stretto fra l’influenza turca, l’espansionismo occidentale, le brame egemoniche russe e l’instabilità ucraina ma a renderne un motivo di interesse geopolitico è la Transnistria, un lembo di terra confinante con l’Ucraina e che sembra conservare, nella retorica dell’identità nazionale, le promesse di fedeltà al socialismo tra politica, urbanistica, e simbologia.
Essa ha ottenuto un’indipendenza de facto dopo la guerra del 1992, grazie al sostegno militare russo già presente nell’area, ma non è riconosciuta che da Ossezia del Sud, Nagorno Karabakh e Abcasia, a loro volta non riconosciute internazionalmente. Il conflitto seguì a vari tentativi diplomatici di autodeterminazione ed indipendenza in risposta alle istanze nazionalistiche moldave del 1990 e poi alla Dichiarazione di Indipendenza dell’agosto 1991 percepita come minaccia all’identità transnistriana. La popolazione divisa di maggioranza russa, moldavi ed ucraini, non vedendo più assicurata quella stabilità insita nell’equilibrio interetnico tutelato dall’ URSS, intraprese con spirito la guerra, ma le conseguenti dinamiche politiche rendono il malcontento latente.
Con i successi in Crimea, Mosca sperava e otteneva di determinare un appoggio alle popolazioni russofile della regione e questo può aver creato tumulti nelle aree politicamente o linguisticamente filorusse, come dimostrano le istanze indipendentiste nel Luhans’k e Donec’k. Questi eventi influirono anche su Tiraspol, sede del governo della Transnistria, il quale chiese l’annessione alla Federazione russa. Essa finanzia circa il 95% del suo budget, anche grazie all’annullamento dei debiti per la fornitura di gas di cui è chiamata a rispondere la Moldavia per mezzo della strategia di non riconoscimento russa. Neppure il Trattato di amicizia e di cooperazione tra la Moldavia e la Federazione Russa del 2001, statuendo il rispetto dei principi di diritto internazionale e la condanna reciproca di ogni movimento separatista, ha impedito a Putin di consolidare pressioni ed influenza.
Rispetto al 2001, il progressivo indebolimento dei leader comunisti moldavi sfociò nello storico compromesso fra Voronin ed il Blocco Democratico Moldavo che firmarono, nel 2007, la “Dichiarazione riguardante il partenariato politico per una futura integrazione della Repubblica di Moldavia nell’UE”. Con la formalizzazione dell’entrata nell’UE della Romania dello stesso anno, i confini dell’Unione arrivavano alla Moldavia, in un crescendo di interesse per Transnistria, in termini di risoluzione delle dispute. Grazie al declino del partito comunista, la Moldavia si è inserita dunque su un doppio binario di cooperazione sia con Europa che con Russia. Nella dichiarazione parlamentare del 2013 si esprime chiaramente, infatti, la volontà di intraprendere un percorso di dialogo democratico al fine di prevenire ogni ipotesi di insicurezza e tensione militare, presupposto per l’estensione dell’Accordo di Associazione e di Libero Scambio con l’Unione Europea alla Transistria, già valido per la Moldavia dall’anno precedente.
Non manca la consapevolezza dell’importanza geopolitica, economica e commerciale dei rapporti con la Russia, che attraverso l’influenza sulla Transnistria, assicura approvvigionamento energetico alla Moldavia. Se i legami con l’ex madre patria non hanno mai raggiunto i livelli e il fascino che la prospettiva di un ingresso nell’Unione Europea infonde nell’opinione pubblica, un Cremlino dall’influenza geopolitica in ascesa, continuerà ad impedire che le istituzioni europee consolidino il proprio soft power.
Così, la possibilità di intraprendere un percorso politico univoco dipenderà dalla capacità di sviluppare una politica interna coerente con le attuali promesse, che contempli le problematiche economiche, e dal ristabilimento della fiducia verso le istituzioni. Le dinamiche interne della Moldavia decideranno sulla posizione strategica del paese in un quadro di interazioni politiche, economiche e culturali complesso entro cui non si potrà scegliere senza compromessi, all’interno ed all’esterno di un paese in via di rinascita.
Celeste Luciano
Geopolitica.info