Nel corso del summit della Shangai Cooperation Organization a Samarcanda del 15-16 settembre scorso, si è tenuto un incontro bilaterale tra il premier indiano, Narendra Modi, e il Presidente della Federazione Russa, Vladimir Putin. Nel corso di tale incontro, il premier Modi ha manifestato esplicitamente la sua insoddisfazione per la situazione in Ucraina affermando che “questa non è un’era di guerra” e che democrazia, diplomazia e dialogo sono le cose che uniscono il mondo.
Le parole di Modi sono state riprese il 27 settembre scorso dal Ministro degli Esteri indiano, Subrahmanyam Jaishankar, nel corso di una conferenza stampa congiunta con il Segretario di Stato americano, Antony Blinken, a Washington. Parlando della guerra in Ucraina e delle sue conseguenze sul prezzo del gas e del petrolio, il diplomatico indiano ha affermato che l’obiettivo deve essere quello di stabilizzare l’economia globale e far si che questa continui ad essere “un’era di sviluppo, prosperità e progresso”.
Le critiche di Modi a Putin sono state molto apprezzate dai leader e politici in occidente: il Presidente francese, Emmanuel Macron, le ha riprese nel suo intervento all’Assemblea Generale dell’ONU e il National Security Adviser statunitense, Jake Sullivan, ha sottolineato l’apprezzamento degli Stati Uniti. In precedenza, invece, i paesi occidentali avevano mostrato forte insoddisfazione per il rifiuto indiano di appoggiare le sanzioni alla Russia e per l’acquisto di petrolio russo da parte di Nuova Delhi.
Il vertice di Samarcanda, quindi, ha segnato un cambio di rotta nella politica estera indiana nei confronti della Russia?
I più ottimisti, probabilmente, saranno rimasti delusi quando, lo scorso 30 settembre, al Consiglio di Sicurezza dell’ONU, l’India (così come Cina, Gabon e Brasile) si è astenuta sulla risoluzione di condanna delle recenti annessioni della Russia in Ucraina presentata dagli Stati Uniti: pur ribadendo il rispetto del diritto internazionale e, in particolare, della sovranità e integrità territoriale di tutti gli Stati, l’ambasciatrice indiana ha argomentato che una escalation di retorica e tensioni non è nell’interesse di nessuno. Allo stesso modo, una decisione Indiana di cessare acquisti di petrolio dalla Russia non è stata presa in considerazione da Nuova Delhi. Come infatti esposto dal Ministro degli Esteri indiano nel corso della conferenza sopra menzionata, l’India non ha molte alternative che acquistare il petrolio russo scontato “quando il prezzo del petrolio ci sta spezzando la schiena”.
Nuova Delhi, in realtà, continua a cercare un bilanciamento tra Mosca e Washington e che questo equilibrismo stia funzionando è testimoniato dal fatto che il Messico ha proposto che l’India faccia parte, insieme alla Santa Sede e all’ONU, di un comitato che faciliti un negoziato tra Russia e Ucraina.
Ciononostante, qualcosa sta cambiando nelle relazioni russo-indiane e a prescindere dal conflitto ucraino. L’India è stata tradizionalmente molto legata (e, quindi, anche dipendente) alla Russia/Unione Sovietica in termini di forniture militari, complice l’embargo statunitense sulle armi imposto all’indomani della guerra col Pakistan del 1965, il successivo conflitto del 1971 e l’asse tra Stati Uniti, Repubblica Popolare Cinese e Pakistan concretizzatosi durante la presidenza Nixon.
Gradualmente ma costantemente, l’India sta cercando di ridurre questa dipendenza, diversificando le fonti e, soprattutto, favorendo lo sviluppo e la produzione domestica. Nel perseguimento di questo obiettivo, l’occidente gioca un ruolo chiave. Lo scorso settembre, ad esempio, il Pentagono ha confermato che India e Stati Uniti collaboreranno per lo sviluppo e la produzione di droni in India. La settimana scorsa, invece, la Svezia ha annunciato che nel 2024 avvierà in India la produzione di sistemi d’arma Carl-Gustav Saab.
Anche in questo caso, tuttavia, l’euforia occidentale deve essere raffreddata. Il “disaccoppiamento” tra India e Russia, sul piano militare, è ancora in evoluzione. Solo qualche settimana fa, infatti, il Ministero della Difesa indiano ha firmato un contratto con la joint venture russo-indiana BrahMos Aerospace per la fornitura di missili da crociera supersonici.
Sebbene il trend nel lungo periodo possa essere quello di uno spostamento verso Washington, osservabile nelle sempre più frequenti esercitazioni militari tra India, Stati Uniti e altri partner di Washington, così come anche nel campo economico (sono in corso di negoziazione accordi di libero scambio con Unione Europea e Regno Unito e l’India è parte del progetto statunitense dell’Indo-Pacific Economic Framework) e diplomatico (Francia e Stati Uniti appoggiano la riforma del Consiglio di Sicurezza ONU che attribuisca all’India un seggio permanente), nel breve periodo Nuova Delhi continuerà a coltivare buone relazioni tanto con Mosca quanto con Washington.
Un messaggio in tal senso potrebbe cogliersi nelle ripetute dichiarazioni di scontento manifestate dai diplomatici indiani, incluso il Ministro degli esteri Jaishankar nel corso della già menzionata conferenza stampa con Blinken, con riguardo al pacchetto di aiuti militari da 450 milioni di dollari, promesso da Washington ad Islamabad, per la manutenzione della flotta di F-16. Le continue proteste indiane, infatti, sembrano voler anche segnalare agli americani che, se gli Stati Uniti possono cooperare contemporaneamente con India e Pakistan, così anche l’India può fare lo stesso con Stati Uniti e Russia.
Il motivo di questo spostamento verso occidente dell’India è da rinvenirsi nell’evoluzione dei rapporti tra Cina e India e tra Russia e Cina. Storicamente, la politica estera indiana è stata condizionata dalle relazioni con Pechino. Ne è prova il fatto che nel 1971 Indira Gandhi accettò di firmare il Trattato di Pace, Amicizia e Cooperazione con i sovietici, rinunciando alla neutralità, quando si materializzò l’asse Cina-USA-Pakistan in funzione antisovietica ma ostile anche all’India. Nell’ultimo decennio però si è osservata una crescente cooperazione tra Russia e Cina, parallelamente ad un incremento dell’assertività cinese nel suo vicinato, in particolare, per quanto qui ci riguarda, il confine Himalayano con l’India: si pensi allo standoff nel Doklam del 2017 e gli scontri del giugno 2020 nella valle di Galwan (solo in queste settimane è stato completato il ritiro di contingenti militari dal confine nel Ladakh che, però, non risolve l’annosa questione del confine tra i due paesi). La combinazione di questi fattori ha spinto con più determinazione l’India verso gli Stati Uniti.
Nel futuro, quindi, più Russia e Cina si allineeranno e più la Cina dovesse mostrarsi aggressiva nel suo “estero vicino”, maggiore sarà il cambio di rotta di Nuova Delhi da Mosca verso Washington. Quello che si osserva ora è l’India che si sta preparando per questo scenario che, tuttavia, si augura non si avveri.