Nel dicembre del 2010 le proteste popolari contro il presidente Ben Ali portarono alla nascita della Repubblica Tunisina. Da quel momento in avanti, la nuova repubblica ha saputo contenere le rivendicazioni delle fasce più integraliste della popolazione, bilanciate con l’apertura democratica.
Tuttavia, dal 2020, la Tunisia è vittima di una grave crisi istituzionale, manifestata con la decisione del Presidente della Repubblica Kais Saied di sospendere l’attività parlamentare per trenta giorni, revocare il premier Hichem Mechichi e l’immunità parlamentare. Questa instabilità non ha quindi consentito di adottare le riforme necessarie.
Il Paese non riesce a far fronte alla crisi economica e sanitaria innescata dalla pandemia Covid-19. Inoltre, esso detiene il tasso di mortalità più elevato dell’Africa e del mondo arabo, ha a disposizione poche riserve di ossigeno per i reparti di terapia intensiva e non rientra tra i principali paesi destinatari dei vaccini, avendo ricevuto poche dosi in relazione alla propria popolazione.
Il coprifuoco e il divieto di assembramenti non si stanno dimostrando sufficienti per contrastare il contagio e ciò ha acuito la già rilevante crisi economica. Le difficoltà della classe politica sono determinate dallo stallo decisionale all’interno del Parlamento, a seguito delle elezioni politiche del 2019, che hanno attribuito ad ogni partito non più di un quarto dei seggi, determinando quindi una paralisi dell’attività parlamentare. La frammentazione politica sta comportando ritardi nella gestione della crisi economica e sanitaria, e un peggioramento delle condizioni di vita dei cittadini tunisini.
La crisi politica è inoltre accentuata dall’opposizione del Presidente della Repubblica Saied a conferire l’autorizzazione per la formazione di un governo di larghe intese, creato a seguito delle elezioni del 2019. Nonostante Saied abbia legittimamente fatto ricorso all’articolo 80 della Costituzione, secondo cui lo stesso Presidente può agire di sua iniziativa in caso di pericolo imminente per la democrazia, sussistono dubbi sulle possibilità di consolidamento della democrazia tunisina. L’Italia, più delle altre nazioni, data la vicinanza, è chiamata a fare tutto il necessario per stabilizzare la situazione, che rischia di far sorgere una nuova crisi migratoria proprio dinnanzi alle sue coste.
Un’importante svolta verso la sostanziale parità tra i sessi è costituita dalla nomina a Premier di Najla Bouden Romdhane, prima donna in tutto il mondo arabo a ricoprire tale carica. Tuttavia, il nuovo governo dovrà fare i conti con le problematiche sociali ed economiche affrontate dai suoi predecessori.
Nonostante la nomina di una donna alla carica di Primo ministro sia stata salutata dall’opinione pubblica internazionale come una scelta importante per garantire le pari opportunità, molti critici reputano la misura adottata non sufficiente ad assicurare il funzionamento delle istituzioni democratiche, in un Paese dove il Parlamento e l’immunità dei deputati restano ancora disattivati.
Il nuovo governo è di natura prettamente tecnica, anche perché la premier tunisina non ha maturato alcuna esperienza politica. La diffusa corruzione della classe politica, la mancanza di riforme economiche e sociali, lo stallo politico hanno spinto Saied a procedere con la destituzione del governo Mechichi e la sua sostituzione con l’attuale esecutivo.
Ciò denota che la Tunisia è preda di una grave instabilità politica e si è dimostrata incapace di adottare le necessarie riforme finanziarie, ostacolando il rilancio di economia e servizi. Nonostante i metodi non democratici adottati per sedare il malcontento popolare, il presidente Saied riscuote consensi favorevoli tra gli elettori. Tuttavia, sussistono dubbi sulla fondatezza costituzionale delle misure adottate, considerando anche il passaggio della Tunisia da Repubblica Presidenziale a Semipresidenziale, in cui i poteri del Capo dello Stato dovrebbero, in teoria, essere ancor più bilanciati dall’Assemblea Elettiva.
Alcuni partiti di opposizione accusano il presidente di aver commesso irregolarità costituzionali al fine di tranquillizzare i cittadini più riottosi verso le sue decisioni, e di rassicurare la Comunità Internazionale della legittimità costituzionale delle misure adottate. La sospensione del Parlamento non garantisce però la possibilità per la nuova premier di utilizzare tutti i poteri a sua disposizione.
L’instabilità politica trova fondamento nei contrasti tra il Presidente della Repubblica e il Primo Ministro. Sin dal giorno del suo insediamento, il Premier si è adoperato per trasformare il governo tunisino da un governo del presidente a uno di natura politica, basato sul sostegno della maggioranza parlamentare di cui fanno parte il partito Ennahda, fautore di un islam moderato, e Qalb Tounes, partito liberista e populista guidato da Nabil Karoui. Il rimpasto di governo del gennaio 2021 ha trovato la ferma opposizione del presidente Saied, che non ha dato il suo consenso all’operazione sottolineando come nel governo non fosse presente alcuna donna. Nonostante la Costituzione preveda l’esistenza di una Corte Costituzionale, il Presidente della Repubblica si è rifiutato di acconsentirne l’istituzione, ritenendola un pretesto per ridurre i poteri presidenziali. Lo stallo politico è ricompreso in un clima di malcontento popolare e manifestazioni, che spesso vengono sedate dalle forze armate.
La pandemia ha enormi ripercussioni sull’economia, ma lo Stato non può permettersi di ridurre il deficit finanziario tagliando i salari, pena un incremento significativo delle proteste sociali e l’insorgenza di pericoli ancora maggiori per la stabilità del governo.
Il Paese non riesce a procedere in maniera adeguata con la campagna vaccinale a causa della scarsa informazione della popolazione civile sui benefici del vaccino, e della mancanza delle forniture necessarie a coprire il fabbisogno popolare.
In politica estera si assiste ad un miglioramento delle relazioni diplomatiche tra Tunisia e Libia. La situazione politica e securitaria della Libia sta attraversando una fase di stabilizzazione. Ciò ha consentito al governo tunisino di riaprire i valichi di frontiera. In occasione del Forum economico libico-tunisino svoltosi a marzo 2020, i rispettivi governi si sono accordati sia per la riapertura di valichi di frontiera già esistenti, sia per l’apertura di nuovi.
Saied si è adoperato per rinforzare le relazioni di buon vicinato con i Paesi prossimi alla Tunisia. È stato il primo Capo di Stato a recarsi in Libia dall’insediamento del nuovo governo di Tripoli, confermando la disponibilità ad assisterlo nelle operazioni di stabilizzazione.
Ha inoltre ricevuto la visita del Presidente del Consiglio Europeo esprimendo il desiderio e la necessità di rinforzare la cooperazione con l’Unione, si è espresso in favore della modernizzazione dei metodi di lavoro della Lega Araba e si è schierato a fianco del governo egiziano per la disputa che divide Egitto ed Etiopia per la costruzione della diga GERD sul Nilo.
Nonostante la visita del presidente in Egitto abbia lo scopo di mantenere buoni rapporti con i Paesi limitrofi, l’iniziativa è stata criticata dai partiti fautori di un islam moderato, come il partito Ennahda.
La giovane Repubblica Tunisina, nata dalle ceneri di uno Stato autoritario, si trova ancora nella fase iniziale del suo percorso per diventare una vera democrazia. Anche se il Paese sta compiendo progressi nelle pari opportunità e nel riconoscimento dei diritti, è necessario attenuare la violenza della polizia e dei militari e dare maggiore risonanza alle proteste dei manifestanti. Spesso le autorità politiche continuano a fare ricorso alla forza, giungendo nei casi più estremi ad autorizzare arresti arbitrari e torture. La strada per la democratizzazione tunisina è ancora lunga, ma la risoluzione della crisi dovuta alla pandemia costituisce un primo passo per procedere con le riforme necessarie per garantire ai cittadini quei diritti, libertà e pari opportunità che ancora oggi non riescono a trovare un’applicazione uniforme nella società civile.