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Missioni militari italiane: il Mediterraneo come priorità strategica e un’analisi del dibattito in Senato

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Il Senato ha fornito il via libera all’autorizzazione e alla proroga delle missioni militari internazionali per il 2020. In Aula c’è stato un ampio dibattito, che ha visto protagonisti anche aree interne alla maggioranza. Insieme al prof. Fabrizio Coticchia dell’Università di Genova, alla Senatrice Laura Garavini e al Senatore Massimo Candura, rispettivamente Presidente e Vicepresidente della Commissione Difesa del Senato della Repubblica, approfondiamo come si è svolto questo delicato passaggio parlamentare.

La Costituzione italiana, nell’articolo 78, prevede che le Camere deliberino sullo stato di guerra, concedendo quindi i poteri al Governo. Non c’è un riferimento costituzionale alle missioni internazionali, che sono ben altra cosa rispetto alla dichiarazione di guerra. Questo vuoto giuridico è stato colmato nel 2016 con l’approvazione della legge quadro sulle missioni internazionali (Legge 21 luglio 2016, n. 145 – Disposizioni concernenti la partecipazione dell’Italia alle missioni internazionali), mentre sino a quel momento si provvedeva all’autorizzazione con il cosiddetto “decreto missioni”. Ritenuto però uno strumento, per diversi aspetti, non adeguato dal punto giuridico.
La legge quadro fornisce una cornice più chiara entro la quale il Parlamento e il Governo possono muoversi, prevedendo una delibera del Consiglio dei Ministri che definisce la partecipazione dell’Italia alle missioni internazionali, votata dalle Camere con una risoluzione, quindi tramite un atto di indirizzo, non legislativo. Questa parlamentarizzazione del tema permette a deputati e senatori di dibattere e intervenire nel merito della vicenda, e permette altresì alle Commissioni di merito di approfondire ogni singola missione tramite processi di audizione di Ministri, esperti e militari, che contribuiscono a chiarire la strategia del governo e l’impatto delle varie missioni.

Le nuove missioni

Oltre la proroga delle missioni esistenti, le principali novità per il 2020 sono 3 “nuove” missioni, tutte nel contesto del “Mediterraneo allargato”, oramai dal 2015 sempre più priorità strategica per il nostro paese.

La prima novità è rappresentata dalla missione europea nel Mar Mediterraneo IRINI, che subentra all’operazione militare EUNAVFOR MED Sophia. IRINI avrà lo scopo di contribuire all’attuazione dell’embargo sulle armi imposto dall’ONU nei confronti della Libia con mezzi aerei, satellitari e marittimi. Rispetto a Sophia, che ha avuto come compito principale quello di smantellare il modello di attività dei trafficanti di migranti e di esseri umani nel Mediterraneo centromeridionale, IRINI ha quindi un diverso obiettivo prioritario, e opererà sulla parte orientale della costa libica, in particolare nella zona di alto mare antistante la Cirenaica. L’Italia parteciperà con 517 unità, un mezzo navale e tre mezzi aerei, e la sede operativa della missione sarà a Roma.

Come ribadito anche da Fabrizio Coticchia, professore di Scienze politiche all’Università di Genova e uno dei principali analisti e ricercatori in fatto di missioni militari italiane, trasformazione militare nei paesi europei, e  rapporto tra partiti e politica estera, “IRINI è una novità parziale, in quanto opera in continuità con l’impegno militare italiano nella missione SOPHIA.” IRINI rappresenta comunque un cambiamento,” in quanto il focus è il rispetto dell’embargo sulle armi attraverso il mediterraneo in Libia. Questo espone a delle critiche, rischia di non essere una missione efficacie perchè di fatto attua un embargo parziale: lo stesso governo ha chiarito che se la missione non evolverà in meglio sarà difficile che la missione possa svolgere un ruolo efficacie.” Per capirne la portata, dunque, secondo Coticchia, “bisognerà continuare a monitorarla nel corso del tempo”.

Per Laura Garavini, Senatrice del Gruppo Italia Viva e Presidente della Commissione Difesa, “la missione Eunavfor Med Irini ha l’obiettivo, nel quadro della politica di sicurezza e di difesa comune, di attuare l’embargo previsto dall’Onu sulle forniture di armi alle fazioni libiche. L’impegno, assunto dai leader dell’UE, va valutato positivamente.” Al netto dell’impegno, però, la Senatrice sottolinea che la missione riflette una debolezza dell’UE nello scenario libico: “Purtroppo, la missione Irini, per la debolezza del mandato e delle regole d’ingaggio, attesta anche come il ruolo dell’Unione Europea sia oggi marginale nel panorama libico”.

Sulle criticità avanzate in merito all’efficacia della missione, e sulla perdita di capacità di manovra italiana in Libia aggiunge: “non c’è dubbio che il ruolo dell’Unione europea e dell’Italia abbiano subito in Libia un netto ridimensionamento. La mancata definizione di un indirizzo politico comune e le differenze di vedute sulla gestione dei flussi migratori e sulla loro ridistribuzione, è un punto di debolezza per l’Europa. Resta comunque una posizione condivisa: quella ratificata all’ultima conferenza di Berlino sulla Libia che ha ribadito il sostegno al percorso delineato in ambito Onu, alla ricerca di  una  soluzione politica da individuare al tavolo dei negoziati. Il problema è che  oggi in Libia c’è una guerra conclamata anche a causa del crescente coinvolgimento militare di attori esterni, in particolare Russia, Emirati Arabi Uniti ed Egitto. Opposti a Turchia e Qatar. Una guerra che sta  mettendo seriamente a rischio l’integrità dello Stato libico, la sicurezza di milioni di cittadini e la stabilità dell’intera regione, nonché il controllo delle coste e dei traffici clandestini verso l’Italia e l’Europa e gli approvvigionamenti energetici. In questo contesto ritengo che sia necessario un ruolo più attivo dell’Italia e dell’Unione Europea, a favore della pace”.

Sulle criticità rispetto alla missione IRINI e sulla posizione italiana in Libia abbiamo contattato anche Massimo Candura, Senatore del Gruppo Lega e Vicepresidente della Commissione Difesa, che ci ha spiegato: “penso che la posizione del Governo Conte in Libia sia influenzata da spaccature interne alla maggioranza che lo sostiene e che determinano l’impossibilità di qualunque affermazione delle nostre prerogative di potenza regionale.”

“Inoltre – ha aggiunto – nel mese di gennaio 2020 il Presidemte Conte, a margine di una bilaterale con l’olandese Rutte, afferma che in Libia non c’è spazio per intervento militare italiano. Questo, a mio avviso, è un grave errore: in un contesto di guerra aperta l’Italia rinuncia anche solo alla deterrenza che pure avremmo potuto far pesare considerato il potenziale della nostra marina militare nel quadrante libico”.

La seconda novità è rappresentata dalla partecipazione italiana alla forza multinazionale di contrasto alla minaccia terroristica nel Sahel, denominata Task Force TAKUBA. L’Italia partecipa alla Task force TAKUBA con un contributo di 200 unità di personale militare, 20 mezzi terrestri e 8 mezzi aerei, e la Relazione analitica sulla missione chiarisce che gli assetti nazionali possono essere integrati all’occorrenza da unità delle forze speciali. Il Sahel, quindi, si conferma sempre più area strategica per il nostro paese: ricordiamo che l’Italia è già impegnata nella regione con la missione bilaterale in Niger, partecipa alla missione dell’ONU MINUSMA, e alle missioni dell’UE EUTM Mali, EUCAP Sahel Mali e EUCAP Sahel Niger.

Lo sottolinea anche Coticchia: “la missione del Sahel è in continuità con l’impegno italiano nell’area del mediterraneo allargato, oramai priorità strategica del nostro impegno militare internazionale.  La missione TAKUBA è il segno di questa postura italiana che dal 2015 opera in questa direzione, e la missione va inserita in un contesto di sempre maggiore cooperazione, anche diplomatica, con i paesi del Sahel.”

Dal punto di vista operativo, tema che ha sollevato alcune perplessità dagli esponenti di opposizione nelle varie audizioni in Commissione Difesa, Coticchia spiega che  “le operazioni seguiranno lo stesso approccio che l’Italia ha in Iraq: non un coinvolgimento diretto in operazioni militari o in antiterrorismo, ma un’attività di accompagnamento. Rimane una missione che richiede un impegno militare considerevole, anche se quantitativamente non è una missione estremamente dispendiosa. La cosa interessante è che ufficialmente è una missione di antiterrorismo, mentre sino ad oggi gli obiettivi del nostro impegno nell’area saheliana era principalmente articolato sul tema del contrasto ai flussi migratori.Qual è il suo commento sulla missione? “Sicuramente positivo – chiarisce Coticchia dal punto di vista della coerenza con l’approccio nazionale di aver stabilito come prioritario quel quadrante di mondo. Non è particolarmente positivo se l’obiettivo è invece promuovere la stabilizzazione dei paesi nell’area, perchè in quel caso serve molto altro. C’è ampia letteratura critica nei confronti della militarizzazione dell’approccio europeo nel Sahel. Se vogliamo sconfiggere il terrorismo e anche interrompere l’esodo dei migranti bisogna agire anche con leve politiche ed economiche, e queste due mi sembrano assenti nel dibattito.”

Un commento positivo anche per la Presidente Garavini, che spiega che “la missione Takuba deriva dalla necessità strategica di promuovere stabilizzazione nella regione saheliana, che rappresenta un centro nevralgico di flussi migratori trans-continentali e fenomeni di estremismo violento. E’ una missione di una certa consistenza (20 mezzi terrestri, 8 mezzi aerei, e un numero massimo di 200 militari), avviata su richiesta formale dei capi di stato del Mali e del Niger su impulso francese, nell’ambito della Coalition pour le Sahel.” E ribadisce l’obiettivo specifico del contrasto ai gruppi terroristici: “concepita in ambito Onu – chiarisce la Senatrice – l‘operazione mira ad un contrasto coordinato ed internazionale contro i gruppi armati terroristici, particolarmente attivi nella zona.”

La terza, importante novità, è quella rappresentata dalla missione di sorveglianza e sicurezza nel Golfo di Guinea. Inaspettata, perchè non anticipata in sede di audizioni, la missione mira a fronteggiare le esigenze di prevenzione e contrasto della pirateria e delle rapine a mano armata in mare e ha l’obiettivo di assicurare la tutela degli interessi strategici nazionali nell’area, con particolare riferimento alle acque prospicienti la Nigeria. Tra i compiti specifici si legge che la missione nasce anche per “proteggere gli asset estrattivi di ENI, operando in acque internazionali”.

Si concentra su questo passaggio il commento di Coticchia: “E’ una novità molto interessante. Una missione specifica che riguarda azioni di antipirateria, delle quali l’Italia vanta già una profonda esperienza in diversi scenari. E’ un fatto positivo che venga esplicitata la volontà di proteggere gli interessi economici nell’area, in questo caso prevalentemente quelli di ENI. Non credo però che l’impegno sarà considerevole nel prossimo anno, sarà una presenza di deterrenza.”

Per la Senatrice Laura Garavini “la missione nel Golfo di Guinea ha l’obiettivo di contenere il fenomeno della pirateria, che ha assunto negli ultimi anni dimensioni preoccupanti in una delle aree di maggiore transito del commercio mondiale marittimo. Nella risoluzione del 2012 il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha espresso preoccupazione per la pirateria nel Golfo di Guinea a seguito del rischio che rappresenta per la navigazione internazionale e per la sicurezza e lo sviluppo economico degli Stati della regione, sollecitando i singoli Stati a sviluppare e attuare strategie nazionali di sicurezza marittima, per la prevenzione, e la repressione della pirateria e della rapina a mano armata in mare.”

Una missione, questa, che opera all’interno di un quadro giuridico internazionale ben definito, come ricorda la Presidente Garavini, ma è tutt’altro che semplice: “il nostro impegno in questo quadrante si basa su di un solido quadro giuridico e di cooperazione sia locale che internazionale”, ribadisce la Senatrice. Che aggiunge: “resta la complessità dell’operare in questa regione, che ha un elevato volume di traffico a seguito dei giacimenti petroliferi presenti. Infatti da una parte la comunità internazionale ha l’obbligo di intervenire nella lotta contro la pirateria. Ma d’altro lato tale volontà si scontra con il rifiuto di alcuni paesi costieri, ad esempio la Nigeria, nelle cui acque territoriali agiscono e trovano rifugio i criminali. Ecco che credo sia utile che l’Italia contribuisca al rafforzamento della  cooperazione con i paesi dell’area. Cercando di intervenire sulle possibili cause della pirateria, legate al crescente impoverimento delle popolazioni locali.”

La missione mancante

Una missione annunciata, nel corso delle varie audizioni, anche dallo stesso Ministro Guerini, e che però al momento risulta assente, è quella nello stretto di Hormouz.

Per la Senatrice Garavini i motivi sono prettamente organizzativi. Come ci spiega, “gli obiettivi della missione europea Emasoh, che mirano a garantire la sicurezza della navigazione nello stretto di Hormuz e contribuire ad allentare la tensione creatasi nell’area dopo la crisi Usa-Iran, sono perfettamente condivisibili. La prevista partecipazione della nostra Marina militare con una unità è stata effettivamente rivista per ragioni organizzative.” E aggiunge che “resta aperta la possibilità di un intervento nel 2021.”

Per il Vicepresidente Massimo Candura il problema è ascrivibile a una differenza di visione sulla politica estera nella maggioranza: “anche nel caso di questa missione emergono le divergenze della maggioranza in politica estera. La missione EMASOH ha lo scopo di evitare le potenziali turbative alla libera navigazione attraverso lo stretto: pleonastico sottolineare l’importanza di Hormuz per l’Italia e l’Europa e altrettanto superfluo indicare nell’Iran la potenza che avrebbe interesse a e capacità di minacciare il passaggio delle petroliere. Probabilmente i rapporti con l’Iran e la postura di questa Repubblica islamica sono valutati in maniera non concorde dalle componenti l‘attuale maggioranza di governo.”

Anche per Coticchia la non presenza dell’Italia presso Hormouz è “temporanea”, e descrive come “rumors” le indiscrezioni che vedono una Farnesina in pressione sul Ministero della Difesa per impedire l’ingresso italiano nella missione EMASOH. Secondo il Professore, infatti, l’Italia “entrerà a far parte della missione, ma al momento si è preferito, anche ragionevolmente, valutati numeri comunque ingenti dell’apporto alle varie missioni per il 2020, ritardare il dispiego di nuove forze e risorse presso Hormouz”. Coerente, anche questo, dal punto di vista strategico rendendo prioritaria l’area mediterranea.

Il voto separato

Nel voto in aula in Senato si è assistito a una discussione interna alla maggioranza: due Senatrici, Emma Bonino (Più Europa) e Loredana De Petris (LeU), hanno chiesto un “voto per parti separate” relativamente alla risoluzione che prorogava per il 2020 le missioni del 2019. Un voto per parti separate specifico per la missione italiana bilaterale di supporto alla Guardia Costiera libica. Tale richiesta permette a chi è contrario a una singola missione di votare liberamente a favore delle altre, ma al contempo precludere il proprio voto alla singola missione non condivisa. E’ quello che è accaduto: 14 senatori hanno quindi votato contro alla  missione bilaterale di assistenza alla Guardia costiera della Marina militare libica, che ha l’obiettivo specifico di fronteggiare il fenomeno dell’immigrazione clandestina e della tratta di esseri umani, tramite l’addestramento della Guardia costiera libica e il mantenimento in esercizio delle unità navali cedute.

Compatto invece il voto dell’opposizione di centrodestra su questa missione, così come per le altre. Anche in questo caso, il Senatore Candura ascrive tale spaccatura a una mancanza di visione organica della maggioranza sulla Libia: “anche in questo caso – specifica il Vicepresidente Candura la visione della politica estera riflette l’eterogeneità delle forze politiche che sostengono il Governo Conte, che risulta non solo incapace di appoggiare con decisione uno dei contendenti in una fase di guerra aperta, ma complessivamente inerte, lasciando spazio aperto ad altri attori. Sembra che non venga considerato che la Libia è un spazio geopolitico vitale per il nostro Paese: l’inazione di fronte a questo conflitto non sarà priva di conseguenze negative per l’Italia.”

Anche per la Presidente Garavini la richiesta del voto per parti separate è stato un errore: “la missione di assistenza alla guardia costiera libica va inquadrata nell’ambito del nostro impegno in Libia. Un impegno le cui direttrici sono il sostegno alla stabilizzazione attraverso l‘appoggio del Governo internazionalmente riconosciuto di Al Sarraj, la lotta al terrorismo, il contrasto ai traffici illegali, e, al contempo, l’impegno, nelle opportune sedi diplomatiche, affinché la Libia attivi politiche di innalzamento della tutela dei diritti umani e di costruzione di istituzioni democratiche.”  

E sul voto contrario aggiunge: “a mio parere, la scelta di forze della maggioranza di non votare la missione di assistenza alla guardia costiera libica è stato un errore. La Libia si trova oggi in uno stato di guerra conclamata. Il sostegno al governo di Serraj rappresenta l’unica opzione per evitare un’ulteriore destabilizzazione. Perché le già drammatiche condizioni in cui versa la Libia dopo anni di guerra civile, rischiano di acuirsi ancora di più sotto la minaccia della diffusione dell’epidemia da COVID-19 e a seguito del conseguente crollo delle quotazioni del petrolio sui mercati.  Ecco perchè il nostro sostegno deve andare di pari paso alla pretesa del rispetto e della tutela dei diritti umani, tramite il miglioramento delle condizioni nei centri di accoglienza dei migranti e la stessa formazione del personale militare libico. Ma affinchè questo avvenga il nostro sostegno non può venire meno.”.

Per Coticchia questa divisione nella maggioranza non è particolarmente rilevante: “non sono sorpreso – spiega il docente – la letteratura scientifica sul voto dei partiti italiani riguardo le missioni all’estero dagli anni ’90 ad oggi vede un livello molto alto di consenso al centro, e un abbassamento del consenso se si va verso gli estremi della politica, in particolare nell’area della cosiddetta estrema sinistra.”

Una variabile che si riscontra nel voto dei partiti sulle missioni è l’appartenenza o meno al governo: “Un caso di scuola è certamente quello del Movimento 5 Stelle, estremamente critico rispetto a determinate missioni all’estero, penso a quella in Niger, mentre ieri è stato compatto nel votare positivamente il proseguo degli impegni militari. Interessante anche l’atteggiamento della Lega, che ha supportato, pur evidenziando criticità, l’impegno italiano all’estero. Questo nonostante sia all’opposizione, mentre in passato ricordiamo che dai banchi dell’opposizione non sempre ha votato a favore delle varie missioni militari internazionali.”

L’importanza del Parlamento

Al netto delle varie diatribe politiche, la legge quadro sulle missioni porta il dibattito – rispetto a un tema fondamentale come l’impegno militare di un paese – in Parlamento, luogo simbolo del livello più elevato della sovranità popolare. Fattore evidenziato anche da Coticchia, che ha ricordato che tutto questo dibattito sulla postura dei partiti è possibile grazie alla legge 145 del 2016. Anche il poter conoscere nello specifico i dettagli delle missioni, le forze impiegate e i fondi e le risorse destinate all’impegno, è un’importante conquista.
Il Parlamento ha svolto un impegno del tutto marginale per diversi decenni relativamente alle missioni militari: portare il dibattito e gli approfondimenti nelle Aule e nelle Commissioni di merito è una conquista della nostra stressa democrazia. E’ importante che un dibattito simile si sviluppi anche riguardo la politica estera, considerati i vari scenari di crisi che si moltiplicano nel mondo, o a margine di importanti riunioni come quella del Consiglio degli Affari esteri, che vede protagonisti i Ministri degli esteri europei.
Nell’ultimo summit andato in scena il 13 luglio, che ha affrontato le delicate situazioni di Hong Kong e dei rapporti europei con la Turchia, il Parlamento italiano non ha potuto proferire parola. Un intervento normativo, sulla falsa riga della legge 234 del 2012, che reca le norme generali sulla partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche dell’Unione europea, e che ha il merito di parlamentarizzare il dibattito europeo, sarebbe auspicabile anche relativamente a tematiche di politica estera, per riportare la materia al centro della discussione politica e parlamentare.

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