Da 23 anni, la NATO è presente nella penisola Balcanica con la missione KFOR (Kosovo Force): si tratta dell’impegno più duraturo – ma sempre attuale, viste le recenti tensioni – nel tempo per l’Alleanza, in uno scenario in cui l’Italia ha sempre svolto un ruolo importante.
La storia della missione KFOR
Il 12 giugno 1999, due giorni dopo l’adozione della risoluzione 1244 da parte del Consiglio di Sicurezza ONU e dopo poco meno di tre mesi di bombardamenti aerei contro l’esercito Jugoslavo, le forze NATO fecero il loro ingresso in Kosovo.
Inizialmente il contingente NATO era composto da circa 50.000 effettivi, con una progressiva riduzione negli anni che ha portato, allo stato attuale, a meno di 4000 uomini: è la stessa NATO a dichiarare che, dal momento in cui la situazione è migliorata, l’Alleanza ha deciso di modificare la sua postura in loco con contingenti più piccoli e flessibili.
Il principale obiettivo della missione KFOR era di mantenimento della pace, da raggiungere con azioni quali il disarmo dell’Esercizio di Liberazione del Kosovo (UCK) e la protezione verso possibili azioni serbo/jugoslave.
Le forze NATO erano presenti in Kosovo nel febbraio 2008, quando venne dichiarata l’indipendenza del Paese dalla Serbia.
L’indipendenza da Belgrado è stata accolta favorevolmente dalla maggior parte dei Paesi NATO ma non da tutti: si distinse infatti la posizione della Spagna, che tutt’ora non riconosce l’indipendenza del Kosovo, presumibilmente per questioni di politica interna relative a Paesi Baschi e Catalogna.
Nei mesi successivi, i leader dei Paesi NATO stabilirono il proseguimento della missione, di concerto con le autorità del nuovo Stato del Kosovo e in collaborazione con ONU e UE per supportare lo sviluppo di un Kosovo pacifico, stabile, democratico e multietnico; inoltre, fu deciso che la NATO avrebbe continuato a lavorare per la creazione di moderne Forze di Sicurezza kosovare.
Nell’ultimo decennio è stata rivista la struttura della missione, che ad oggi vede:
- il Quartier generale (HQ KFOR) a Pristina;
- due comandi regionali (RC-West & RC-East) che dividono il Paese in due zone di competenza;
- una Multinational Specialized Unit, composta esclusivamente dall’Arma dei Carabinieri che ha compiti di polizia, specialmente lotta alla criminalità e al terrorismo;
- il Joint Logistic Support Group, che ha funzioni – come si può intuire dal nome – di supporto logistico.
Attualmente, 19 Paesi NATO sono impegnati nella missione KFOR, insieme a 8 Paesi esterni all’Alleanza. I due Paesi che contribuiscono maggiormente al contingente sono gli USA, che schierano 660 unità, e l’Italia, che contribuisce con quasi 800 effettivi.
L’impegno italiano
Basterebbe quest’ultimo dato per sottolineare l’importanza dell’Italia e delle sue forze armate in Kosovo, ma in queste due decadi la nostra presenza è stata una costante che va analizzata più a fondo.
Le prime unità italiane, all’epoca già presenti in Macedonia del Nord, entrarono in Kosovo tra il 12 e il 13 giugno 1999, per poi stabilirsi a Pec la mattina del 14 giugno.
Prendendo in esame il periodo che va dal 1° marzo 2011, quando, come detto sopra, si è iniziato a ristrutturare la missione, ad agosto 2019 erano schierati due Multinational Battle Group (gli attuali Regional Command) di cui uno a comando italiano, la MSU composta esclusivamente da militari dell’Arma dei Carabinieri, un Reggimento con funzioni di Riserva Tattica (multinazionale), tre unità multinazionali Joint Regional Detachment (JRDs) di cui uno a leadership italiana.
Attualmente, il contingente italiano in Kosovo è così ripartito:
- circa 90 militari sono in stanza al HQ KFOR;
- un’unità a livello Reggimento denominato Regional Command West, dove operano anche 12 Liaison Monitoring Team con il compito di assicurare un continuo contatto con la popolazione, le istituzioni Governative locali, le organizzazioni nazionali ed internazionali, i partiti politici, ed i rappresentanti delle diverse etnie e religioni presenti sul territorio;
- un Battaglione multinazionale di ricerca informativa (ISR MNBN);
- un LMT a leadership italiana, inquadrato nel Regional Command East;
- un reggimento Carabinieri denominato Multinational Specialized Unit (MSU) situato nella città di Pristina,
Per quanto riguarda la Catena di Comando e Controllo, il Comando Operativo è tenuto dal Capo di Stato Maggiore della Difesa che si avvale del Comando Operativo di Vertice Interforze (COVI), mentre il Controllo Operativo è delegato al JFC NAPLES ed al COMKFOR designato.
Proprio questa figura apicale negli anni è stata ricoperta più volte da generali italiani; su 26 Comandanti della missione, 12 provenivano dalle nostre Forze Armate (Carlo Cabigiosu, Fabio Mini, Giuseppe Valotto, Giuseppe Emilio Gay, Salvatore Farina, Francesco Paolo Figliuolo, Guglielmo Luigi Miglietta, Giovanni Fungo, Salvatore Cuoci, Lorenzo D’Addario, Michele Risi, Franco Federici).
La ritrovata importanza della missione alla luce delle recenti tensioni
Il 10 ottobre è stato nominato il 27° Comandante di KFOR, ancora una volta un italiano: si tratta del Generale Angelo Michele Ristuccia, alla guida di una missione che, citando l’ex Ministro Guerini, “da 23 anni garantisce stabilità e sicurezza al Kosovo e ai Balcani occidentali”.
È stato proprio il Generale Ristuccia a dover fronteggiare, in questi ultimi mesi, una situazione di tensione sempre crescente tra Belgrado e Pristina.
Tensioni che sono scaturite dalla decisione del Kosovo (in risposta a una misura analoga della Serbia), di imporre ai cittadini di minoranza serba l’utilizzo di targhe kosovare; scelta definita discriminatoria dai cittadini di etnia serba presenti nel nord del Paese indipendente dal 2008.
Nel mese di dicembre 2022, la minoranza serba ha iniziato a ereggere barricate e il Presidente serbo Aleksandr Vucic ha messo in stato di massima allerta l’esercito; di fronte a queste azioni il governo kosovaro, guidato da Albin Kurti, ha accusato Belgrado di voler destabilizzare il Kosovo, la cui indipendenza non è mai stata riconosciuta dalle autorità serbe.
La situazione ha rischiato di precipitare nei primi giorni del nuovo anno, in seguito alla richiesta serba alla KFOR di poter inviare un contingente dell’esercito serbo nei territori kosovari, richiesta rifiutata dal comando della missione. Comando della missione che, insieme ad altri attori internazionali, ha poi attuato un lavoro diplomatico certosino che ha portato, se non alla riduzione delle tensioni, sicuramente a un loro raffreddamento.
Lo stesso comandante Ristuccia ha dichiarato che “la situazione in Kosovo è calma ma estremamente fragile, volatile e imprevedibile”.
Si tratta di uno scenario da continuare a monitorare con attenzione, sia per lo stato di incertezza attuale sia per l’assoluta vicinanza di questi luoghi al nostro Paese.
Paese che, senza dubbio, può essere fiero del suo ruolo e della gestione delle tensioni nel contesto della missione KFOR.
Niccolò Grassano
Geopolitica.info