Il 29 settembre il primo ministro israeliano Netanyahu si è rivolto all’Assemblea generale delle Nazioni Unite in videoconferenza, in occasione della consueta apertura dei lavori, arrivati al 75esima sessione. Sulla falsariga di quanto fatto due anni fa nei confronti del programma nucleare iraniano, Netanyahu ha sfruttato l’appuntamento internazionale per denunciare il programma missilistico di Hezbollah. Come interpretare, nei tempi, nei modi e negli obiettivi, la pubblica accusa israeliana ?
Cosa? I siti missilistici di Hezbollah a Beirut
Secondo le prove mostrate all’Assemblea generale dell’Onu da Netanyahu, e poi rilanciate dai canali ufficiali delle Israel Defense Forces (IDF), Hezbollah avrebbe installato magazzini per la produzione di missili ad alta precisione in aree residenziali della capitale libanese. In particolare, sono stati individuati almeno tre siti missilistici nei quartieri di Laylaki, Chouaifet e Jnah. Tutte le aree individuate appartengono ai sobborghi meridionali di Beirut, controllati dal partito-milizia libanese. Come ribadito da Netanyahu, inoltre, la loro ubicazione confermerebbe l’utilizzo da parte di Hezbollah della tattica degli scudi umani. Una condotta considerata come crimine di guerra, ai sensi dell’articolo 28 della quarta Convenzione di Ginevra del 1949, concernente la protezione dei civili in tempo bellico.
La pubblica accusa israeliana non svela qualcosa di totalmente ignoto. Infatti, l’opinione pubblica internazionale è al corrente da tempo dei traffici di assetti militari che coinvolgono Hezbollah, soprattutto dopo il suo intervento nel conflitto siriano. In relazione al programma missilistico, ad esempio, di recente l’Alma Research and Education Center – centro di ricerca israeliano specializzato nei dossier riguardanti la sicurezza del confine settentrionale – ha pubblicato un report in cui avrebbe individuato 28 siti di lancio di missili ubicati in territorio libanese, pronti per l’utilizzo in caso di conflitto.
Al contrario, l’elemento di novità contenuto nel discorso di Netanyahu riguarda l’aggiornata capacità di Hezbollah di disporre di siti di produzione e assemblaggio di missili ad alta precisione. Ulteriormente, a differenza di quanto sostenuto in passato dalle IDF, che avevano già individuato siti di produzione nella Valle della Beqa nei pressi del confine siriano, i siti recentemente svelati si troverebbero nel cuore della capitale libanese. Di fatto, si tratterebbe di una conferma del salto di qualità in atto nelle capacità missilistiche di Hezbollah, il quale ambisce alla costruzione di un’industria missilistica autoctona e soprattutto ad alta precisione.
Dove? Diplomatic warfare nel palcoscenico Onu
La scelta israeliana di utilizzare l’appuntamento annuale di apertura dei lavori dell’Assemblea generale per affrontare un dossier così delicato non è un dettaglio trascurabile, ma nasconde un elemento di sostanziale importanza. A differenza della maggior parte degli Stati membri dell’Onu, che utilizzano lo spazio a loro disposizione per pronunciare discorsi simbolici e diplomaticamente preconfezionati – si confronti l’intervento di Netanyahu con quello degli altri leader mondiali – Israele sfrutta tale palcoscenico internazionale in termini strategici. Nella prospettiva israeliana, infatti, anche la diplomazia viene considerata una variabile dipendente della propria equazione securitaria, finendo per essere catalogata tra le dimensioni non militari entro cui lottare per la propria sopravvivenza.
In questo senso, l’obiettivo israeliano è quello di rompere l’isolamento diplomatico e accrescere la propria legittimità all’interno dell’arena internazionale, al fine di garantirsi un margine di manovra maggiore qualora fosse chiamato a scendere in guerra. Un’ulteriore particolarità è data dal fatto che Israele non appartiene a organizzazioni o alleanze regionali, in quanto percepito come un unicum estraneo al contesto mediorientale in cui insiste. Pertanto, non potendo far valere il principio di sussidiarietà, l’unico foro internazionale in cui è in grado di presentare le proprie istanze sono le istituzioni Onu, le quali finiscono per diventare il campo di battaglia prediletto di tale diplomatic warfare.
Quando? Il concetto di ‘War between Wars’
Nello proprio spartito strategico, Israele adotta una visione ciclica tale per cui non esiste una reale alternanza tra tempo di pace e tempo bellico ma solo momenti di bassa o alta intensità conflittuale, all’intero di quello che viene interpretato come un unico lungo conflitto. Pertanto, all’interno di tale prospettiva, definita di War between Wars, lo Stato ebraico è chiamato a condurre un costante conflitto strisciante anche nelle fasi di bassa conflittualità come quella odierna, al fine di impedire agli attori ostili di acquisire capacità militari in grado di sconfiggerlo nel momento in cui verosimilmente scoppi una guerra su larga scala.
In riferimento al programma missilistico di Hezbollah, in questa fase l’obiettivo israeliano è quello di sventare un salto di qualità rappresentato dalla costruzione di un arsenale di missili ad alta precisione. Al momento, infatti, pur disponendo di una vera e propria panoplia missilistica, quella proveniente dall’arsenale di Hezbollah rimane una minaccia statistica. In altre parole, il partito di Dio non ha raggiunto una capacità tale da poter colpire obiettivi strategici su territorio israeliano (infrastrutture critiche, capacità di comando e controllo ecc.) ma solo arrecare danni economici, sociali, psicologici e perdite materiali e umane minori.
I bombardamenti aerei condotti dall’Israel Air Force su suolo siriano si inseriscono proprio all’interno di questa guerra tra le guerre, dato che negli ultimi anni, tramite il territorio siriano, l’Iran ha fornito componentistica e know-how a Hezbollah. Nelle sue tempistiche, la pubblica accusa mossa da Netanyahu dinnanzi all’Assemblea generale Onu potrebbe far pensare a un parziale fallimento della campagna militare e di intelligence israeliana. In altre parole, potrebbe rappresentare un indizio premonitore che presagirebbe, nel medio periodo, un passaggio da una fase di guerra a bassa intensità – deterrence-based operations basate sull’uso della forza aerea – a uno scenario di guerra aperta – potenziale rioccupazione militare israeliana del Sud libanese con una dispendiosa manovra di terra. Tale ultimo scenario rappresenta un’opzione temuta e non ottimale per Israele, data anche la natura dell’attore e delle minacce con cui sarebbe chiamato a confrontarsi (attore non statale, minaccia asimmetrica).
Perché? Sanzioni, missione internazionale e linee rosse
In conclusione, è necessario provare a tracciare delle ipotesi circa gli obiettivi perseguiti tramite la pubblica accusa israeliana. Nel breve periodo, l’obiettivo più concreto potrebbe essere quello di attivare, nei confronti di Hezbollah, il meccanismo sanzionatorio previsto dalla legislazione americana. In particolare, il Sanctioning the use of civilians as defenesless shields act del 2018(Public Law 115-348), il quale condanna tramite sanzioni l’utilizzo di civili come scudi umani. Tale legge demanda al Presidente l’onere di presentare al Congresso una lista delle persone coinvolte in tale azione, così da abilitare conseguentemente le sanzioni.
Più improbabile, invece, l’ipotesi in cui Israele ambisca a imbastire una missione internazionale sotto egida Onu. Infatti, in questa fase lo Stato ebraico comprende l’avversione dell’attuale maggioranza al Consiglio di Sicurezza a discutere qualsiasi azione di contrasto all’operato di Hezbollah, adottabile ai sensi del Capitolo VII della Carta Onu, anche a causa della problematica congiuntura che il Libano sta attraversando a causa della crisi pandemica e dell’esplosione occorsa il 4 agosto nel porto di Beirut. Un’avversione confermata in occasione del rinnovo della missione UNIFIL con la Risoluzione 2539/2020 del 28 agosto scorso. Infatti, in quell’occasione Israele, per il tramite americano, ha provato a modificare a proprio vantaggio il mandato della missione Onu senza tuttavia riportare un vero successo.
Concretamente, invece, nel medio periodo gli obiettivi più importanti di Israele potrebbero essere almeno due. Su un piano politico, Israele ambisce a influenzare il processo di riconfigurazione degli equilibri politici nel Paese dei Cedri, alla luce delle dimissioni del governo Diab. Le tempistiche della pubblica denuncia israeliana fanno pensare a un tentativo di indebolire il consenso popolare di cui gode Hezbollah. Non a caso, Netanyahu nel suo discorso si è rivolto direttamente alla società civile libanese, invitandola a ribellarsi alle manovre occulte del partito di Dio. Tale rinnovato attivismo israeliano è parzialmente confermato anche dalla notizia della prossima apertura dei negoziati diretti tra Israele e Libano per la risoluzione della disputa marittimo-energetica. Un dossier tenuto volutamente separato rispetto al contenzioso territoriale che divide i due Paesi ancora formalmente in guerra, con l’obiettivo di sventare una definitiva implosione dello Stato libanese, prodromica all’apertura di un pericoloso vuoto geopolitico a Nord della Linea Blu.
Infine, su un piano strategico, come affermato in precedenza, il discorso di denuncia pronunciato da Netanyahu potrebbe presagire un doloroso mutamento della propria postura militare nei confronti della minaccia portata da Hezbollah. Implicitamente, pertanto, si dovrebbe leggere l’intervento del premier israeliano come il tentativo di tracciare una nuova Linea Rossa che, se oltrepassata, porterebbe Israele a rinnegare financo l’attuale dottrina di difesa, tornando alla più classica, e dispendiosa, opzione della manovra di terra, parzialmente dismessa negli ultimi decenni, come opzione di ultima istanza per disinnescare le velleità missilistiche di Hezbollah.
Pietro Baldelli
Geopolitica.info