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Potere al servizio: il ruolo delle milizie lealiste nell’assicurare lealtà popolare al regime di Assad

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Con l’inizio della rivolta popolare in Siria all’inizio del 2011 e del conflitto armato più tardi nel 2012, il regime di Assad si è trovato ad aver bisogno di più risorse umane per riuscire a tenere sotto controllo la popolazione e reprimere le manifestazioni. Per fare ciò, il regime ha militarizzato la popolazione istituendo milizie locali, non solo con lo scopo di combattere in prima linea per il regime, ma soprattutto con l’obiettivo di assicurarsi il cieco e completo supporto della comunità locali alla causa di Assad e di legarle in modo indissolubile alla sua stessa sopravvivenza. Dal 2011 ad oggi, il conflitto militare è gradualmente stato inglobato nella lotta alla sopravvivenza del regime di Assad e della sua famiglia attraverso la militarizzazione delle comunità siriane, l’una contro l’altra, a scapito del tessuto sociale e della pace civile.

Questa analisi si concentra su due milizie lealiste che hanno segnato il corso del conflitto siriano: le Forze di Difesa Nazionale (NDF) e la Brigata Al-Quds (Liwa’ al-Quds). Entrambe hanno avuto una traiettoria simile: dopo essere state istituite per imporre la militarizzazione del conflitto nelle proprie comunità dal regime di Assad, hanno acquisito sempre più autorità e spicco attraverso alleanze strategiche con gli alleati stranieri del regime. Ancora più importante, essendo intimamente associati alla propria comunità locale, hanno fatto da strumento per implementare la visione di Assad sulla Siria, legando indistintamente il destino della propria comunità locale a quello della dinastia Assad. 

Lo sviluppo militare delle NDF: da milizia controrivoluzionaria a gruppo armato proxy

Le NDF sono state create a metà del 2011, quando gruppi armati locali, per lo più appartenenti alla comunità alawita, si sono riuniti sotto il nome di Comitati del Popolo (Lijan Sha’biyya) per reprimere le manifestazioni popolari nella città di Homs. In questo ruolo, le NDF furono in grado di reprimere violentemente le manifestazioni e a controllare efficacemente, e violentemente, molti quartieri residenziali a maggioranza sunnita. Tale successo divenne poi un triste esempio da replicare per il regime di Assad in altre aree come Latakia, Aleppo e la campagna di Damasco.

Nel 2012, con l’inizio del conflitto armato e la creazione dell’Esercito Siriano Libero, il regime di Assad si trovò nella necessità di avere a suo supporto una forza di fanteria, che fosse completamente leale al regime. Le NDF sono state quindi riorganizzate per partecipare alle operazioni militari e, in alcuni casi, sono diventate la punta di diamante di battaglie chiave contro l’opposizione armata nelle campagne di Damasco, Homs e nella città di Aleppo tra il 2012 e il 2014, in cui sono state coinvolte in gravi crimini di guerra e crimini contro l’umanità. L’evoluzione delle NDF da semplice gruppo di repressione locale a gruppo armato chiave tra le cerchia lealiste ha portato ad attirare più combattenti nei suoi ranghi, grazie agli incentivi favorevoli offerti ai suoi combattenti, come l’esenzione dal servizio militare nell’esercito ordinario e la fornitura di stipendi e condizioni di servizio di gran lunga migliori rispetto all’Esercito Arabo Siriano. 

L’intervento di paesi stranieri a sostegno del regime di Assad nella guerra ha rappresentato una svolta fondamentale per le NDF. La Russia e l’Iran hanno saputo sfruttare le NDF per aumentare la loro influenza sul campo e usarla a loro vantaggio. Nel caso dell’Iran, oltre a istituire le proprie milizie, Teheran ha sfruttato le NDF come punto di ingresso per diffondersi all’interno delle comunità locali e ottenere la loro lealtà nella maggior parte delle aree controllate dal regime nella Siria orientale, Aleppo e nel sud della Siria.

La Russia ha invece svolto un ruolo decisivo nella ristrutturazione delle forze militari siriane e ha concesso alle NDF un ruolo sempre più centrale nel nuovo arrangiamento. Per rispondere alle debolezze e all’incapacità di coordinazione dell’esercito siriano, Mosca ha creato un comando gerarchico centrale affiliato al suo esercito al fine di aumentare l’efficienza delle operazioni militari sia delle forze regolari che delle milizie. Di conseguenza, la Russia riunì diversi battaglioni militari che combattevano a terra nel governatorato di Latakia, vale a dire la Seconda Divisione, la Guardia Repubblicana e le NDF di Latakia, nel Quarto Corpo. Successivamente, il Quarto Corpo si è espanso per includere tutti i battaglioni NDF, oltre alle Brigate Baath e ad altre piccole milizie.

Oltre gli interessi militari: il ruolo dell’NDF nella localizzazione delle alleanze militari nel conflitto siriano

Dal 2011, l’istituzione di milizie da parte del regime siriano ha mirato principalmente a rafforzare la localizzazione del conflitto, ovvero a spingere la società locale a partecipare alla guerra del regime, e alla sua sopravvivenza, contro l’opposizione all’interno di una singola città o contro altre città o comunità geografiche vicine, attraverso la formazione di milizie locali legate o ai servizi di intelligence del regime o agli alleati stranieri, Russia e Iran. 

Infatti, nonostante i tentativi di centralizzare il potere decisionale alle cariche più alte del regime da quando Hafez al-Assad è salito al potere, il regime della famiglia Assad ha sempre costruito la sua influenza in Siria usufruendo strategicamente di figure importanti e leader locali in specifiche comunità per conquistare la lealtà della popolazione e i loro servigi. Le NDF sono un chiaro esempio in questo senso, in quanto, dal 2011 ad oggi, i leader della milizia nelle rispettive comunità sono sempre stati scelti tra i personaggi illustri che potessero rappresentare e legare l’identità, e sopravvivenza, della propria comunità a quelle del regime stesso. Queste personalità non provengono solo dalle comunità alawite, ma anche da altre sette o clan, sempre intimamente legati alla popolazione locale presa di mira in questo patto di sangue.

Le NDF hanno sin dai primi giorni costruito il loro sostegno locale stabilendo relazioni chiave con clan e tribù. Ad esempio, ad Hasaka le NDF hanno fortemente goduto del sostegno dello sceicco della tribù Tayi, Muhammad al-Faris; mentre nelle campagne di Aleppo e Raqqa hanno costruito legami con clan prominenti della regione, in particolare con la milizia Al-Beri. Le NDF sono anche riuscite a sfruttare le identità etniche della popolazione locale. Ad esempio, il ramo del reggimento del Golan delle NDF è stato fondato dal siro-circasso Khaled Abaza, figlio di Walid Abaza, ex maggiore dell’intelligence siriana e figura molto vicina ad Hafez al-Assad, che faceva affidamento principalmente sulla popolazione circassa del governatorato di Quneitra per il suo sostegno popolare. Tuttavia, nonostante l’intenzione di diversificare la propria base di sostegno popolare, il carattere settario delle NDF è rimasto la loro caratteristica più importante, di cui sono un chiaro esempio la creazione della divisione di carattere alawita a Latakia, drusa ad al-Suwayda e cristiana a Maharda, nella campagna di Hama.

La Brigata Al Quds, ossia come portare i palestinesi al centro del conflitto

Secondo le statistiche ufficiali dell’UNRWA, nel 2011 vivevano in Siria circa 560.000 rifugiati palestinesi, risiedendo principalmente nel campo Yarmouk di Damasco e nei campi di Neirab e Handarat ad Aleppo. Tra questi, il campo Neirab ha sempre mantenuto una forte identità palestinese per tutti i suoi anni (dovuta anche alla sua distanza dal cuore della città di Aleppo, che ne ostacolava l’integrazione nella struttura sociale della città), a differenza del campo di Handarat, i cui residenti hanno sempre tessuto relazioni sociali forti con i loro vicini aleppini.

Mentre fino al 2011 il regime di Assad interagiva principalmente con le fazioni palestinesi storiche, l’espansione delle manifestazioni e la partecipazione di un numero maggiore di giovani palestinesi alla rivolta popolare — seguita dalla liberazione del campo di Yarmouk da parte dei palestinesi dell’Esercito Siriano Libero, e l’incapacità dei leader palestinesi tradizionali di rispondere a tale sconfitta — ha spinto il regime a cercare nuovi leader palestinesi all’interno dei campi. È in questo periodo che il numero di milizie palestinesi a fianco del regime aumenta, portando alla creazione della Brigata al-Quds (Liwa’ al-Quds).

La Brigata al-Quds emerse verso la fine del 2011, quando alcuni membri del regime istituirono un battaglione dei Comitati Popolari, sotto il nome di Brigata Leoni di Gerusalemme. L’ingegnere e uomo d’affari palestinese Muhammad Al-Saeed fu l’artefice della nuova Brigata, fornendo armi e legami strategici importanti grazie ai suoi stretti rapporti con gli ufficiali dei servizi di sicurezza del regime di Assad ad Aleppo e il movimento Fatah Intifada di cui suo padre era stato leader. L’evoluzione della Brigata di al-Quds nelle file del regime di Assad è stata rapida: già a metà del 2013, svolse un ruolo importante durante le battaglie contro le forze di opposizione che cercavano di prendere il controllo del campo Neirab. In questa fase, la milizia era affiliata al ramo dell’intelligence della aeronautica militare di Aleppo, sotto il comando del generale maggiore Adeeb Salameh.

Oltre alle sue relazioni con i servizi di sicurezza del regime, Al-Saeed ha anche stabilito buone relazioni con l’Iran, il cui sostegno non solo permise alla Brigata al-Quds di aumentare il numero di combattenti nei suoi ranghi, ma anche di assumere un ruolo più centrale nel conflitto ad Aleppo Est. Infatti, a seguito dell’intervento russo in Siria nel 2015, una delle priorità immediate della Russia consisteva nel ri-controllare la città di Aleppo, sotto il controllo dell’opposizione siriana dal 2012. Per questo scopo,  la Russia trovò nella Brigata al-Quds il partner giusto per combattere a terra grazie ai buoni rapporti con il generale di brigata Suhail al-Hassan, all’epoca comandante del comitato militare e di sicurezza ad Aleppo. Dopo la vittoria militare ad Aleppo nel 2016, i combattenti della Brigata al-Quds si sono spostati per la prima volta fuori Aleppo e, negli anni a venire, hanno finito per partecipare a tutte le principali operazioni militari del regime siriano, dalla campagna di Damasco, alla Siria meridionale e alla Siria nord-occidentale, portando il regime a riprendere il controllo della maggior parte delle aree precedentemente controllate dall’opposizione. 

Tuttavia, gli aspetti più importanti della stretta collaborazione tra la Brigata al-Quds e la Russia si concentrano nel supporto della Brigata alle operazioni militari e di sicurezza russe nel deserto siriano (badiya) contro le cellule del cosiddetto Stato Islamico (IS), che dall’inizio del 2020 ha intensificato le proprie attività contro le forze del regime. La badiya siriana ha una grande importanza finanziaria per la Russia grazie ai suoi giacimenti di gas e petrolio e alle miniere di fosfato vicino a Palmira. Nelle sue operazioni nel deserto siriano, l’IS ha fatto affidamento su cellule di combattimento di piccole dimensioni che hanno schierato IED per prendere di mira auto e camion militari siriani sulla Desert Road, oltre a postazioni militari. Attraverso le sue società di sicurezza private, la Russia addestra i combattenti della Brigata Al-Quds nelle operazioni di combattimento e ne ha supportato la crescita, raggiungendo 7.000 combattenti entro la metà del 2019. Da questo punto di vista, la Russia non solo ha sostenuto la Brigata Al-Quds da una prospettiva meramente militare e logistica, e usufruito nel mentre per i suoi interessi economici, ma la ha sostenuto il gruppo anche a livello pubblico assegnando ai suoi comandanti la Medaglia del Coraggio dell’Esercito Russo in più occasioni.

La Brigata Al-Quds e il suo ruolo sociale a livello locale

Il ruolo della Brigata Al-Quds, come nel caso delle NDF, si estende oltre il piano militare. Infatti, la Brigata è diventata gradualmente un movimento politico e militare che ora domina i campi palestinesi di Aleppo, Latakia, Hama e Homs, rappresentando un cambiamento storico nei confronti delle fazioni che storicamente erano state in controllo dei campi, e della causa palestinese in Siria. Il controllo della Brigata sulle comunità locali nel campo avviene attraverso varie attività come il Forum Culturale di Gerusalemme nel campo di Neirab e la Jerusalem Youth Organization, che si occupa di attività ricreative ed educative per gli studenti, oltre all’addestramento militare per i giovani dai 16 ai 30 anni anni. La Brigata, inoltre, fornisce anche servizi medici, soprattutto dopo la diffusione del Covid-19 in Siria, oltre alla distribuzione di aiuti alimentari. L’Ufficio dei Martiri e dei Feriti della Brigata è attivo anche nel fornire sostegno di carattere socioeconomico alle famiglie dei defunti. Anche il comandante della brigata, Muhammad al-Saeed, è diventato una figura importante all’interno della città di Aleppo, incontrando in città dignitari e personalità religiose musulmane e cristiane. La Brigata ha anche sostenuto uno dei suoi affiliati alle elezioni dell’Assemblea Popolare per il distretto rurale di Aleppo meridionale, senza però riuscire ad ottenere un seggio.

Tuttavia, l’autorità e il controllo della Brigata Al-Quds sulla comunità locale nei campi sta provocando un impatto negativo sulla vita e sui diritti delle persone, che va ben oltre la militarizzazione della comunità contro i gruppi vicini che sostengono l’opposizione. Organizzazioni per i diritti umani come il Gruppo d’Azione per i Palestinesi in Siria hanno accusato la Brigata Al-Quds di aver commesso gravi violazioni di diritti umani, come arresti arbitrari e rapimenti a scopo di riscatto, sequestro di proprietà civili nei campi di Neirab e Handarat, oltre al traffico di droga e al reclutamento di bambini. Il coinvolgimento dei combattenti della Brigata Al-Quds in crimini internazionali ha anche portato alla presentazione di denunce penali nei loro confronti nei paesi dell’UE, e recentemente un suo ex combattente è stato arrestato nei Paesi Bassi nel maggio 2022 per il suo coinvolgimento in crimini di guerra.

Suhail al-Ghazi è un ricercatore e analista politico, con una vasta esperienza nel condurre ricerche inerenti la Siria, dagli sviluppi militari alle questioni socio economiche relative al conflitto siriano. In precedenza, ha lavorato come Ricercatore sulla Siria per il Center for Middle Eastern Studies (ORSAM) a Istanbul, come Non-Resident Fellow presso il Tahrir Institute for Middle East Policy di Washington D.C e per ulteriori progetti di ricerca incentrati sulla Siria. Il suo lavoro di ricerca lo ha portato a fornire consulenza a diversi attori politici internazionali coinvolti nel conflitto siriano, tra cui delegazioni diplomatiche, l’Inviato Speciale per l’Italia in Siria, delegazioni di ministeri esteri e dell’Unione Europea. 

Articoli e analisi di al-Ghazi sono apparsi su diverse think-tanks internazionali tra cui the Atlantic Council, the Middle East Institute, e the Tahrir Institute for Middle East Policy negli Stati Uniti, al-Sharq Strategic Research eOmran Center for Strategic Studies in Turchia, e l’Istituto Italiano di Studi Politici Internazionali in Italia. Middle East Institute. Al-Ghazi viene frequentemente intervistato da giornalisti e analisti politici, e i suoi commenti sono apparsi sul Guardian, sul Telegraph e su altri importanti organi di informazione.

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