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TematicheRussia e Spazio Post-sovieticoMilblogger: la nuova frontiera del giornalismo di guerra.

Milblogger: la nuova frontiera del giornalismo di guerra.

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Fino al 2 aprile 2023, giorno dell’attentato che ne ha causato la morte nello Street Food Bar n.1 di San Pietroburgo, Vladlen Tatarsky (nome d’arte di Maxim Yuryevich Fomin) era uno dei più famosi milblogger russi. Con circa 540.000 follower sul suo canale Telegram ed il ruolo di “admin” in numerose pagine social di military blogging, Tatarsky – nato a Makiivka, in Ucraina, nel 1982 – era un vero e proprio “influencer della guerra”, con un passato da combattente nelle file delle milizie filorusse del Donbass durante il conflitto iniziato nel 2014.

Vladlen Tatarsky era uno dei milblogger più radicali, con posizioni politiche particolarmente vicine al Cremlino, considerato una sorta di “portavoce” della Wagner Group di Evgenij Prigožin – i cui combattenti hanno sventolato una bandiera russa in memoria di Formin-Tatarsky sulle rovine del palazzo del Consiglio Municipale di Bakhmut – e che negli ultimi tempi era stato particolarmente scettico nei confronti della gestione strategica e tattica della guerra in Ucraina da parte dello Stato Maggiore russo.

Indipendentemente dai mandanti e dalle piste aperte sulle quali si indaga, la morte violenta di Tatarsky, avvenuta nel corso di una conferenza dedicata al modo di raccontare la guerra, accende di nuovo i riflettori sulla figura del milblogger, figura a metà tra il combattente ed il giornalista, che con la guerra d’Ucraina è tornata al centro del sistema mediatico-informativo internazionale.

La guerra tra Russia ed Ucraina sotto certi aspetti ha cambiato radicalmente il modo di raccontare il conflitto all’opinione pubblica e molte delle tradizionali barriere tra giornalista e pubblico sono crollate con l’entrata in campo dei social media. Ogni soldato dotato di smartphone o di una telecamera da casco (che sul mercato civile costano anche solo 14 euro) può trasformarsi in un reporter di guerra, fotografando e filmando – anche in diretta social – quanto avviene sul campo.

Il pubblico non ha più bisogno di chi la guerra gliela racconta per professione se può avere accesso a contenuti in apparenza senza filtri e ad una mole enorme di informazioni tratte direttamente dalla fonte primaria, anzi, da essa stessa diffuse. 

Dunque, indipendentemente dai professionisti come Tatarsky, esiste un gran numero di milblogger “amatoriali”, sia nelle file ucraine che in quelle russe, che hanno rivoluzionato il modo di fare giornalismo e costruire la notizia direttamente dal fronte di guerra.

Basti pensare a come, da Bakhmut, i soldati ucraini impegnati nella durissima battaglia che si combatte nella città, abbiano smentito a colpi di fotografie e video la dichiarazione di Prigožin sulla caduta della città.

Le riprese in POV che trascinano direttamente lo spettatore in prima linea, i giudizi non edulcorati sulle operazioni militari in corso, la realtà nuda e cruda della guerra ed anche giudizi politicamente radicali sono parte integrante della nuova comunicazione dei conflitti armati nell’epoca della civiltà dell’informazione. È un tipo di racconto della guerra cui è difficile, specie in Occidente, adattarsi, poiché si è abituati ad un tipo di comunicazione differente, controllato da militari ed istituzioni.

Benché i milblogger russi dall’inizio della guerra in Ucraina siano quelli maggiormente citati e conosciuti, fino al 2022 erano Stati Uniti, Iraq, Afghanistan, Regno Unito e Germania le principali sedi dei blog militari, stando alle statistiche del sito milblogging.com, il quale monitora la presenza sul web e nel sistema mediatico di questi reporter di guerra del XXI secolo.

Il fenomeno del warblogging è nato nel 2001 subito dopo l’attentato dell’11 settembre e nel periodo della guerra in Afghanistan. Germogliati con particolare virulenza a partire dal 2003, in concomitanza con lo scoppio della guerra in Iraq e gestiti principalmente da militari statunitensi impegnati nella campagna irachena, i war blog, oltre ad un contributo fattivo al racconto di quel conflitto, diedero anche parecchi grattacapi ai comandi in quanto il rischio evidente generato da una informazione senza filtri è quello di divulgare – anche inconsapevolmente e senza scopi di dolo, proprio come capitato anche ai soldati sia russi che ucraini che postavano selfie nei primi giorni di guerra lo scorso anno – segreti militari ed informazioni sensibili che possono essere utilizzate dal nemico.

Le strade intraprese dagli USA furono due: monitoraggio e controllo continuo di quanto veniva pubblicato sui war blog e implementazioni di progetti che favorissero la nascita e lo sviluppo di versione ufficiali, sponsorizzate direttamente dal Dipartimento della Difesa, di blog di questo tipo. Logicamente l’informazione dei milblogger ha successo perché priva delle briglie della comunicazione tradizionale. Non può esistere un war blog “puro” e contemporaneamente “istituzionalizzato”.

Di fronte allo stesso problema si stanno trovando in questo momento le autorità russe, i cui sforzi sono rivolti alla costituzione di una sorta di coordinamento tra autorità politico-militare e milblogger così da filtrare le informazioni e definire una “linea editoriale” unitaria. Tentativo complesso, a maggior ragione perché molti dei milblogger russi sono coinvolti a vario titolo nelle lotte di potere senza esclusioni di colpi in corso, una delle quali vede lo scontro tra Stato Maggiore e Wagner. I milblogger si ritrovano così nella particolare situazione di avere una posizione politica molto vicina a Putin ed al suo programma ma, contemporaneamente, ostile verso gli “alti papaveri” delle Forze Armate come Gerasimov e Shoigu. Di questa linea Tatarsky era un esempio. Altri, come l’ex colonnello del FSB e Ministro della Difesa della Repubblica Popolare di Donetsk Igor’ Vsevolodovič Girkin, non hanno esitato a criticare aspramente non solo i generali russi ma lo stesso Vladimir Putin per la gestione fallimentare della guerra in Ucraina. 

Le gravi carenze militari dei russi in Ucraina sono state oggetto principale d’indagine e divulgazione dei milblogger. L’apparente libertà con la quale i blogger militari russi criticano la leadership in divisa del proprio Paese, è dovuta da una parte all’impossibilità per le autorità di detenere il monopolio dell’informazione di controllare, quindi, tutta quella che è la narrazione sulla guerra, dall’altra perché spesso i milblogger sono, come ha spiegato il politologo britannico Mark Galeotti, “i portavoce di fazioni piuttosto consistenti all’interno dell’apparato militare e di sicurezza”

A quella dei milblogger professionisti, come già scritto, s’affianca quella dei “social reporter di guerra” sul campo. Entrambe queste figure rappresentano la nuova frontiera del giornalismo di guerra. Fonti certamente da trattare con le pinze ma che costituiscono una utilissima risorsa per chi si occupa di analisi ed anche per l’opinione pubblica. 

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