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Il Mare nelle relazioni internazionali attraverso i secoli. Parte prima

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Il blocco di sei giorni del Canale di Suez, nello scorso marzo, provocato dall’incagliamento improvviso di una gigantesca portacontainer ha reso evidenti le fragilità del commercio marittimo globale e ha messo in luce la necessità di costruire una gerarchia di potenza tra i protagonisti della Global Society sulla base delle loro capacità effettive di controllo e gestione di stretti, canali navigabili e zone marittime cruciali, dalla cui efficienza di funzionamento dipende l’andamento dell’economia mondiale. Gli strumenti e i sistemi di rappresentazione che nel tempo sono stati usati per controllare o governare un elemento fondamentale delle relazioni geopolitiche quale è il mare, nonostante la sua connaturale inafferrabilità, sono oggetto di questo studio. Uno studio che si muove tra la storia del diritto internazionale, la storia delle relazioni internazionali e della scienza geopolitica.

Terra e mare

«L’uomo è un essere di terra che calca il suolo. Egli sta, cammina e si muove sulla solida terra (…) da cui trae non solo il suo orizzonte ma anche le sue impressioni e il suo modo di vivere il mondo. Per questo chiama il pianeta ‘Terra’ e non ‘Mare’, sebbene come è noto, la sua superficie si componga per quasi ¾ di acqua e solo per ¼ di terra, mentre anche i continenti più grandi non fanno che galleggiarvi come Isole», così Carl Schmitt introduce le questioni attinenti al binomio terra-mare, nell’omonima opera del 1942. L’uomo, spiega ancora Schmitt, trae le sue impressioni e il modo di guardare le cose dal carattere oggettivo, materiale e misurabile dalla Terra che lo genera e lo alleva. Un’affermazione quanto mai comprovata dal contesto odierno che governa e domina le acque come fossero una specie diversa di “suolo” o un suo prolungamento. Basti pensare alla scelta del Diritto Internazionale (DI) di regolamentare, sul piano dei diritti sovrani, le acque interne, le acque territoriali o la zona contigua riferendosi ad esse come territorializzazione delle acque marittime. Un modo di intendere il mare che trova motore e fondamento nel processo di costruzione dello Stato Moderno, nel consolidarsi delle scoperte geografiche e dei viaggi oltremare e nelle conquiste coloniali. Infatti, man mano che il protagonista della Global Society diviene lo Stato, con i relativi costrutti di popolo, territorio e sovranità, la sua potestas sovrana viene estesa dalla terra al mare. L’ ‘ordinamento del mondo’ diventa ordinato e organizzato ‘possesso dello spazio’ , sia esso terrestre o marittimo. E sulle capacità di dominio marittimo viene ad essere costruita la potenza delle singole entità politiche.

La costruzione concettuale del ‘mare’

In uno dei suoi ultimi dipinti Tiziano, il pittore favorito dei sovrani europei del XVI secolo, raffigura Filippo II appena dopo la vittoria nella battaglia di Lepanto come un re guerriero che promette a suo figlio altrettanti grandi successi. Siamo già in piena epoca coloniale e decisamente molta cultura medievale persiste nella retorica politica. Eppure da questo momento prende avvio il lento e progressivo processo di sviluppo dello Stato Moderno, che durerà per ben tre secoli. Caratterizzato già da una forte consapevolezza del “limen” come limite politico, fiscale e soprattutto militare che separa dal nemico, dal barbaro, dal semplice vicino. E dalla padronanza del senso dell’‘apprensione’, dell’‘impossessamento’, del ‘riconoscimento della conquista per mezzo di misurazione, divisione e organizzazione’ di un territorio. Lo comprovano le pratiche di formalizzazione giuridica dell’occupazione delle Indie per mezzo di specifiche ‘prese di possesso’, con rituali e simboli puntualmente seguiti e verbalizzati in modo da garantirne l’opponibilità alle concorrenti potenze coloniali. D’altra parte, in ogni epoca lo spazio è il prodotto dello spirito della società che lo costruisce perché dia senso alle relative attività e relazioni. Rispetto delle forme, costruzione di un confine e modifica dello spazio coloniale terrestre ad opera della potenza conquistatrice garantiscono il riconoscimento da parte dei restanti interlocutori globali, Papato compreso. 

E il mare? Come può affermarsi il possesso o la sovranità di una entità incommensurabile come le acque marine? In risposta giunge un nuovo sapere, precisa ancora C. Schmitt, il diritto internazionale delle nazioni cristiane ed europee. Contestualmente alle grandi scoperte geografiche, al raffrontarsi con l’immensità di una spazialità nuova come le Indie e ai suoi mari, si sviluppa un nuovo diritto che aspira a regolare il globo e i suoi protagonisti. È il ius gentium, ‘progenitore’ dell’attuale diritto internazionale.

Il ‘pensiero per linee globali’

L’immensità spaziale interroga i giuristi, i filosofi e i geografi dell’epoca in merito alle modalità di governo e occupazione, di divisione e ripartizione del globo (o meglio delle porzioni di globo via via scoperte e conquistate). Nasce così un modo di pensare per “linee globali”. Ove il termine “globale” indica il carattere tanto planetario-complessivo quanto territoriale-superficiale proprio di questo modo di pensare, basato sull’ equiparazione tra superficie terrestre e superficie marina. E che non si limita ad un piano strettamente geografico, cartografico, scientifico-naturale, matematico-tecnico ma capace di investire il piano politico e relazionale tra le potenze europee. Anzi, i concetti di geografia e cartografia perdono il loro naturale carattere neutrale divenendo oggetto di contese politiche. Non a caso T. Hobbes poi dirà che persino le evidenze dell’aritmetica e della geometria diventano problematiche quando entrano nell’ambito del politico. 

La prima raya

La prima attuazione politica e concreta del ‘pensiero per linee globali’ coincide con la celebre ‘raya’ individuata dalla ‘Bolla Inter-caetera divine’ di Papa Alessandro VI del 4 maggio 1493, che partendo dal Polo Nord giunge sino al Polo Sud, passando a circa 100 leghe ad ovest e a sud dalle Azzorre e Capo Verde. Raya modificata dall’Accordo di spartizione ispano-portoghese di Tordesillas dell’anno dopo, ove viene spostata a circa 270 leghe ad ovest di Capo Verde, sussistendo pressappoco al centro dell’Oceano Atlantico. 

Due linee globali che spartiscono il planisfero in zone di dominio spagnolo e portoghese, ricomprendente indistintamente tanto aree terrestri quanto mari. Non a caso l’Accordo del 1494 viene definito da Papa Giulio II, nel suo atto di ratifica, come ‘Accordo di spartizione di mari e oceani’. Una prassi che prosegue nel Trattato di Saragozza del 1526 in cui ancora le Corone di Spagna e Portogallo suddividono la restante metà del globo, per mezzo di una raya che attraversa l’Oceano Pacifico, ponendo fine alla contesa delle Isole Molucche. Linee o rayas, punti di tracciatura, rotte e direzioni divengono, dunque, strumenti di rappresentazione, organizzazione e controllo politico dei mari

Ma di quali mari? È davvero essenziale che si proceda a controllare intere aree marine? A questa domanda risponde la successiva prassi delle ‘amity lines’.

Il ‘mare libero’

Con il Trattato di Cateau-Cabresis del 1559 si introducono le c.d. linee di amicizia o amity lines che presentano una premessa semantica radicalmente diversa rispetto alle rayas, pur essendo funzionali a porre un ordine spaziale terra-mare. La raya, infatti, non distingue né contrappone la terra al mare. Il mare è un prolungamento della terra, la cui appropriazione si attua tra potenze che si riconoscono uguali seppur contrapposte, in un quadro valoriale cristiano ed europeo. Le rotte di commercio non si distinguono rispetto a quelle di ‘missione’: l’Autorità Papale investe le Corone Europee della missione di evangelizzazione delle terre in cui è sconosciuta ‘la parola di Dio’. Nell’adempimento di questa missione esse potranno conquistare, occupare, sfruttare e commercializzare. Terra e mare costituiscono due parti di un’unica entità. 

Diversamente, le amity lines ammettono una contrapposizione tra terra e mare in virtù del fatto che i concetti di pace e amicizia sono riservati esclusivamente ai territori, ai mari e ai popoli entro di esse contenuti. Infatti, le linee di amicizia passando al sud dell’Equatore o per il Tropico del cancro e a ovest nell’Oceano Atlantico a circa un grado di longitudine dalle Isole Canarie o dalle Azzorre, prima di incrociarsi disegnano uno spazio che coincide con la Vecchia Europa e i suoi mari. Uno spazio di ‘amicizia’ ovvero di valenza dei trattati, di rispetto dei vincoli in essi definiti, di esercizio del potere sovrano, di controllo, di trattativa e negoziazione tra autorità politiche. Oltre la linea, invece, vi è un mondo altro, diverso e contrapposto, violento e spietato. È lo spazio dell’Oltremare.

L’Oltremare

L’Oltremare è il ‘mare libero’: in cui non ha alcuna valenza il ius gentium, non vigono trattati, né regole morali. Famosa a riguardo è la frase della Regina Elisabetta I “No peace beyond the line”, al di là della linea il mare è libero, non vigono norme o formalità, ogni scontro è possibile, il conflitto è inevitabile, esiste soltanto il diritto di preda e la legge della sopraffazione tra schiumatori del mare e corsari. Un mondo regolato esclusivamente dalla legge del più forte, di cui la letteratura si è alimentata nel corso del tempo, basti pensare ai celebri personaggi del ‘L’isola del tesoro’ o del ‘Corsaro nero’, che per quanto frutto di immaginazione permettono di dare vita ad uno spaccato molto veritiero di una realtà a noi lontana. “Spaniards had touched here and there upon coasts, built cottage and given names to a river or a cape which does not entitles them ownership…Prescription without possession is worth little“, ancora, secondo quanto ci riferisce lo storico Camden, aggiunge la Regina Elisabetta rendendo manifesta la volontà di rimettere in discussione le modalità di costruzione dello spazio coloniale e mondiale sino ad allora utilizzate. 

Fare del mare uno ‘spazio libero’ costituisce infatti l’unica rappresentazione possibile che consenta la scesa in campo coloniale di una nuova potenza, quella inglese; così come di rimescolare le carte nella spartizione di un globo già interamente controllato da Spagna e Portogallo. Ma finirà con il divenire l’unico modo di intendere il mare sino ad oggi.

Maria Rosaria Intermite

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