Con 13 morti e 7 elicotteri abbattuti, la “marcia dei mercenari” Wagner su Mosca non è stata tanto una “farsa”, come invece più di qualcuno ha voluto far intendere. L’ormai ex “cuoco di Putin” e fondatore della PMC Wagner, Evgenij Prigozhin, ha ottenuto, forzando la mano al Cremlino, quel che voleva: mettere in discussione il ministro della Difesa Sergej Shoigu ed il capo di Stato Maggiore Valery Gerasimov e salvaguardare l’indipendenza del Gruppo Wagner dalle mire della Difesa.
Il Ministero della Difesa aveva tentato nei giorni scorsi di “fare ordine” tra le oltre ventisei PMC russe che hanno schierato uomini in Ucraina o in procinto di farlo, chiedendo agli “appaltatori privati” di sottoscrivere un contratto. Una richiesta che aveva mandato su tutte le furie Prighozin. Ma il capo della Wagner non è uno stupido e non avrebbe tentato l’impresa senza appoggi – per ora non ancora emersi – ai piani alti di Mosca.
Lo scontro per il controllo del monopolio della violenza in Russia, tra siloviki vecchi e nuovi, è ormai palese ed è stato causato anche dallo “spacchettamento” del potere militare russo determinato dalla scelta di impiegare compagnie militari private sul fronte ucraino. La prova di forza di Wagner ha subito innescato il Risiko delle cariche nella Difesa russa: Aleksey Dyumin, ex guardia del corpo di Putin e governatore di Tula, potrebbe essere il successore di Shoigu alla Difesa mentre al generale Surovikin spetterebbe il posto di Gerasimov allo Stato Maggiore ed alla guida delle forze in Ucraina. Surovikin è stato nominato spesso da Prighozin nell’ultimo periodo come alternativa a Shoigu e Gerasimov. Il generale delle forze aerospaziali era stato già al comando delle truppe russe in Ucraina da ottobre 2022 a gennaio 2023 ed è sempre stato apprezzato dai wagneriti.
Wagner è emblema dell’indebolimento dello Stato causato dalla privatizzazione della violenza che la guerra moderna comporta. La diffusione di PMC come quella di Prighozin è un pericolo per la stabilità di Stati impegnati in un conflitto come la Russia. Le compagnie militari private possono trasformarsi da preziosa risorsa in poli eversivi nel giro di attimi, anche con una popolarità crescente tra i cittadini che può impensierire, e non poco, chi sta al governo. Se fosse proseguito lo scontro tra Wagner e apparati dello Stato, in Ucraina le truppe di Mosca sarebbero andate incontro a serie difficoltà. Dunque, se l’occupazione di Rostov da parte di Wagner aveva lo scopo di “forzare la mano” a a Putin ed a parte delle Forze Armate, spingendoli ad esautorare Shoigu e Gerasimov, e non quello di provocare il collasso delle truppe russe in Ucraina che, di certo, il Gruppo Wagner non vuole, è pur vero che l’importanza logistica della città sul Don ha fatto riflettere su questo punto. Se la ribellione del Gruppo Wagner fosse proseguita, le forze russe al fronte avrebbero potuto subire contraccolpi logistici così gravi da spingere l’Ucraina a forzare la mano sulla controffensiva. Il tempo del “fronte interno” in questo caso ha giocato un ruolo fondamentale. Per ora sul campo cambia poco, anche perché né Zelensky né i suoi generali hanno voluto approfittarne, giustamente, per non correre il rischio di reazioni incontrollabili da parte della catena di comando russa in fibrillazione, come ambienti della NATO avevano temuto inizialmente.
In “Palombella rossa”, Nanni Moretti pronunciava la storica battuta “le parole sono importanti”. Questo è vero nella vita ed ancor di più in politica. Specie nella politica di un Paese che combatte una guerra che sta andando non troppo bene. Quelle usate da Prighozin contro Shoigu (e Putin) e sulle “vere ragioni” della guerra russo-ucraina, sono parole che devono ancora essere valutate. A far riflettere è stata la mancata reazione della popolazione (condita di selfie con i mercenari Wagner come a Rostov). Su POLITICO, Leon Aron ha scritto che l’ultima riga della tragedia di Pushkin Boris Godunov racchiude una condizione chiave di una ribellione di successo: “Narod bezmolvstvuet“, cioè “la gente tace”, che è, fondamentalmente, non solo espressione del senso profondo del rapporto che il popolo russo ha con gli scontri al vertice tra élites, ma anche un pericoloso campanello d’allarme per il Cremlino.
Per Prighozin, Shoigu “sta ingannando in modo attento Putin” sull’andamento della guerra in Ucraina, un conflitto voluto, secondo il capo dei Muzycanty, non per la salvaguardia degli interessi nazionali russi ma per favorire ruberie e arricchimenti in punta di baionetta del ministro della Difesa, del suo capo di Stato Maggiore e dei loro accoliti nelle Forze Armate.
La ribellione di Prighozin è durata, però, troppo poco per valutare l’influsso di queste parole sulle Forze Armate nel medio-lungo termine. In fondo, perché un qualunque ufficiale o soldato russo al fronte in Ucraina non dovrebbe pensarla come Prighozin e sostenere, anche senza esplicarlo, le critiche di Wagner a Shoigu e Gerasimov non è stato spiegato. Sarebbe un fenomeno già visto nel corso della storia, con quadri intermedi e truppa scontenti dei propri comandanti, e di cui tener conto. Lo scollamento tra soldati al fronte e vertici moscoviti – che, è bene ripeterlo, non può essere valutata già ora – è un elemento da considerare per il prossimo futuro e per l’evoluzione del putinismo. La guerra contro l’Ucraina è stata un azzardo per Putin ed ha palesato tutte le contraddizioni del potere in Russia. Chi fin dal febbraio del 2022 ha parlato di “salto nel vuoto” per Mosca ha avuto ragione. La “Marcia della Giustizia” di Wagner sulla capitale lo ha dimostrato.