La tornata elettorale del 2022 si conclude con l’annunciata vittoria di Ferdinand Bong-Bong Marcos, in binomio con l’elezione di Sara Duterte alla vicepresidenza. L’eredità e la riabilitazione del nome dell’ex dittatore saranno ristabilite, ma il l’alleanza Marcos-Duterte dovrà reggere alle sfide che l’Arcipelago ha davanti, in un contesto economico e politico dinamico e non privo di rischi.
Lo scorso 9 maggio le Filippine hanno votato per le elezioni presidenziali, scegliendo il Presidente, il Vicepresidente e la composizione parlamentare. I vincitori annunciati di questa tornata elettorale sono stati il figlio dell’ex dittatore Ferdinand “Bong-Bong” Marcos Jr. (chiamato anche BBM) alla presidenza e la figlia dell’ex presidente, Sara Duterte alla vicepresidenza. Le ragioni del successo di quella che si prospetta quantomeno come una “diarchia” tra due delle più importanti dinastie politiche del Paese risiedono nella capacità di aver forgiato un’alleanza tra territori (Marcos a Nord e Duterte a Sud), nell’aver riabilitato l’immagine dei Marcos come dinastia di leader forti, pronti a raccogliere assieme ai Duterte le redini del Paese. Tale narrazione ha avuto successo anche per l’efficace diffusione di un chiaro messaggio revisionista nei social media, nella vaga promessa di politiche assistenzialiste, nonché una compattezza tra candidati che non ha trovato una vera coalizione all’opposizione, ma soltanto candidati gelosi della propria indipendenza politica, per quanto validi e capaci.
Al netto di quanto illustrato nel programma di “Bong-Bong”, focalizzato su tematiche di sicurezza, un progetto federalista e un vago richiamo al senso di unità nazionale, la presidenza, una volta riabilitato il nome del vecchio dittatore, dovrà affrontare tre principali sfide che si ritengono essere centrali per il futuro sviluppo del Paese.
Innanzitutto, le Filippine dovranno far evolvere il loro modello di sviluppo economico. “Bong-Bong” e il suo programma non godono di un outlook favorevole al fine di attrarre investimenti stranieri, come sottolineato da alcuni istituti finanziari. Tuttavia, è innegabile che per completare la ripresa economica nell’era post-COVID (e lasciarsi alle spalle due anni di draconiani lockdown) è essenziale per il Paese attrarre un maggior numero di investimenti esteri. Passi avanti sono già stati intrapresi in tal senso: è stata approvata tra gli ultimi atti di Duterte una legge che permette di costituire società con capitale al 100% di proprietà estera. Inoltre, Marcos Jr. e la sua maggioranza in parlamento dovranno ratificare l’accordo RCEP, garantendo l’accesso dell’arcipelago nel più grande accordo commerciale della storia. Mantenere buoni tassi di crescita (circa 6% del PIL pre e post-pandemia) è essenziale per sostenere il debito pubblico accumulato dalla precedente amministrazione nel perseguimento di politiche assistenziali e progetti infrastrutturali, e per tenere sotto controllo l’inflazione che ne è scaturita. Al momento, da quanto esternato da “Bong-Bong” e Sara, non emerge una chiara direzione in materia di politica economica: è pertanto da ritenere che gli interessi delle élite (Dynastias) e il loro opportunismo possano essere fattori determinanti le scelte dell’amministrazione in materia economica. Rimane in questo quadro da capire quanto le fasce più povere della popolazione beneficeranno dei flussi di ricchezza, al di là dell’assistenzialismo e delle promesse opere infrastrutturali.
La seconda sfida per il tandem BBM – Sara sarà quella di mantenere la coesione nel Paese. È innegabile che i due godano dell’appoggio di larghe fasce della popolazione, le quali si aspettano un concreto pacchetto di aiuti promesso da loro e dai loro padri in passato: riso con prezzo calmierato, lavori stabili seppur umili, possibilmente politiche di sussidi espansive. Da qui la necessità di conciliare le aspettative dei territori con le élite incaricate di gestirli: la soluzione potrebbe essere il progetto federalista proposto dalla coalizione. Inoltre, in ossequio alle politiche in materia di sicurezza perseguite da Duterte Sr. (una “Lotta alla Droga” risultata in circa 6000 uccisioni senza processo), l’ordine pubblico e la coesione possano essere assicurati anche (ma non esclusivamente) attraverso simili politiche repressive. Resta aperta la questione su come BBM gestirà il dissenso e l’opposizione, particolarmente forte e organizzata a Manila: Marcos Jr. non sembra essere la copia di suo padre, e del resto potrebbe essere suo interesse mantenere aperto il contatto e il dialogo con la parte del Paese più competitiva, ultra-modernizzata che ne costituisce la fonte di competenze, know-how e ricchezza. Segni di un approccio più cauto e conciliatore potrebbero già intravedersi nella sua dichiarazione di mantenere (seppur probabilmente riformata) la Commissione istituita per recuperare i fondi malversati da suo padre.
In ultimo luogo, ma non per importanza, il Presidente dovrà mantenere in equilibrio i rapporti dell’Arcipelago con le due grandi potenze, Cina e Stati Uniti. Di primo acchito, è ragionevole ritenere che l’elezione di BBM sia un successo per la Cina nella competizione strategica con gli USA nella zona. Tale visione sembra essere confermata da indiscrezioni circa le simpatie di BBM e l’aperta amicizia dei Duterte nei confronti di Pechino. Un’amministrazione più o meno apertamente filocinese, come di consueto, sarebbe garante per gli investimenti cinesi nell’arcipelago. Tale concezione ha sicuramente il merito di sottolineare come non ci si potrà aspettare una postura apertamente ostile nei confronti della Cina da parte della nuova amministrazione, ma non tiene conto di alcuni fattori storici e strategici che rendono questo schema assai più complesso. Innanzitutto, è evidente come qualsiasi presidente non possa al momento essere accomodante nei confronti dell’assertività cinese nel Mar Cinese Meridionale (MCM): quasi il 90% dei filippini considera violazione della propria sovranità territoriale qualsiasi azione di disturbo messa in atto dalla guardia costiera cinese nelle isole del MCM, e si aspettano a riguardo una postura ferma da parte della presidenza. In secondo luogo, i tentativi di accomodare Pechino già intrapresi da Rodrigo Duterte possano dirsi falliti: gli attacchi nel MCM sono continuati e nessuno dei promessi faraonici investimenti infrastrutturali a capitale cinese è mai stato intrapreso, né un tavolo negoziale bilaterale è mai stato aperto tra le parti in causa. Sembra più ragionevole ipotizzare che le Filippine dovranno necessariamente dipendere dagli USA e loro alleati (Giappone e Australia), per la propria sicurezza. L’amministrazione BBM potrà forse ritardare i tempi di piena esecutività del recente trattato di cooperazione militare (Enhanced Defense Comprehensive Agreement – EDCA) tra i due paesi, mitigando i rischi di ritorsione cinese. Inoltre, i rinnovati interessi strategici degli Stati Uniti nell’Indo-Pacifico potrebbero portare ad una rifioritura dei loro rapporti con BBM. Al contrario di Rodrigo Duterte (il quale nutriva un radicato risentimento nei confronti degli USA), Marcos Jr. parrebbe più interessato ad essere riabilitato e considerato interlocutore di Washington: come già successo per altri leader (si pensi al Presidente indiano Modi), gli USA potrebbero pragmaticamente assicurare accesso e immunità al neo eletto presidente, al netto dei processi pendenti e del divieto di ingresso nel Paese che gravano su di lui.
In conclusione, emerge come la presidenza Marcos dovrà guidare il Paese verso un futuro di rischi ed opportunità. È indubbio come l’amministrazione beneficerà del dinamismo economico del Sud-Est Asiatico, e potrà sfruttare le opportunità offerte dalla posizione strategica di confine tra le sfere di influenza delle due superpotenze. Eppure, occorre sottolineare come l’attuale coalizione di governo sia frutto dell’alleanza tra dinastie politiche, radicate sul territorio dell’Arcipelago, che presentano interessi contrapposti e frammentati. Non a caso lo slogan di “Bong-Bong” è da sempre stato “Unità”: conciliare gli interessi delle varie fazioni e dare a ciascuno la sua parte, tenendo nello stesso tempo dritta la bussola di un Paese in rapida trasformazione, ne richiederà molta.