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TematicheItalia ed EuropaMacron in Libano: la Francia guida la transizione politica

Macron in Libano: la Francia guida la transizione politica

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La Francia sta utilizzando la crisi politica seguita all’esplosione del deposito di nitrato di ammonio nel porto di Beirut per dettare l’agenda politica libanese e riaffermare la propria leadership sul paese. Macron vuole evitare che altri attori regionali possano sfruttare la situazione di caos istituzionale per acquisire maggiore peso e influenza sul paese dei cedri.

Macron si mobilita

All’indomani della esplosione nel porto di Beirut, la Francia si è immediatamente fatta carico di gestire l’emergenza immediata inviando sul posto, mediante un ponte aereo, ingenti quantitativi di aiuti medici e alimentari. Prima ancora di numerose autorità e politici libanesi il presidente Macron si è recato il 6 agosto sul luogo dell’incidente, dove è stato accolto da grandi manifestazioni di apprezzamento da parte della popolazione, esasperata per la totale assenza del governo nella gestione dell’emergenza. Macron, che si è rivolto ai cittadini Libanesi puntando il dito contro l’inerzia e la negligenza della classe politica, è stato salutato dai manifestanti nelle strade come un liberatore che possa finalmente trovare una soluzione all’impasse politica e porre un argine alla corruzione del sistema politico.

Durante questa visita nella capitale libanese ha lanciato un’iniziativa diplomatica di solidarietà a sostegno del Paese organizzando per il 9 agosto una videoconferenza di paesi donatori riuniti sotto l’egida dell’ONU con il fine di raccogliere rapidamente un pacchetto di aiuti che sostenga il Paese in piena crisi economica, gestionale e sanitaria.

Il Libano si trova in una situazione difficilissima, oltre alla difficile gestione della pandemia da Covid19, il Paese è sprofondato ormai da mesi in una pesantissima crisi economico finanziaria che lo ha portato alla bancarotta nel marzo di quest’anno per via di un debito pubblico pari al 170% del Pil. Sono mesi che si susseguono proteste e manifestazioni contro la corruzione del governo e della classe dirigente che, dopo decenni di clientelismo e di spreco di danaro pubblico, ha ridotto il paese in miseria e aumentato le disuguaglianze.

Parigi detta l’agenda del nuovo governo

Il 10 agosto il primo ministro Hassan Diab ha rassegnato le dimissioni del suo governo. La formazione di un nuovo esecutivo, a poche ore dalla seconda visita del presidente francese, è frutto della mediazione tra i partiti libanesi portata avanti dalla Francia, la quale ha esercitando pressioni su tutte le forze politiche presenti nel parlamento, inclusi Hezbollah. La nomina di Mustapha Adib a primo ministro non sembra rappresentare un segnale di discontinuità con il passato, in quanto l’ex ambasciatore a Berlino, sconosciuto ai più, appare come una figura facilmente controllabile dalle forze politiche tradizionali.

Il primo settembre, durante il suo secondo viaggio a Beirut, Macron ha dichiarato di aspettarsi dal nuovo governo un primo progetto di riforme in campo economico-sociale entro un mese dalla sua formazione, aggiungendo che se queste non saranno avviate entro i prossimi tre mesi verranno imposte delle sanzioni.

Nel suo discorso il Presidente ha fatto riferimento ai 10 miliardi di dollari stanziati nell’ambito della conferenza “CEDRE” tenutasi a Parigi nell’aprile del 2018. Questi fondi sono bloccati in attesa di un piano credibile di riforme strutturali. Già allora erano state sollecitate, in particolare dalla Francia, misure di contrasto alla corruzione e alla povertà dilagante e una radicale riforma del settore bancario.

Macron si concentra sul libano per non parlare di Francia

L’attivismo diplomatico in Libano, che si inquadra in un più ampio e generale attivismo in politica estera, è visto in Francia come una strategia di Macron per spostare l’attenzione dalle questioni interne alla politica estera. Ricordiamo che Macron, oltre alla difficile gestione del travagliato percorso di riforme, fortemente avversato dai sindacati e dai “Gilets Jaunes”, è reduce da una pesante sconfitta alle ultime elezioni comunali che hanno visto trionfare i verdi nelle grandi città soprattutto a scapito del suo partito. La trasferta a Beirut, in concomitanza con il centenario dell’indipendenza del Paese dalla Francia, e i toni particolarmente assertivi per non dire imperativi delle dichiarazioni di Macron alla politica libanese, hanno destato non poco nervosismo in Medio oriente come in Francia. Jean Luc Mélenchon, leader del movimento politico di sinistra “France Insoumise”, ha accusato il Presidente di neocolonialismo e di ingerenza negli affari interni del Libano, invitandolo a concentrarsi sulla grave situazione economica in cui la Francia si trova per via della pandemia.

Divergenze tra Parigi e Washington

L’azione diplomatica francese si è scontrata con le posizioni degli USA che hanno recentemente stabilito nuove sanzioni ai danni degli ex ministri del governo libanese Ali Hassan Khalil (Amal) et Youssef Fenianos (Marada) con l’accusa di corruzione e di sostegno a Hezbollah, dichiarato dagli americani organizzazione terroristica.

Il segretario di stato americano Pompeo ha espresso l’irritazione degli USA per i contatti tra i francesi e Hezbollah durante le trattative per la formazione del nuovo governo. La Francia, contrariamente ad altri paesi europei si rifiuta inoltre di dichiarare Hezbollah organizzazione terroristica, sostenendo la tesi della separazione all’interno del movimento tra il partito politico e la sua ala militare. Ad aggravare la posizione della Francia agli occhi degli Usa è inoltre il mancato voto di questa in consiglio di sicurezza per estendere l’embargo sugli armamenti all’Iran. Il voto contrario della Francia alla risoluzione USA contro l’Iran, in aggiunta al mancato supporto di Regno Unito e Germania, ha determinato la bocciatura della risoluzione in questione. All’accusa da parte di Pompeo alla Francia di non collaborare alla pace e alla stabilità della regione, Macron ha risposto che al contrario la Francia si adopera per il mantenimento di un equilibrio nella regione che metta al riparo da una possibile escalation.

Le ragioni dell’intervento francese e i suoi limiti

Il fatto che un capo di stato straniero si intrometta fino al punto di premere per la formazione di un nuovo governo e di dettare l’agenda delle riforme costituisce sicuramente un’ingerenza nella politica interna del Libano tutt’altro che nuova. Infatti, nel 2017 la crisi istituzionale e diplomatica avvenuta a seguito delle dimissioni imposte dai sauditi all’allora premier Saad Hariri per estromettere Hezbollah dal governo, era stata risolta tramite l’intervento risolutivo del presidente francese con un viaggio a Riad. A seguito di quell’intervento, Hariri, tenuto probabilmente in ostaggio per due settimane a Riad, fece ritorno in patria e ritirò le proprie dimissioni.

Oltre a difendere i propri interessi e la propria leadership nel Paese, la Francia sta svolgendo un’importante funzione di mediazione e il suo intervento è volto a stabilizzare il Paese e a preservarne la sovranità e l’indipendenza da un’ulteriore ingerenza di potenze regionali come la Turchia l’Iran o l’Arabia Saudita.

La formazione del governo con il sostegno di Hezbollah rappresenta quindi un successo della linea francese che predilige la mediazione tra le diverse comunità politico-religiose e la continuità rispetto alla strategia di contrasto diretto alle forze sciite sostenuta dagli USA. La criticità della regia Francese sta nell’aver trovato la quadra attorno ad un compromesso di governo che coinvolge tutte le principali forze politiche e, allo stesso tempo, pretendere da quelle stesse forze politiche quel rinnovamento che non sono riuscite a portare avanti per decenni.

Resta da capire se e quanto la politica libanese e il nuovo governo consentiranno alla Francia di esercitare questo ruolo di supervisione/protettorato sull’agenda politica del Paese, mettendo in campo il tanto auspicato piano di riforme. Risulta difficile immaginare che il nuovo governo intraprenda improvvisamente un percorso virtuoso di riforme. Allo stesso tempo è molto improbabile che Macron, nel caso di un ulteriore rinvio di un progetto credibile di riforme, decida di imporre quelle sanzioni che ha minacciato e non conceda un sostegno economico ad un paese che in questo momento non sembra poter fare a meno di aiuti internazionali che sostengano la drammatica situazione economica.

Uno scenario probabile è quello di un compromesso che consenta alla Francia di mantenere la sua sfera di influenza sul paese e al nuovo governo di rimanere al potere senza dover fare quelle riforme che andrebbero a ledere quegli interessi di cui è esso stesso espressione.

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