Alla luce dell’annuncio del presidente degli Stati Uniti Biden, il completo ritiro delle truppe americane dall’Afghanistan entro l’11 settembre è un gesto simbolico per più ragioni, a partire dalla data. Rappresenta un punto di transizione per le amministrazioni americane a venire e, più in generale, per l’impegno della NATO a sostegno della pace e della sicurezza, con un teatro in meno di cui doversi sostanzialmente occupare. Dopo una presenza quasi ventennale sul suolo afhgano, il presidente Biden ha valutato fosse ora di lasciare nelle mani del riformato esercito e delle nuove forze dell’ordine, le principali sorti della sicurezza del paese. Molti però non sanno che anche l’Unione europea ha avuto un suo ruolo nella nazione, supportando proprio l’operato americano e della NATO.
Seppur con minori riflettori puntati su di sé, nella storia dell’Afghanistan è stata presente anche l’Unione Europea. Nel 2007 viene lanciata EUPOL Afghanistan (European Union Police Mission), una missione civile all’interno del quadro della PSDC con lo scopo di aiutare il governo afgano nella formazione della polizia civile, capace di assistere le attività governative e far rispettare lo stato di diritto e i diritti umanitari nello svolgimento del loro lavoro. EUPOL è stata disegnata per assistere in modo complementare le altre missioni presenti nel territorio e supportare il progetto strategico europeo per la nazione. Formata da esperti ufficiali di polizia provenienti dagli Stati membri disponibili in distaccamento per la missione, EUPOL aveva contatto diretto con il Ministro degli Interi, potendo provvedere a consigliarlo nelle riforme e affinare il grado di collaborazione interforze tra personale locale ed internazionale. Il piano europeo, perfetto sulla carta, trovò vari ostacoli nel proprio percorso sin dal suo lancio, infatti non raggiunse le duecento unità previste dal documento iniziale prima del febbraio 2009, mentre nel 2008 era già evidente che il numero di personale necessario dovesse essere doppio rispetto quello previsto. Ad ogni modo, le forze di EUPOL non hanno mai raggiunto più di 340 unità contemporaneamente sul suolo afghano, apice raggiunto tra il 2010 e il 2012. Per favorire una migliore prospettiva di questi numeri, è necessario sottolineare come la superficie dell’Afghanistan sia più del doppio di quella italiana e con una geografia altamente sfavorevole in alcune aree, in questo scenario è improbabile che circa trecento unità possano avere un impatto significativo su tutto il territorio.

L’inizio turbolento ed il malcontento degli Stati membri era causato principalmente dallo scarso tempo dato a disposizione dal Consiglio per trovare i volontari necessari per tale missione. Questa instabilità si riverberò anche nei piani alti della missione, con tre cambi al vertice in soli diciotto mesi, rallentando notevolmente tutti i processi a cascata. Bisogna ricordare come sul finire dei primi anni 2000, l’Afghanistan era un paese percepito come altamente insicuro e l’influenza statunitense fosse ancora molto forte, l’Unione di fatto trovò poco spazio nei distaccamenti regionali e provinciali nei quali la NATO non voleva condividere i propri compiti come si legge nel rapporto della ECA (European Court of Auditors). Nonostante la missione di supporto fu richiesta dagli stessi Stati Uniti, la cooperazione NATO-UE nei primi anni non fu così semplice data la sovrapposizione di competenze e la limitazione nel personale a disposizione. La competizione per l’Unione era anche al proprio interno, con distaccamenti nazionali che spesso avevano un doppio ruolo anche in EUPOL, oscurando così l’operato europeo, percepito con sempre minor importanza.
L’operazione si rimodulò andando ad aggirare i principali ostacoli dei primi anni di attività. I distaccamenti regionali e provinciali erano privi del personale sufficiente e dell’apparato logistico per mandare avanti le attività. Era diventato difficile, se non impossibile riuscire a promuovere delle riforme a livello nazionale, troppo influenzato da corruzione ed altri fattori di instabilità. Così la missione decise di centralizzare gli addestramenti, rimodulando l’attività di affiancamento e costruzione delle competenze. Uno dei più grandi meriti di EUPOL può essere rintracciato nel finanziamento di nove milioni per il Police Staff College, un centro di eccellenza collegato con il Ministero degli Interni, con sede a Kabul, che collaborava con la NTM-A (NATO Training Mission in Afghanistan) e capace di diplomare circa sei mila ufficiali dal 2010 al 2014 grazie la supervisione degli ufficiali europei.
Con la costruzione del centro e l’acuirsi della fase peggiore del terrorismo nel paese, l’Unione trovò poche ragioni di continuare il suo operato dato che la maggior parte degli ufficiali di polizia era coinvolto negli scontri armati e non erano quindi disponibili per le lezioni di addestramento.

Nel dicembre 2014, il Consiglio decise di sospendere definitivamente EUPOL nel 2016, non rinnovandone il mandato ma da com’è evidente dal grafico sopra, il ritiro del contingente europeo ed il mancato supporto continuativo nella fase di addestramento ha riacceso nel breve periodo la minaccia jihadista, la quale ha potuto colpire ancora più forte la popolazione. Nel quadro di NTM-A, il supporto europeo, seppur inizialmente confusionario, lasciava spazio ai contingenti NATO di adoperarsi nella parte cinetica più che di addestramento ed il centro lasciato in eredità avrebbe costituito uno dei poli della formazione afgana, invece che i vari micro-nuclei formativi a cui singoli Stati facevano a capo. Il disimpiego dell’Unione suggerisce ancora una volta la frammentazione e la concorrenza a competenze interne siano il disinnesco per il successo delle attività comunitarie Il Direttore della Research Division del NATO Defense College, Thierry Tardy, nella sua analisi della missione descrive come quasi impossibile per il contingente europeo svolgere il doppio ruolo di assistenza al policy making e addestramento, per mancanza di personale e coordinazione interna allo Stato. Inoltre, sottolinea come proprio la scarsa preparazione strategica della missione abbia impattato negativamente nella collaborazione con gli altri attori internazionali, riverberandosi anche nella difficile implementazione degli addestramenti a livello locale.
I mandati dell’Unione sono scritti in modo ampio e generico proprio per mettere la loro ridefinizione a seconda delle circostanze e portare a termine quanti più compiti possibili, nel caso afgano è però difficile per mancanza di dati e a livello metodologico stabilire quanta influenza abbia avuto il trascorso europeo, quanto di buono sia stato seminato e quanto poi abbia effettivamente raccolto l’ANP (Afghanistan National Police). Ciò che si evince, è la mancata opportunità di creare un asse NATO-UE solido in Medio Oriente. Ad ogni modo, è doveroso constatare come l’approccio dell’Unione sia cambiato negli ultimi anni in virtù del Trattato di Lisbona e dell’EUGS (EU Global Strategy) del 2016 e che questa cooperazione sia migliorata soprattutto grazie al caso dell’Iraq. Rimane la sensazione che il passaggio dell’UE in Afghanistan sia stato, seppur lungo una decade, costellato di difficoltà e privo dei mezzi monetari ed umani per raggiungere gli alti obiettivi prefissatisi.