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NotizieL’ultimo decennio del Sea Power statunitense

L’ultimo decennio del Sea Power statunitense

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Nell’aprile 2020 è stato pubblicato il Naval Doctrine Publication 1: Naval Warfare (NDP-1) congiuntamente dalla U.S. Navy,  dall’U.S Marine Corps e dalla U.S. Coast Guard (definite collettivamente come U.S. Naval Service) a 10 anni di distanza dal suo predecessore. Il fatto che intercorra un decennio tra le due versioni del documento permette di poter comprendere come in questo lasso di tempo si siano evoluti i military affairs statunitensi per quanto concerne il dominio marittimo.

È importante sottolineare come negli affari militari l’analisi dei trend e dei processi di evoluzione e cambiamento avvenga secondo diversi approcci che spesso richiedono di essere integrati tra loro. Tre dei principali metodi d’analisi riguardano: lo studio delle caratteristiche dei conflitti e delle crisi, un secondo metodo vede la sistematizzazione dei processi di evoluzione dei concetti operativi e della force structure di un determinato attore e infine vi è l’analisi comparativa della produzione teorica e dei documenti di maggiore rilevanza avuti nel lasso di tempo considerato. Ciò permette di comprendere non solo la metodologia d’analisi ma anche come uno stesso documento possa essere rivisto ed aggiornato nel corso del tempo partendo anche da questi diversi approcci.

L’approccio storico

Uno dei primi aspetti che emerge dal NDP-1 (2020) è l’influenza del pensiero Mahaniano sulla concezione del Sea Power statunitense. Secondo il pensiero di A. T. Mahan (1840-1914) la prosperità degli Stati Uniti risiede nel dominio del mare attraverso l’esercizio del già citato Sea Power. Ciò deriva dal fatto che, nella sua visione, gli Stati Uniti hanno i tratti caratteristici di una “Maritime Republic”. Sotto questo aspetto quello che cambia in questo decennio è l’importanza data ad uno dei pilastri del pensiero più strettamente strategico di Mahan: la presenza di una grande flotta e di un sistema industriale adeguato. Negli ultimi dieci anni infatti si è avuta una transizione da una dottrina di Sea Control (che può essere considerata una versione a breve termine e localizzata del concetto di Command of the Sea) verso una dottrina di Full Range Combat Operations che vede la flotta in grado di operare in ogni tipo di teatro con capacità Full Spectrum. Questo passaggio è confermato dai trend di sviluppo tecnologico degli ultimi anni, si veda il forte incremento delle capacità EW/IO (Electronic Warfare/Info-Ops), delle joint capabilities condivise dalla flotta, dagli investimenti nei sistemi ad energia diretta e lo sviluppo di architetture avanzate per il contrasto delle missile capabilities dei competitor. Uno dei casi di maggior importanza che dimostra lo sviluppo di queste direttrici è la futura classe di fregate Agility che riassume molti degli elementi che stanno caratterizzando lo sviluppo delle forze navali degli ultimi anni.

L’approccio storico del NDP-1 (2020) si conclude con l’analisi delle lezioni che possono essere apprese dal teatro del Pacifico durante la Seconda Guerra Mondiale. Se da un lato si sottolinea l’importanza di quella campagna per la capacità di coordinare operazioni terra con quelle marittime dall’altro si è compreso come non si possa dare un peso eccessivo al precedente storico.

La visione del ruolo della U.S. Navy

Per poter comprendere quali siano le reali differenze tra le visioni presenti nei documenti è importante fare una precisazione introduttiva. Sul piano strategico a medio/lungo termine il ruolo della U.S. Navy non ha avuto un cambiamento radicale come si può anche dedurre da un’analisi comparativa che va dal QDR (Quadrennial Defense Review) del 2010 alla NDS (National Defense Strategy) del 2018. Già dal QDR del 2010 emergono quei trend che saranno caratteristici dell’ultimo decennio come il contrasto alle capacità missilistiche cinesi e l’ingresso di due nuovi domini operativi come quelli cyber e spaziale. Nel Report of the Quadriennal Defense Review del 2014 questa visione trova una sistematizzazione ancora più chiara come si deduce dal seguente passaggio: “Joint Forces will be prepared to battle increasingly sophisticated adversaries who could employ advanced warfighting capabilities while simultaneously attempting to deny U.S. forces the advantages they currently enjoy in space and cyberspace”. Questo punto mostra come già al tempo era chiaro che la U.S. Navy avrebbe dovuto essere in grado di operare full spectrum e con un’alta responsiveness in ogni dominio operativo. Un altro aspetto che emerge nel 2014 e trova una sua sistematizzazione nel 2016 è la già citata necessità di una flotta numerosa che nel Force Structure Analysis verrà programmata a 355 unità (numero riferito alla sola Battle Force).

La NDS del 2018 infine rende ancora più esplicita questa necessità di avere una forza ampia ed in grado di competere in ogni tipo di teatro e dominio: “We face an ever more lethal and disruptive battlefield, combined across domains, and conducted at increasing speed and reach—from close combat, throughout overseas theaters, and reaching to our homeland”.

Con questa premessa si può dedurre come in realtà le differenze tra le due versioni del NDP-1 debbano essere lette alla luce dei macro-trend che hanno caratterizzato il mondo della difesa statunitense sin dalla fine della Guerra Fredda. La visione dei due documenti si concentra su due concetti affini ma non identici: nel NDP-1 (2010) l’attenzione è posta su una più ampia Joint Force e di come il Naval Service possa rispondere a questa esigenza mentre nel NDP-1 (2020) centrale è l’importanza che il Sea Power assume per gli Stati Uniti.

Nel NDP-1 (2010) l’approccio risente molto delle contingenze storiche del periodo che vedevano la Marina statunitense effettuare operazioni di supporto per le missioni in Iraq ed Afghanistan. In questi teatri era centrale l’uso delle portaerei come base per il Power Projection e il supporto delle truppe a terra e non secondario era il fatto che non vi fosse alcuna minaccia diretta alle unità della U.S. Navy e alla relativa catena logistica. Il fatto di operare in scenari uncontested si estende anche alle operazioni antipirateria nel Corno d’Africa e più in generale a tutte le operazioni di sea patrol. A ciò si aggiunge l’importanza assunta dalle missioni di assistenza umanitaria e di aiuti per disastri naturali come nel caso del terremoto di Haiti del 2010. Questo ampio spettro di operazioni ha spinto fortemente la marina verso una maggiore integrazione con altre componenti delle FF.AA. land-based. Tra i principali esempi si può annoverare la costante presenza del corpo dei Marines nei teatri operativi del Medio Oriente, la costante presenza di uno o due Carrier Strike Groups a supporto delle operazioni e il passaggio di competenze dal Dipartimento dei trasporti a quello dell’Homeland Security per quanto concerne la Guardia Costiera.

Lo scostamento (ma non il suo abbandono) da una visione prettamente joint delle forze navali è chiaro se si vanno a confrontare i principi enunciati nelle due versioni del NDP-1. Come si può notare dalla tabella pubblicata dal CIMSEC (Centre for International Maritime Security) nel corso di questi dieci anni sembrano scomparire i principi di restraint, perseverance, and legitimacy. Ciò non significa che questi siano stati abbandonati quanto piuttosto che, ad oggi, i così definiti Principles of War abbiano assunto un ruolo primario rispetto ai Principles of Joint Operations confermando quel trend che vede il ritorno in primo piano del Naval Warfare e dello sviluppo di capacità operative Full Spectrum della Marina.

La dimostrazione che il concetto di Jointness non sia stato accantonato risiede nel fatto che nel NDP-1 (2020) è riaffermato come la U.S. Navy non operi in maniera autonoma dalle altre Forze Armate. I teatri operativi odierni richiedono infatti non solo la capacità di operare Full Spectrum ma anche di integrare le proprie capacità con quelle delle altre forze data l’interdipendenza che si è raggiunta tra i vari domini operativi. Si pensi alla centralità del dominio spaziale per quanto concerne le comunicazioni e l’osservazione terreste, soprattutto nel caso si parli di un teatro operativo vasto e complesso come quello dell’Oceano Pacifico. Anche l’U.S. Army e l’Air Force in termini di Forward Presence svolgono un ruolo fondamentale sia in questo teatro che in tutte le aree in cui sono forti gli interessi statunitensi.

Il concetto di Forward Presence fornisce anche un’altra importante indicazione su come si sia evoluto il ruolo della Marina in quest’ultimo decennio. Come si nota dalla seconda tabella riportata dal CIMSEC si ha un cambiamento degli “obiettivi”: mentre i compiti di Sea Control, Power Projection, Deterrence e Maritime Security sono rimasti invariati si è visto passare in secondo piano il ruolo umanitario e la Forward Presence a favore del Sealift. Va chiarito nuovamente che questi due aspetti non sono scomparsi ma hanno visto, dal punto di vista strategico, un ridimensionamento a favore di capacità logistiche. Ciò si deve a due fattori:

  • In primo luogo, la conformazione geografica del teatro del Pacifico e la necessità di mantenere capacità di proiezione della forza globali impongono la presenza di una forte ed efficiente catena logistica che possa sostenere le forze in teatro in modo costate, rapido ed efficiente.
  • Il secondo fattore affonda le sue radici già da prima del NDP-1 (2010) come mostrato dalle considerazioni del 2002 emerse dal Joint Forces Command’s Millennium Challenge. In quel caso si è simulato un teatro operativo in cui gli avversari fossero dotati di capacità offensive tali da minacciare le rotte logistiche della U.S. Navy. Lo sviluppo delle capacità A2/AD cinesi ha quindi reso di primaria importanza la salvaguardia non solo delle unità combatants ma anche di tutte le unità di supporto le quali devono operare in ambienti contestati sotto costanti minacce multi-dominio. Non a caso l’acquisizione del programma FFG(X) rientra anche nell’ottica di creare una classe di vascelli con capacità Area Defense per poter fornire alle unità logistiche una protezione sia da minacce convenzionali (missilistiche) che non (EW/Cyber/IO).

In questi dieci anni la retorica riguardo le forze navali statunitensi ha visto quindi un processo evolutivo in relazione all’evoluzione stessa delle contingenze e all’emergere di “nuove” sfide. Questo processo parte dalle stesse basi del passato, non rinnegandole ma ammettendo che, ad oggi, le necessità sul dominio marittimo sono cambiate e che è quindi necessario adeguarne l’approccio.

In prima istanza il richiamo ad un approccio storico non solo serve a ricordare come gli Stati Uniti siano una potenza dalle radici marittime ma anche che le lezioni del passato non possono essere messe da parte. Su questo punto però la lucidità degli ambienti statunitensi è notevole in quanto è chiaro come queste lezioni (su tutte la guerra del pacifico con i giapponesi) siano un punto di partenza e non di arrivo.

Si è avuta una transizione importante anche dal punto di vista dei competitor che ha imposto un nuovo tipo di approccio agli scenari emergenti. La Cina (e non solo) è un attore con forti capacità economiche, tecnologiche e militari che negli ultimi trenta anni ha avviato un processo di sviluppo e innovazione volto a contrastare le Core Capabilities statunitensi. Ciò ha messo di fronte ad un bivio la difesa U.S.A.: cercare di spingere le proprie capacità sempre più avanti rompendo con il passato oppure adeguarsi alle nuove minacce e minare le capabilities avversarie emulando quanto fatto dai competitor. Questi dieci anni suggeriscono un approccio misto in cui all’innovazione si somma una forte componente di adattamento che ha il vantaggio di avere costi e tempistiche nettamente inferiori per lo sviluppo dei programmi.

Il riemergere di una Great Power Competition ha riportato in auge quelli che sono gli High-Ends del Naval Warfare con il ritorno di una Marina in grado di operare ad ampio spettro. I futuri teatri operativi si presentano fortemente ostili e lo stesso concetto di sanctuary viene ridotto al minimo dato anche il notevole livello tecnologico raggiunto dalle parti coinvolte. È proprio questo uno dei principali motivi per cui il concetto di Jointness è passato in secondo piano: la U.S. Navy non può operare indipendentemente dalle altre forze ma al contempo deve essere in grado di rispondere ad ampio spettro a quelle minacce che nel medio periodo potrebbero minare uno dei pilastri fondamentali del potere degli Stati Uniti, il Sea Power.

Emanuele Appolloni,
Geopolitica.info

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