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Il nuovo corso di Lula: dalla protezione delle popolazioni indigene alla lotta contro la deforestazione

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Il neoeletto Presidente brasiliano deve affrontare diverse sfide nazionali e internazionali. La protezione delle popolazioni indigene e la lotta contro la deforestazione sono in cima all’agenda politica di Lula, che ha già avviato una significativa ristrutturazione istituzionale e giuridica. Tuttavia, gli ostacoli da superare sono numerosi. Per fermare la deforestazione, il governo brasiliano dovrà rafforzare i meccanismi economici necessari a promuovere un’economia sostenibile in linea con le iniziative di mitigazione del cambiamento climatico e la protezione dei diritti e delle identità delle popolazioni indigene.

Durante la cerimonia di insediamento, il neopresidente Lula ha ribadito come una delle sfide più difficili che dovrà affrontare sarà fare i conti con l’eredità del suo predecessore Jair Bolsonaro. Al centro di questa sfida c’è la tutela della foresta amazzonica: il precedente governo ha infatti favorito la deforestazione del bacino amazzonico, smantellato le agenzie governative che tutelano le foreste e non ha firmato l’Accordo di Escazú (trattato tra paesi dell’America Latina e dei Caraibi che garantisce protezione e sicurezza a persone, gruppi e associazioni che lavorano in difesa della natura). Tutto questo ha portato la foresta amazzonica a diventare un emettitore netto di anidride carbonica piuttosto che un assorbitore. Nell’ultimo mese di governo Bolsonaro la deforestazione dell’Amazzonia è aumentata del 150% rispetto a dicembre 2021, passando dagli 87,2 chilometri quadrati del 2021 ai 218,4 chilometri quadrati del dicembre 2022.

Altrettanto rilevante è la questione indigena: nei quattro anni di governo Bolsonaro sono aumentate le invasioni dei territori indigeni, favorite da leggi che incoraggiavano estrazioni minerarie, e le deforestazioni volte alla costruzione di allevamenti e piantagioni intensive. In un rapporto del Conselho Indigenista Missionário pubblicato nel 2022, si afferma che c’è stato un aumento del 180% rispetto al 2018 delle occupazioni illegali. 

Durante la pandemia da Covid-19 molte aziende hanno colto l’occasione per espandere le reti illegali di pesca, caccia ed estrazioni minerarie nella foresta amazzonica. Nello stesso periodo, Bolsonaro ha sciolto il Conselho Nacional de Políticas Indigenistas (CNPI) l’organo consultivo creato nel 2015 incaricato di preparare, monitorare e attuare le politiche pubbliche rivolte alle popolazioni indigene e nominato Marcelo Xavier da Silva (un funzionario di polizia vicino al settore alimentare) come direttore della Fundação Nacional do Índio, organizzazione responsabile della loro protezione.

La Costituzione brasiliana del 1988 riconosce in realtà a queste popolazioni il possesso delle terre e l’usufrutto esclusivo delle ricchezze del suolo, dei fiumi e dei laghi in esse esistenti. Tuttavia, nonostante questo riconoscimento costituzionale, nella pratica è necessario (art. 231 Cost.) un processo di demarcazione dei territori da parte della pubblica autorità perché questi ottengano una protezione completa. Nonostante ciò, le terre indigene continuano a subire invasioni illegali da parte di compagnie minerarie e forestali.

Popolazioni indigene: le prime azioni del Governo

Tutto questo ha creato un contesto in cui le comunità indigene risultano essere sempre più vulnerabili. Tra i popoli più colpiti vi sono gli Yanomami, la più grande tribù indigena del Sud America, che conta 38mila persone. Nel 2019, secondo le stime dell’Instituto Socioambiental, circa 20mila cercatori d’oro (garimpeiros) hanno invaso illegalmente il parco Yanomami causando l’inquinamento dei fiumi con mercurio e limo, abbattuto alberi e costretto le donne a prostituirsi, favorito la diffusione di malattie che si sono rivelate letali. Un report del 2021 ha rivelato che i bambini Yanomami muoiono di malnutrizione a un ritmo di 191 volte superiore alla media brasiliana e quelli sotto i cinque anni, morti per malattie prevenibili, sono 13 volte superiori alla media nazionale. La piattaforma di notizie Sumaúma ha stimato che 570 bambini Yanomami sono morti per malattie prevenibili durante il mandato di Bolsonaro.

In risposta a questi problemi, una delle prime azioni della nuova presidenza Lula è stata quella di revocare o modificare le misure della vecchia amministrazione, come l’annullamento del decreto dell’11 febbraio 2022 che favoriva l’estrazione mineraria nelle terre indigene. Altrettanto importante è stata l’istituzione del Ministero dei Popoli indigeni, a capo del quale è stata posta l’attivista Sônia Guajajara che, come prima azione, ha visitato lo Stato di Roraima nel territorio degli Yanomami per trovare soluzioni alla crisi sanitaria e alimentare che li ha colpiti. Lula ha accusato l’amministrazione precedente di aver perpetrato un genocidio del popolo Yanomami e il 30 gennaio il Ministero dei Diritti Umani e della Cittadinanza ha pubblicato un rapporto in cui si affermava che la precedente amministrazione aveva ignorato le segnalazioni sul deterioramento della situazione degli Yanomami. Il Governo ha già deciso l’invio di pacchi alimentari per la popolazione ed annunciato l’intenzione di ripristinare i servizi sanitari smantellati dal suo predecessore.

La Ministra Guajajara ha avviato (6 febbraio) con il Ministro della Giustizia un’operazione di sicurezza per espellere i minatori dal territorio: l’esercito brasiliano ha cominciato a demolire aerei e sequestrare armi, barche e bulldozer utilizzati per abbattere gli alberi e creare strade – come la strada di 120 km costruita negli ultimi mesi del 2022.  Tuttavia, la Ministra ha anche riconosciuto che i responsabili non sono i minatori, che svolgono queste attività per necessità e che finiscono per esserne le vittime, ma chi ha creato questo sistema: politici e imprenditori che possiedono le miniere. Un’altra priorità della  Ministra sarà il sostegno ai gruppi indigeni isolati della valle Javari che continuano ad essere minacciati, così come la riattivazione del processo di demarcazione dei territori indigenicirca un terzo dei 722 territori deve ancora essere riconosciuto – interrotto durante la presidenza Bolsonaro. 

Lotta contro la deforestazione

Vent’anni dopo la prima nomina, Marina Silva ha nuovamente assunto l’incarico di Ministra dell’Ambiente e del cambiamento climatico, dopo la rottura avvenuta alla fine del secondo mandato di Lula (reo, secondo l’allora Ministra, di aver messo in secondo piano la questione ambientale). Le aspettative sono alte, soprattutto perché durante i suoi precedenti mandati alla guida del Ministero, la deforestazione era diminuita del 53%. L’impegno di Marina Silva era già stato anticipato nella recente COP-27 di Sharm el-Sheikh in cui ha dichiarato che riporterà in carreggiata la nazione più ricca di biodiversità al mondo e che il Brasile punterà alla “deforestazione zero” entro il 2030. 

Si è deciso, come prima azione subito dopo l’insediamento,  di riprendere i piani per combattere la deforestazione e riattivare l’Amazon Fund, il meccanismo per raccogliere donazioni – interrotte da Germania e Norvegia durante il governo Bolsonaro – per gli investimenti volti a prevenire, monitorare e combattere la deforestazione. Subito dopo la pubblicazione di questi decreti, i due Paesi hanno ripreso a finanziare il fondo: prima dell’arrivo del Cancelliere Olaf Scholz in Brasile (lunedì 30 gennaio), la Ministra dello Sviluppo Svenja Schulze ha annunciato che Berlino metterà a disposizione 38 milioni di dollari per il Fondo, oltre ad impegnarsi a fornire prestiti a basso interesse pari a 87 milioni di dollari per ripristinare aree degradate, e altri 34 milioni di dollari per gli Stati nella regione amazzonica per proteggere la foresta. Con queste prime azioni la deforestazione è diminuita del 61% nel mese di gennaio 2023 rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso secondo i dati dell’Instituto Nacional de Pesquisas Espaciais

Nei prossimi mesi verranno poi ripristinati gli apparati amministrativi contro la deforestazione a cui verrà aumentato anche il budget. In particolare, Marina Silva ha nominato l’ex deputato Rodrigo Agostinho – ex coordinatore del Fronte Parlamentare Ambientalista al Congresso – nuovo presidente dell’Instituto Brasileiro do Meio Ambiente e dos Recursos Naturais Renováveis (IBAMA) con il compito di guidare le operazioni di polizia per reprimere le aziende minerarie illegali. Inoltre, verranno create una segreteria specifica per combattere la deforestazione in Amazzonia, per la gestione dell’ambiente urbano, per le popolazioni indigene e le comunità tradizionali. Potenziale controversia riguarderà i progetti di infrastrutture e di esplorazione delle risorse che generano occupazione a breve termine ma sono dannose per l’ambiente come la costruzione della diga di Belo Monte, che ha prosciugato tratti del fiume Xingu da cui dipendevano gli indigeni e altre comunità. 

Le azioni della comunità internazionale 

Durante il World Economic Forum la Ministra Silva ha esortato la comunità internazionale a onorare gli impegni di investimenti per mitigare i cambiamenti climatici, poiché gli sforzi per preservare l’Amazzonia potrebbero essere vani se non supportati da adeguate azioni internazionali. Sotto questo punto di vista, l’Unione Europea ha già emanato una legge che vieta le importazioni associate alla deforestazione: in particolare saranno vietate le importazioni di olio di palma, bestiame, soia, caffè, cacao, legname e gomma che non supereranno i controlli di sostenibilità. Come si legge sul sito della Commissione, le aziende dovranno dimostrare che i prodotti importati siano deforestation-free e legalmente prodotti. Secondo le stime, questa nuova legge proteggerà almeno 71.920 ettari (278 miglia quadrate) di foresta all’anno e ridurrà anche le emissioni globali annuali di carbonio di 31,9 milioni di tonnellate all’anno.

Silva ha anche parlato dell’interesse del Paese nell’attrarre nuovi partner per l’Amazon Fund: il Regno Unito sembra essere uno dei più intenzionati ad unirsi. La Ministra dell’Ambiente Therese Coffey ha affermato che la Gran Bretagna potrebbe partecipare al potenziamento del Fondo, attraverso programmi di sostenibilità rurale e architettura a basse emissioni di carbonio e aiuti a mobilitare risorse per la finanza verde. Francia e UE stanno valutando anche loro la possibilità di contribuire al Fondo, come dichiarato dalla Ministra francese per l’Europa e gli affari esteri Catherine Colonna.

La lotta al cambiamento climatico è stato poi uno dei temi al centro dell’incontro che Lula ha tenuto (10 febbraio) a Washington con il suo omologo statunitense. Biden ha dichiarato che i due Paesi sono determinati a dare priorità alla questione del cambiamento climatico, allo sviluppo sostenibile e alla transizione energetica, come si legge nel comunicato rilasciato dalla Casa Bianca. Hanno deciso, inoltre, di incaricare lo United States-Brazil Climate Change Working Group (CCWG) di riunirsi nuovamente il prima possibile per discutere le aree di cooperazione, come la lotta alla deforestazione e al degrado, il potenziamento della bioeconomia, il rafforzamento della diffusione di energia pulita. In quest’ottica Biden ha deciso di collaborare con il Congresso per finanziare la protezione della foresta amazzonica fornendo fondi per programmi di protezione e conservazione.

Il contributo degli Stati Uniti sottolineerebbe i nuovi legami tra le due democrazie dopo le relazioni gelide degli ultimi due anni tra Biden e Bolsonaro, e rifletterebbe un maggiore impegno dell’amministrazione statunitense a proteggere la foresta amazzonica dopo le promesse fatte durante la campagna elettorale di mobilitare la comunità internazionale per fornire 20 miliardi di dollari per l’Amazzonia.  

Gli ostacoli principali

La lotta alla deforestazione e la protezione delle popolazioni indigene potrebbero incontrare degli ostacoli complessi. Innanzitutto, ottenere la collaborazione dei governatori locali non sarà facile: sei stati amazzonici sono in mano ad alleati di Bolsonaro, dove sono state smontate le legislazioni ambientali o dove la mancanza di opportunità economiche sta spingendo i raccoglitori di gomma a dedicarsi al pascolo di bestiame. Inoltre, l’estrazione illegale ha dato lavoro a decine di migliaia di persone che si ritroverebbero senza occupazione. Sul fronte istituzionale, va ricordato che il Congresso è in mano al Partito Liberale di Bolsonaro che mantiene solidi legami con il settore dell’agrobusiness. Il processo di demarcazione delle aree indigene potrebbe essere poi ostacolato da un disegno di legge (PL 490/07) che, se approvato, richiederebbe la prova dell’uso di queste terre da parte delle popolazioni indigene dal 1988, giorno di entrata in vigore della Costituzione federale. Inoltre, questa legge potrebbe causare ulteriori esplorazioni per altre attività come la costruzione di dighe, l’estrazione mineraria, l’agricoltura commerciale e la costruzione di strade, senza alcuna approvazione o consultazione con la popolazione residente.

Sul fronte internazionale la sfida sarà quella di riconquistare la fiducia persa negli ultimi anni e rilanciare le coalizioni internazionali ambientali. Ad esempio, agli ultimi colloqui sul clima delle Nazioni Unite nel novembre 2022, i leader di Brasile, Repubblica Democratica del Congo e Indonesia hanno annunciato un nuovo sforzo congiunto, “Opec of rainforests”, che potrebbe essere esteso ad altri Paesi come il Perù e la Cambogia. L’accordo, ancora in fase di definizione, potrebbe prevedere proposte congiunte sui mercati del carbonio e sui finanziamenti per incoraggiare i Paesi sviluppati a sostenere la conservazione delle rimanenti foreste tropicali (il 52% ospitato all’interno di questi Stati).
Il problema principale, tuttavia, è che la crisi energetica ed economica che ha colpito il mondo negli ultimi due anni potrebbe rallentare i finanziamenti per la salvaguardia del patrimonio amazzonico.

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