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NotizieL'ombra del Mend sul gasdotto trans-sahariano

L’ombra del Mend sul gasdotto trans-sahariano

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La diversificazione nell’approvvigionamento rientra all’interno delle priorità dell’Unione Europea, uno dei principali importatori energetici mondiali. Partendo dalla constatazione che la già elevata dipendenza di cui soffrono i Paesi Ue (il 50% dell’energia consumata all’interno dei confini viene importata) è destinata ad aggravarsi in futuro (la percentuale dovrebbe salire al 75% nel 2030), i diplomatici di Bruxelles hanno deciso di portare avanti una vera e propria politica estera energy driver, sottomessa ai principi inspiratori della Politica Energetica Europea (PEE). Importanti missioni diplomatiche si sono recate negli ultimi anni in alcuni dei principali paesi produttori di idrocarburi a est (Turkmenistan, Azerbaijan, Uzbekistan, Kazakistan) e a sud (Algeria ed Egitto tra gli altri) nel tentativo di rinsaldare i legami economici.

 

Si inserisce all’interno di questo contesto la Partnership Energetica Africa-Unione Europea (AEEP), uno degli otto assi di cooperazione previsti dalla Africa and Europe in Partnership (AEP), programma lanciato all’indomani del summit euro-africano di Lisbona del dicembre 2007. Una delle priorità di questa collaborazione è il rafforzamento del dialogo tra i due continenti, volto al miglioramento dell’accesso alle risorse, idrocarburi in particolare, e a garantire la sicurezza dell’approvvigionamento energetico. L’accordo firmato in Lussemburgo nell’aprile del 2009 dai membri della troika Ministeriale Africa-UE (organo al vertice della piramide amministrativa dell’AEP) per la messa a punto del Primo Piano d’Azione 2008/2010, segue in effetti queste linee guida: un passaggio importante dell’accordo prevede l’implementazione delle interconnessioni tra i due continenti. Spicca tra i progetti proposti per realizzare tale potenziamento il gasdotto Trans-Sahariano, un’importante infrastruttura recentemente tornata all’attenzione della cronache per via della firma dell’Inter-Governmental Agreement (IGA) il 3 luglio 2009 ad Abuja tra i Ministri dell’Energia di Nigeria, Niger ed Algeria.

La Trans-Saharan Gas Pipeline (TSGP), attraversando il territorio del Niger, collegherà i pozzi nigeriani di Warry con l’hub algerino di Hassi R’Mel, situato nel deserto del Sahara, rendendo così possibile l’arrivo del gas naturale della Repubblica Federale della Nigeria (ottavo paese al mondo per riserve, stimate in 5.055 miliardi di metri cubi) sul mercato europeo, sfruttando le connessioni già esistenti tra la Repubblica d’Algeria e i paesi del Nord del Mediterraneo (Spagna e Italia in primis).

La road map per la costruzione dell’infrastruttura prevede la fine della fase di progettazione nel dicembre del 2015, mentre l’attività di pompaggio attraverso i 4.128 km di pipeline potrà iniziare già nel 2018, con una capacità stimata di 30 miliardi di metri cubi l’anno. Come ha ricordato anche il Ministro dell’Energia algerino Chalib Khalil, sono diverse le multinazionali che hanno espresso un certo interessamento alla realizzazione del progetto, dal costo valutato intorno ai 7 miliardi di euro: la compagnia francese Total, l’anglo-olandese Royal Dutch Shell, l’italiana Eni e la russa Gazprom.

Proprio l’interessamento delle major internazionali, assieme all’importanza accordata dal Commissario per l’Energia UE Andris Piebalgs al progetto, lascia ben sperare per il futuro, tutt’altro che scontato, della pipeline. La maggiore incognita è rappresentata dal contesto geopolitico a tinte fosche della regione del delta del fiume Niger, nel quale opera il Movement for the Emancipation of the Niger Delta (MEND), un’organizzazione armata coinvolta in molti degli attacchi alle compagnie petrolifere che operano nella zona, nonché principale responsabile, della diminuzione delle esportazioni nigeriane di idrocarburi.

In un comunicato rilasciato alcuni giorni dopo la firma dell’IGA ad Abuja, il Mend ha fatto sapere di essere intenzionato a sabotare i lavori di costruzione della Tsgp. La dichiarazione è stata immediatamente ripresa dalle forze di sicurezza nigeriane, che attraverso il Colonnello Rob Abubakr hanno fatto sapere di essere preparate a sorvegliare “con ogni mezzo a disposizione” i macchinari e il personale preposti alla realizzazione della pipeline, affermazione peraltro molto simile a quella rilasciata dal Ministro dell’Energia nigeriano Rilwan Lukman alcuni giorni prima.

Nonostante le rassicurazioni di rito, l’attualità nigeriana ci restituisce il quadro di uno Stato in lotta contro un gruppo armato in possesso di uomini e risorse tali da poter costituire una seria minaccia per lo sviluppo del settore degli idrocarburi: è stato stimato che negli ultimi 6 mesi, la Chevron, la Shell e l’Agip hanno subito perdite nell’ordine dei 273.000 barili di greggio al giorno in seguito ad attacchi operati dal Mend. I dubbi che aleggiano sulla costruzione del gasdotto sembrano quindi più che fondati; a prescindere dai benefici che la sua realizzazione apporterebbe ai Paesi membri dell’Unione Europea in termini di diversificazione delle fonti di approvvigionamento, un incentivo talmente forte che potrebbe spingere Bruxelles a sostenere anche finanziariamente la realizzazione dell’opera.

 

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