La geopolitica, come approccio di studio alle dinamiche di potere che si estrinsecano alla scala internazionale e ponendo al centro le questioni territoriali, nasce com’è noto tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento. Secondo una certa chiave di lettura, però, i presupposti dell’indagine geopolitica sarebbero da ricercare in un contesto assai più lontano, che ha visto porre le basi concettuali del pensiero geopolitico: nel XVI secolo, infatti, presero forma gli Stati nazionali che detenevano l’autorità politica secolarizzata, legata alla dimensione territoriale, che configuravano quello Jus Publicum Europaeum di cui parla Carl Schmitt e che corrisponde all’equilibrio di poteri che è il fondamento del sistema internazionale odierno.
Il libro di Romain Descendre dal titolo Lo stato del mondo. Giovanni Botero tra ragion di Stato e geopolitica (Viella, 2022), traduzione della versione in lingua francese uscita nel 2009, affronta l’origine del pensiero geopolitico in un autore conosciuto ai più per essere uno degli ideatori del concetto di Ragion di Stato, Giovanni Botero, ex gesuita che – lasciata per dissidi interni la Compagnia di Gesù nel 1580 – prestò servizio come segretario prima dell’Arcivescovo di Milano Carlo Borromeo e poi di Federico Borromeo. La figura di Botero, autore della Controriforma che delinea i tratti di uno Stato “moderno” e secolarizzato, guidato da un Consiglio di Coscienza e dalle virtù del principe, è approfondita dall’autore francese tenendo insieme diversi piani di analisi. Anzitutto vi è una contestualizzazione che aiuta a comprendere le radici del pensiero e della filosofia politica dell’autore piemontese. Si inserisce poi la sua opera nel panorama politico e di riflessione politica del tempo, soprattutto in riferimento a Machiavelli e ai politiques, i pensatori francesi che fecero proprio l’impianto del segretario fiorentino e vengono analizzate le sue opere, in particolare La Ragion di Stato e le Relazioni Universali, in rapporto alle dinamiche conflittuali e alle questioni di potere del tardo Cinquecento.
Si era in un momento storico in cui non solo lo sguardo europeo si dischiudeva agli spazi globali, ma il potere politico si estrinseca anzitutto in una chiave geografica: l’elemento territoriale diventa cioè centrale nei rapporti politici tra le entità statuali del secolo: «il governo dello Stato ora implica il controllo dello spazio e del territorio, che passa per uno sviluppo della conoscenza», come sottolinea lo stesso autore francese, il che comporta una piena centralità del fattore geografico che, connesso alle dinamiche economiche, commerciali, confessionali e culturali, e in un teatro politico ormai pienamente globale, si rende geopolitico.
Secondo Descendre, infatti, «la prima globalizzazione si svolse nel sedicesimo secolo» (p. 26): a questa affermazione non casualmente lo studioso francese affida l’incipit del suo libro, facendo ben intendere quale sarà il prosieguo delle sue riflessioni, che tengono infatti conto dell’apertura europea agli spazi globali, della fattualità politica che non può fare a meno di pensare in termini territoriali, della crucialità della Chiesa in un contesto conflittuale in cui la sua centralità viene da più parti messa in discussione. La realtà ecclesiastica aveva la necessità di affrontare le sfide del tempo – anzitutto la pressione dei Turchi alle porte d’Europa e poi la Riforma protestante che minava la centralità politica e geopolitica del potere ecclesiastico, cui Botero fa costante riferimento nei suoi trattati – secondo un’ottica non più legata ai principi meramente imperiali, ma tenendo conto delle innovazioni che dall’età delle grandi scoperte si erano dipanate nel contesto europeo, realizzando un teatro politico e religioso sfaccettato, multipolare e ormai profondamente mutato in poche decine d’anni.
In effetti, il pensatore di Bene Vagienna ragiona in termini di realismo politico che adatta al pensiero cattolico: l’impianto rimane globale, ma deve far riferimento non più all’idealità del passato ma alla realtà del presente: non casualmente chiarisce che egli scrive in virtù di ciò che ha veduto, di ciò che ha potuto osservare, delineando così i tratti di una realtà mondiale che muta e i cui rapporti di forza si basano su riferimenti ormai radicalmente diversi dal passato, globali e pienamente realistici.
Botero appartiene al mondo della Chiesa, e la sua è una fedeltà che lo storico Luigi Firpo ha definito «partigiana» e che bene fa comprendere il senso delle sue opere, ma sa al tempo stesso che nelle sue riflessioni deve appoggiarsi a chi ha superato l’impianto tradizionale proprio del potere ecclesiastico: non può prescindere, in buona sostanza, dalle analisi di Machiavelli, tentando al contempo di superarne la logica puramente immanente. È, questo, un aspetto che viene ben rimarcato da Descendre, il quale chiarisce che in realtà l’obiettivo polemico di Botero erano i pensatori francesi come Jean Bodin, poiché essi minacciavano, fondando il proprio pensiero sulle tesi machiavelliane, la centralità della Chiesa. Il principe delineato da Botero nella sua Ragion di Stato supera quello di Machiavelli poiché esso deve essere guidato non tanto dall’astuzia ma dalla virtus, da quell’insieme di quei principi cristiani immarcescibili, «antichi e cristiani», dalla prudenza e dalla reputazione: un costrutto morale, afferente alla Chiesa, secondo i dettami della Riforma cattolica cui il pensatore piemontese aderisce appieno.
L’altra sua grande opera dà il senso dello sguardo globale, che si rende tale in virtù delle grandi trasformazioni geografiche, delle epocali scoperte cinquecentesche che mutano il volto del mondo e la realtà cartografica di tutto il XVI secolo. Le Relazioni Universali è stato scritto su commissione di Federico Borromeo, il quale intendeva comprendere quale fosse lo “stato del mondo” e volevo conoscere – attraverso la geografia al contempo scritta e «visuale» restituita da questo imponente trattato geopolitico – la mappa del mondo cattolico del tempo.
Descendre sottolinea quanto quell’opera abbia una connotazione marcatamente geopolitica: in senso dinamico, infatti, essa unisce in sé la dimensione geografica, territoriale e quella economica, dà rilievo alla componente antropologica e culturale, considera prioritari gli aspetti religiosi che erano in effetti al centro delle dispute di potere e dei conflitti che stavano bagnando nel sangue il Vecchio continente. Botero, in altre parole e prima di altri, mette insieme tutte le componenti che fanno parte del sistema internazionale – ormai pienamente globalizzato e interdipendente – per delineare un atlante in forma scritta che, non a caso, prende forma proprio negli anni in cui, nel contesto olandese, venivano dati alle stampe i primi atlanti moderni per opera di Ortelio e poi di Mercatore.
La geopolitica di Botero, anche considerando una terza opera, Delle cause della grandezza della città, ha per Descendre una triplice scala di riferimento: quella per l’appunto cittadina, quella statuale della Ragion di Stato e infine quella globale delle Relazioni Universali, cercando di integrarle in una visione realmente partigiana utile a ripristinare la centralità della Chiesa, e per proiettare il suo potere realmente in senso globale, tenendo al contempo conto degli equilibri di potere che localmente andavano strutturandosi. È per questo che anche le critiche di illustri storici come Federico Chabod di scarsa originalità del trattato sulle relazioni globali di Botero, sembrano quasi non tener conto dell’obiettivo prioritario del filosofo della Controriforma: non mera erudizione geografica o geopolitica, ma dare ai vertici ecclesiastici uno strumento utile per affermare il proprio potere in senso universale.
Il libro di Descendre ha il merito, sulla scia di riflessioni sempre più consistenti che si stanno affrontando negli ultimi anni, grazie anche agli sforzi di Alice Blythe Raviola e alla recente realizzazione di un omonimo Centro Studi, di restituirci un Botero non solo teorico della politica e iniziatore del concetto di Ragion di Stato, ma anche tra i primi autori capaci di intendere il mondo e i cambiamenti strutturali dell’epoca secondo un’ottica geopolitica.
Perché nel Cinquecento europeo non sorse solo una prima, strutturata fase di globalizzazione moderna, ma anche i primordi del pensiero geopolitico.