Asia Bibi, la donna pakistana il cui nome completo è Aasiyah Naurīn Bibi, nonostante la sentenza che ne ordinava la scarcerazione immediata, non potrà lasciare il Paese finché la Corte suprema non si sarà pronunciata sul ricorso presentato dall’accusa. In attesa di una decisione, Asia Bibi dovrà restare in carcere. Dopo l’accusa per blasfemia del 2009, era stata condannata a morte nel 2010 dal tribunale del Punjab. La pena, confermata in appello nel 2014, era stata sospesa l’anno successivo. Dopo quasi dieci anni dall’evento che l’ha vista infelice protagonista, la Corte Suprema di Islamabad ne aveva ordinato il rilascio immediato. Il presidente della Corte aveva infatti dichiarato di aver notato, nel corso dell’ultima udienza, delle discrepanze tra le dichiarazioni dell’accusa e le testimonianze. I tre giudici, tuttavia, avevano invitato i media a non discutere del caso.
Eppure, il caso di Asia Bibi non può non far discutere. Per nove anni la donna, madre di cinque figli, è stata tenuta in isolamento in una cella del carcere di Multan con l’accusa di aver pronunciato la frase: “Cosa ha mai fatto il vostro profeta Maometto per salvare l’umanità?”. In un Paese che dal 1956 ha assunto la denominazione di Repubblica islamica e dal 1986 ha introdotto leggi che impongono la pena capitale o il carcere a vita agli accusati di blasfemia, la vita di Asia Bibi e quella di tutte le persone appartenenti a minoranze religiose sono a rischio, nonostante finora nessuna condanna a morte sia mai stata applicata. Molti si sono mossi nella difesa della donna cristiana, diventata uno dei simboli delle persecuzioni religiose del ventunesimo secolo. La Chiesa cattolica è intervenuta più volte nella vicenda, sia con la richiesta di liberazione da parte del Papa Benedetto XVI, sia con l’incontro tra il suo successore, Papa Francesco, e i familiari della donna. Anche organizzazioni non governative si sono mobilitate a favore della cancellazione del reato di blasfemia: Amnesty International, Life for All, Peace Pakistan, Nessuno tocchi Caino. Ali Dayan Hasan, di Human Rights Watch, ha dichiarato: “La legge sulla blasfemia è assolutamente oscena e va rifiutata in blocco. Essa è utilizzata soprattutto contro gruppi vulnerabili che soffrono discriminazione politica e sociale”. La baronessa Caroline Cox, membro della Camera dei lord britannica, ha invece dichiarato negli anni passati: “Il caso di Asia Bibi è precisamente la ragione per cui continuo a combattere per le minoranze religiose in tutto il mondo”.
Anche il mondo musulmano si è mobilitato in difesa di Asia Bibi e di tutte le persone condannate per il reato di blasfemia. Muhammad Hafiz, accademico musulmano, ha dichiarato: “La condanna a morte per Asia Bibi è stata un colpo per me. L’islam ci insegna a proteggere le minoranze religiose” e ha continuato “Sostengo con forza l’abolizione di questa legge discriminatoria. Negli ultimi anni i fondamentalisti hanno usato la legge sulla blasfemia come un’arma contro le minoranze religiose”.
Lo stesso governatore del Punjab e potenziale primo ministro, Salmaan Taseer, musulmano, la incontrò in carcere, schierandosi a favore della sua liberazione e della revisione del reato di blasfemia, ma venne ucciso nel 2011 da Mumtaz Qadri, una delle sue guardie del corpo, che godette in seguito di un ampio appoggio popolare. Come Taseer fu assassinato il ministro per gli Affari delle minoranze Shahbaz Bhatti.
Inoltre, Muhammad Afzal Qadri, leader del partito pakistano degli islamisti radicali, il Tehreek e-Labbaik, che aveva minacciato gravi conseguenze in caso di assoluzione o di fuga della donna, ha dichiarato: “i giudici che hanno scagionato Asia Bibi meritano la morte”. Nonostante il blocco nazionale dei telefoni cellulari predisposto dalle 9 del mattino alle 9 di sera allo scopo di scongiurare proteste di massa, il Tlp ha promosso diverse manifestazioni. Il palazzo della Corte Suprema di Islamabad è al momento presidiato da oltre trecento poliziotti, mentre diverse unità dell’esercito sono stanziate a difesa degli altri edifici istituzionali e della enclave diplomatica. Anche Lahore, Karachi e Peshawar, le principali città del Paese, hanno adottato misure straordinarie, in particolare a protezione dei luoghi di culto cristiani, contro i quali si temono le violenze dei gruppi estremisti.
Le tensioni si sono aggravate dopo l’uccisione di Maulana Sami ul Haq, “padre dei talebani”, a Rawalpindi. Dopo aver causato un blocco quasi totale delle strade per tre giorni, i manifestanti hanno visto in parte accolte le loro richieste: Asia Bibi non verrà rilasciata e non potrà lasciare il Pakistan finché la Corte Suprema non si sarà espressa in merito. Il marito, Ashiq Mash, ha richiesto asilo politico per l’intera famiglia a Canada, Stati Uniti e Gran Bretagna, dove le comunità pakistane sono più numerose, mentre l’avvocato Saif ul-Mulook, a cui era stata accordata una scorta, temendo per la propria vita, è fuggito in Europa, da cui continuerà a difendere Asia.