La firma da parte dell’Italia degli Artemis Accords il 25 Settembre dello scorso anno è stata ripresa dai principali media al grido di: “L’Italia è sulla Luna”. Il 16 Aprile scorso, la NASA ha dato l’annuncio che è la proposta tecnico-economica di SpaceX la vincitrice del super contratto miliardario per lo sviluppo dello Human Landing System (HLS), progetto sul quale l’Italia puntava ad avere un ruolo di primissimo piano. Ora, non solo dal punto di vista industriale, il ruolo italiano nel programma Artemis si ridimensiona sensibilmente restando legato “solo” allo sviluppo del Lunar Gateway. Analizziamo le “chance” rimaste per il nostro Paese nella sempre più serrata nuova corsa alla Luna, ora anche “arricchita” dallo spettro della prima storica battaglia legale nell’era della New Space Economy e che ha visto nelle scorse ore proprio la sospensione da parte del GAO del contratto HLS assegnato a SpaceX dalla NASA appena due settimane fa.
“L’Italia (non) è sulla Luna”
Negli ambienti di settore era nell’aria da qualche giorno ma, come si suol dire, la speranza è l’ultima a morire. A differenza della maggioranza dei mezzi di informazione (anche di settore) che ripresero la notizia della firma italiana degli Artemis Accords al grido di: “l’Italia è sulla Luna”, nell’articolo del mese di ottobre 2020 pur essendosi espressi con molta positività rispetto alle importanti opportunità prospettate al comparto industriale e scientifico italiano nel programma Artemis, lo si è comunque fatto con la dovuta cautela che il caso richiedeva. Ci si poneva proprio l’interrogativo (solo allora) provocatorio: siamo sicuri che, a differenza dei vari annunci, alla fine l’Italia “andrà sulla Luna”?. Per quanto non sia affatto facile farlo da un punto di vista tecnico (altro grande credo da sfatare del: “vicino allora è facile”), l’annuncio di NASA del 16 aprile dimostra come lo è stato ancor meno per le speranze e gli obiettivi (terrestri) italiani di ricoprire un ruolo di primissimo piano nella realizzazione del futuro “lander lunare” americano. Sistema attraverso il quale gli USA mirano a riportare sulla superficie del nostro satellite propri astronauti e non altrui, altro dettaglio importante spesso tralasciato. Dal punto di vista italiano la firma degli Artemis Accords mirava -e mira ancora, ma per quel che resta ormai– ad assicurare un “posto in prima fila” nella nuova corsa alla Luna alle nostre eccellenze scientifiche ed industriali. Tuttavia, oggi come allora, gli accordi sottoscritti, erroneamente scambiati dagli ambienti politici e di informazione come “clausola di salvaguardia” per il (dovuto?) “riconoscimento” all’Italia di importanti contratti industriali nel programma Artemis, in realtà per il Governo americano, non sono mai andati oltre una semplice “promessa di intenti” (forse). Programma Artemis rispetto al quale, è doveroso precisarlo, è l’Italia a mettere a disposizione sue importanti risorse finanziarie ed industriali, ma non il contrario.
La risposta alla selezione della proposta finale per il programma dello Human Landing System (HLS) è stata un “NO” secco, e per certi versi neanche così disatteso. Aspetto quest’ultimo che lascia molte perplessità, soprattutto sulle (vere) intenzioni della cordata guidata da Dynetics della quale facevano parte proprio le aziende aerospaziali di punta del nostro Paese, come Thales Alenia Space Italia. Infatti, delle tre cordate industriali competitrici nella fase “Fase-A” del programma HLS, la proposta tecnico-economica presentata dalla cordata Dynetics sembrerebbe stata destinata ad esser comunque giudicata dalla NASA la meno attraente tra le tre. Per questo quindi, comunque difficilmente considerabile dall’ente spaziale americano per l’assegnazione del miliardario contratto industriale di sviluppo e prototipizzazione del primo HLS.
HLS: un programma “Single Point Of Failure”
Il 30 settembre del 2019, nell’ambito del programma NextSTEP (Next Space Technologies for Exploration Partnerships), la NASA emise la versione finale di un -cosiddetto- “Broad Agency Announcement” (BAA). Strumento tipico attraverso il quale il Governo americano, rappresentato in questo caso dall’agenzia governativa di competenza in materia spaziale (la NASA), esplicitava la richiesta di presentazione “dall’esterno”, ovvero da parte di aziende americane, di innovative soluzioni tecniche (anche futuristiche, purché concrete) per il futuro sviluppo del “sistema di atterraggio umano” atto ad assicurare il ritorno sulla superficie della Luna di astronauti americani per la prima volta dalla fine delle storiche missioni Apollo.
Valutate le 11 proposte tecniche ricevute, Il 30 aprile 2020 la NASA annunciava la scelta di tre principali tra di esse, ognuna facente capo ad altrettante tre diverse società di punta del settore aerospaziale americano: SpaceX con il progetto “HLS Starship”, Blue Origin con la proposta dell’ “Integrated Lander Vehicle” (ILV) – progetto questo “più vicino” agli studi di fattibilità di NASA- e Dynetics con il progetto del “Dynetics Human Landing System” (DHLS). Con uno stanziamento complessivo di $926 milioni, la NASA affidava a questi tre principali “competitors” la formalizzazione della loro migliore proposta da strutturarsi in tre sezioni principali: tecnica (Factor-1), finanziaria (Factor-2) e programmatica (Factor-3). Su questi “tre fattori”-così definiti in proposta- la NASA avrebbe quindi proceduto alla valutazione complessiva delle tre. NASA che, oltre ad aver redatto le specifiche tecniche di progetto (“drivers”), ha anche stilato le tempistiche (“milestones”) del programma HLS al fine di centrare l’obiettivo governativo di riportare astronauti americani sulla Luna nel 2024. Una data questa ampiamente sconfessata –ma non ufficialmente per mantenere alta la motivazione e la pressione verso i diretti avversari geopolitici quali Cina e Russia- non solo dagli stessi addetti ai lavori ma soprattutto dal budget stanziato nel FY2021 per il programma HLS. La precedente amministrazione Trump infatti, madrina del programma Artemis, non sostenne a pieno la richiesta di stanziamento di $3.3 miliardi per il programma HLS. Budget indicato dall’agenzia come necessario per centrare proprio l’obiettivo di tornare sulla Luna entro il 2024 con equipaggio umano e che ha visto invece riconoscersi “solo” $850 milioni: circa un quarto del totale richiesto. Non fa eccezione neanche quello recentemente assegnato per il FY2022 dalla nuova amministrazione Biden che, pur incrementando di $325 milioni il bilancio previsto per il programma Artemis, non va a coprire le immutate necessità della NASA per centrare “l’obiettivo 2024”. Budget di $3.3 miliardi che, qualora fosse stato pianamente assegnato, avrebbe permesso alla NASA di portare avanti il finanziamento non di una sola proposta tecnica (quella di Space-X appunto) ma bensì di due, almeno. Soluzione manageriale questa di gran lunga preferita dalla NASA perché a garanzia del prosieguo del programma HLS -e quindi delle ambizioni statunitensi di tornare sulla Luna entro il 2024- anche nel caso in cui uno dei due progetti non sarebbe stato in grado di raggiungere –per tempo o per impossibilità tecnica e/o finanziaria– la necessaria fattibilità progettuale. Assetto manageriale che, a titolo di esempio, è stato invece implementato e con successo nel Commercial Crew Program (CCP) permettendo agli USA di riacquisire l’autonomia strategica di accesso allo spazio esterno con propri astronauti, direttamente da suolo americano.
Ad oggi quindi, al di là del nome del vincitore, i “problemi di budget” del programma HLS costringono la NASA a limitarsi al finanziamento di una sola proposta tecnica. Scelta che, come si direbbe in gergo aerospaziale, fa di HLS un programma “Single Point Of Failure” (SPOF), in quanto totalmente dipendente dalla fattibilità tecnica di una singola proposta. Se infatti la tanto futuristica quanto complessa proposta di SapceX non dovesse raggiungere la necessaria maturità ed affidabilità tecnologica nel rispetto delle tempistiche di programma, gli Stati Uniti si troverebbero nuovamente privi di un fattivo sistema tecnologico (ricordiamo qui “lo scotto” geopolitico non indifferente dell’era post-Shuttle) che assicuri il ricorrente e sicuro trasporto di astronauti americani questa volta sul suolo lunare. Obiettivo questo essenziale perché abilitante l’acquisizione del secondo tassello fondamentale della “fase-1” del programma Artemis: l’installazione e lo sviluppo di basi permanenti al Polo Sud lunare. Secondo l’attuale programmazione, l’utilizzo del primo (di tre?) HLS è previsto per la missione ARTEMIS-III, designata come prima missione di allunaggio e che sarà anche frutto dell’esperienza delle due missioni che la precederanno: ARTEMIS-I (senza equipaggio) ed ARTEMIS-II (con equipaggio attorno alla Luna, ma senza allunaggio).
Il sogno americano, l’eterna illusione (dell’industria e della politica) italiana.
La “corsa alla Luna” per l’Italia è inizia ufficialmente lo scorso 25 settembre 2020. In video conferenza, l’allora amministratore generale di NASA Jim Bridenstine ed il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri Riccardo Fraccaro -dal 1 marzo di quest’anno sostituito dall’On. Bruno Tabacci– siglavano uno stretto rapporto di collaborazione tra le rispettive agenzie spaziali nazionali nell’ambito dell’ambizioso programma Artemis. L’accordo, allora siglato formalmente solo sul piano politico-istituzionale, si è nei primi mesi del 2021 concretizzato per l’Italia -ma per il tramite dell’Agenzia Spaziale Europea- in alcuni importanti contratti industriali riguardo il progetto del Lunar Gateway: la stazione orbitante lunare, secondo pilastro portante del programma Artemis.
La “doccia fredda”, per non dire gelida, è però arrivata lo scorso 16 Aprile con l’annuncio da parte della NASA della vittoria della proposta di SpaceX del plurimiliardario programma HLS. Le speranze italiane -insieme a quelle di altri 25 sotto contattori- erano qui affidate all’americana Dynetics (Huntsville, Alabama), la quale aveva individuato Thales Alenia Space Italia per la fornitura dell’intera struttura pressurizzata del modulo abitativo lunare del DHLS. Fornitura comprendente anche la progettazione e la costruzione dei portelloni di accesso ed uscita per le attività extra-veicolari sulla superficie lunare, i finestrini, il sistema termico e quello di protezione contro micrometeoriti. Una prospettiva che avrebbe assicurato all’industria italiana non solo un ricco contratto industriale (di molto superiore a quello già acquisito per il programma Lunar Gateway), ma anche uno straordinario ed irripetibile ritorno di immagine risultando in un conseguente posizionamento politico-tecnologico di primissimo livello nella nuova corsa alla Luna, e non solo. Un profilo così elevato che avrebbe fatto “impallidire” i contratti e le attività spaziali in essere a livello europeo e rispetto alle quali, qualora la cordata rappresentata da Dynetics fosse stata eletta vincitrice del programma HLS, l’industria italiana avrebbe dovuto necessariamente trovare un nuovo baricentro per sostenere il “doppio effort” che ne sarebbe derivato considerando i contratti già acquisiti nel programma Lunar Gateway, ciliegina ora diventata torta per le aspirazioni italiane nel programma Artemis.
L’adesione italiana al programma di esplorazione lunare statunitense arriva in seguito all’abbandono del progetto del “Palazzo Celeste”, alias: Stazione Spaziale Cinese. Programma a causa del quale il Governo di Roma fu soggetto a forti pressioni e financo a preliminari ritorsioni economiche da parte degli Stati Uniti. Attraverso un contratto dell’ordine del miliardo di dollari (forse più) stipulato all’atto di sottoscrizione di un MoU al progetto cinese della Belts and Roads Initiative (BRI), sempre per il tramite di Thales Alenia Space Italia (TASI) visto il suo altissimo “know-how” tecnologico attraverso il quale è stato realizzato quasi il 50% dell’intero volume abitabile della Stazione Spaziale Internazionale (ISS), all’Italia veniva commissionato da parte cinese la realizzazione di un modulo abitativo pressurizzato permanente da installare sul futuro avamposto spaziale cinese. Un transfer tecnologico che gli “alleati” -Stati Uniti in primis- non potevano certo lasciare accadesse. Progetto che avrebbe permesso all’Italia di avere una via di accesso indipendente, preferenziale e soprattutto alternativa alla ISS di propri astronauti in orbita bassa (LEO). Il tutto, all’infuori del cappello dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA), e che avrebbe così portato all’istituzione di un vero e proprio corpo astronauti nazionale. Secondo la “strategia” italiana, la sottoscrizione degli Artemis Accords costituì a quel punto l’unica scelta possibile per assicurarsi un posto in prima fila nel futuro programma statunitense di esplorazione lunare. Una ennesima prova di fedeltà, non ricompensata all’atto pratico. Non che gli Stati Uniti dovessero in qualche modo “premiare” il riallineamento dell’alleato italiano dopo l’adesione alla BRI.
Una strategia americana che, in un’ottica di competizione anti-cinese, tende a recuperare il fascino sbiadito (nonchè il controllo) nei confronti di Roma, puntualmente sedotta attraverso la “prospettiva” (ma nessuna certezza) di vedere assegnare alle proprie eccellenze industriali rilevanti commesse statunitensi, o comunque parti importanti di esse. Sono un chiaro esempio di questa “strategia seduttiva”, sia la commessa vinta da Fincantieri per la costruzione delle future fregate americane (anche qui però con significative condizioni per l’industria italiana), sia quella degli elicotteri con Leonardo. “Compensazioni” -se così si possono chiamare- che portano a chiedersi quando e se gli americani manterranno davvero le promesse, ammesso che ne abbiano mai fatte. Con l’auspicio che Roma non si veda nuovamente “scaricare” da Washington a cose fatte, come peraltro più volte già accaduto in passato come per la commessa dell’aereo da trasporto tattico C-27J “Spartan” (allora Alenia Aeronautica), e nella mancata assegnazione della commessa plurimiliardaria per la sostituzione dei T-38 (Programma T-X) con quello che oggi è il velivolo da addestramento militare più avanzato presente sul mercato mondiale: l’M-346 di Leonardo.
L’Italia ha sottoscritto gli Artemis Accords aspirando ad un ruolo di primo piano all’interno del programma Artemis come singola nazione, non come membro dell’eterogeneo mondo dell’ESA. Un riconoscimento non arrivato e che, rispetto alle prime due potenze spaziali europee di Francia e Germania, lascia l’Italia esattamente nelle stesse condizioni di prima della firma degli accordi. Nazioni queste che pur non essendo aderenti al programma Artemis vedono le loro industrie aerospaziali godere comunque di contratti ad esso legati per il tramite dell’ESA. Esattamente quello che accade all’Italia.
Sospeso il contratto a SpaceX, partenza in salita per HLS
Intanto, assistiamo a quella che potrebbe essere la prima storica battaglia legale tra attori commerciali dell’era della New Space Economy. Sia Blue Origin che Dynetics hanno infatti presentato protesta formale presso il Government Accountability Office (GAO) contro la decisione di NASA di assegnare univocamente a SpaceX il plurimiliardario contratto del programma HLS. Le due aziende ritengono che in virtù del fatto che NASA fosse a conoscenza di non possedere il budget sufficiente per l’assegnazione di (almeno) due contratti di sviluppo per il programma HLS, la gara non avrebbe dovuto svolgersi o avrebbe dovuto farlo secondo “modalità diverse”. NASA che avrebbe dovuto quindi impegnarsi nell’individuazione di “opportuni strumenti” atti a progredire verso soluzioni contrattuali che fossero a salvaguardia della competitività e -soprattutto- a garantire il minor rischio di insuccesso possibile del programma. In altre parole: non concentrando tutte le chance di successo in un unico progetto. A meno di due settimane dall’annuncio della vittoria di SpaceX, il GAO, ricevute le proteste formali, ha quindi dato mandato alla NASA di ordinare l’immediata sospensione di tutte le attività relative al programma HLS, fino al termine della dovuta verifica delle contestazioni pervenute da parte di Blue-Origin e Dynetics. Attività del programma HLS sospese fino a quando il GAO non si pronuncerà sulla correttezza dell’assegnazione del bando di gara. Decisione prevista al più tardi entro il 4 Agosto ma che potrebbe anche portare, qualora vengano accolte le contestazioni, all’annullamento vero e proprio del bando stesso. La battaglia legale è appena cominciata e questo rischia di allungare ulteriormente i già strettissimi tempi di sviluppo.