L’Italia è una “Potenza anfibia” con interessi vitali tanto sulla terraferma quanto sui mari. A dare questa definizione, negli anni ’30 del secolo scorso, furono i fondatori della Scuola italiana di geopolitica Ernesto Massi e Giorgio Roletto che aggiunsero questo terzo elemento al dualismo conflittuale Potenze terrestri – Potenze marittime della geopolitica classica. Per la sua stessa conformazione geografica l’Italia è ancorata all’Europa e protesa allo stesso tempo nel Mediterraneo orientale. Per il “gioco delle proiezioni” e per la trasformazione degli scenari economico-commerciali mondiali il Mar Rosso diventa una regione fortemente attrattiva per gli interessi dell’Italia “anfibia”.
Quando nel 1882 il governo italiano acquistò la Baia di Assab dalla Compagnia Rubattino, il ministro degli Esteri Pasquale Stanislao Mancini – tra i fondatori dell’ideologia coloniale italiana – giustificò in Parlamento questa operazione con la necessità per il nostro Paese di essere parte in causa nella nascita e nello sviluppo delle nuove rotte commerciali che, dal Canale di Suez, collegavano il Mediterraneo con l’Oceano Indiano. Il successivo rafforzamento della presenza militare e politico-amministrativa italiana nel Corno d’Africa, con l’estensione dei possedimenti di diretto dominio in Eritrea e Somalia, aveva come scopo strategico proprio quello di avere piedi ben piantati nelle acque del Mar Rosso. Nonostante le attenzioni di politici, diplomatici e militari italiani si fossero concentrate sull’Impero etiopico, in molti, su tutti il governatore dell’Eritrea Jacopo Gasparini, rimasero convinti che il vero nucleo dell’interesse nazionale fosse il Mar Rosso nel nome di una più ampia “proiezione imperiale” italiana.
L’evoluzione dell’economia mondiale, con la comparsa sullo scenario internazionale di attori come l’India e la Cina, lascia pensare che effettivamente Gasparini, Massi e Roletto non avessero torto a spostare la barra degli interessi italiani nel Mar Rosso che è tanto più importante quanto più identificato quale rotta preferenziale dei grandi traffici commerciali nell’epoca della globalizzazione. Una teoria ma anche una linea politica che spinga Roma ad avere un ruolo più importante nel Mar Rosso, con il rafforzamento dei rapporti bilaterali con gli Stati della sponda occidentale ed investimenti strategici ben mirati nell’area, non è in contrasto né con la nuova “Via della seta” (interessante se considerata alla luce della penetrazione economica e politica cinese nel Corno d’Africa) fortemente voluta dal presidente del consiglio Conte, né con le tradizionali direttrici euro-atlantiche della politica estera nazionale. Alcune scelte politico-diplomatiche del governo giallo-verde pare alludessero proprio ad una revisione del ruolo italiano nella regione, si pensi al viaggio di Giuseppe Conte in India, alla definizione di “Mediterraneo allargato” ed alla teorizzazione del “ruolo positivo dell’Africa negli scenari internazionali” che deve essere promosso in Europa proprio dall’Italia. Questa idea ancora evanescente, seppur affascinante, poggia comunque sul ruolo geografico e geostrategico che la Penisola italiana riveste quale “terminale” per i traffici commerciali del “Cindoterraneo” (Cina – Oceano Indiano – Mediterraneo) che è, ad oggi, la principale carta che la nostra diplomazia può giocare sui tavoli che contano.
Anche i rapporti bilaterali solidi con l’Eritrea, la nostra ex “Colonia primigenia”, contribuiscono a rafforzare la presenza italiana nel Mar Rosso. Lo scorso 4 luglio il ministro degli Esteri Moavero Milanesi ha incontrato alla Farnesina il suo omologo eritreo Osman Saleh ed il comunicato ufficiale parla di “forte interesse – da parte eritrea ndr – per gli investimenti italiani, segnatamente nel settore delle infrastrutture portuali, nel quadro della dinamica espansione che, grazie anche all’iniziativa italiana, stanno vivendo le rotte dei collegamenti marittimi tra il Mediterraneo e l’Asia Orientale, via l’Oceano indiano”. Parole che ben evidenziano come la penetrazione italiana nel Mar Rosso passi attraverso le attività delle nostre aziende in una fase in cui Paesi dalle enormi potenzialità hanno la necessità di modernizzare ed in alcuni casi costruire da zero le proprie infrastrutture strategiche.
I rapporti con il governo somalo, nonostante le numerose attestazioni di stima, sono invece ancora soggetti al doppio livello d’una narrazione che vorrebbe l’Italia protagonista nel Paese, visto il suo passato prima come Potenza coloniale e poi come Potenza amministratrice, a fronte di un disimpegno politico-militare nella regione a partire dalla seconda metà degli anni ’90 che ha drasticamente minato le possibilità italiane di incidere profondamente sui meccanismi decisionali dello “Stato fallito” più instabile del Corno d’Africa.
Uno sguardo a parte va poi gettato sul Sudan dove l’Italia – pur nell’ambito della complessa transizione politica che la terra dei Dervisci sta attraversando – riesce, tramite l’approccio “interculturale” dei propri diplomatici in loco, non solo a contribuire in maniera determinante al programma di sminamento delle Nazioni Unite, ma anche a tenere aperte finestre di dialogo con le tante realtà locali comprendendone necessità e captandone gli obiettivi, come già riportato da Geopolitica.info nell’articolo di Fabrizio Lobasso e Elenoire Laudieri di Biase.
In acque che lambiscono aree fortemente instabili la presenza militare è fondamentale. In questo quadro si inserisce l’importante ruolo rivestito dall’Italia nell’ambito dell’Operazione Atalanta per il contrasto della pirateria nel Corno d’Africa. Il 23 luglio scorso la fregata “Antonio Marceglia” della Marina Militare ha assunto il ruolo di Force Commander dell’Operazione decisa dal Consiglio Europeo nel 2008 e che sta dando importanti frutti contro un fenomeno, quello della pirateria nel Mar Rosso e nell’Oceano Indiano, che rischia di minare pericolosamente i traffici commerciali lungo la rotta di Suez oltre a costituire una pressante minaccia per il trasporto degli aiuti umanitari del World Food Programme. La fregata comandata dal contrammiraglio Armando Simi sarà impegnata fino a dicembre 2019 nell’area del Golfo di Aden e dell’Oceano Indiano. Nonostante la scarsa attenzione mediatica, la Missione Atalanta ha un’importanza strategica vitale per i nostri interessi nazionali nel Mar Rosso che sono inevitabilmente connessi con la libertà di navigazione e l’espansione dei traffici commerciali nei “mari caldi”.
La politica italiana nel Mar Rosso è espressione tanto della diplomazia economica tanto di quella tradizionale, ma anche di dialogo interculturale tra realtà che, per un certo periodo della loro storia, hanno convissuto sotto la stessa bandiera. La commistione positiva di interessi economico-privati e politici-statali spinge necessariamente l’Italia verso il Mar Rosso che è regione di mercati emergenti e via di comunicazione fondamentale. Può sembrare che, indirettamente, la condotta italiana nel Corno d’Africa e nel Mar Rosso abbia i suoi pilastri fondamentali nelle teorie espresse dalla Società Geografica Italiana tra gli anni ’60 e ’90 del XIX Secolo ma c’è ancora tanto da fare per ritagliarsi un’area d’influenza politico-economica propria al riparo dall’assalto dei giganti cinese ed indiano specialmente perché le regole del gioco ad oggi vedono ancora gli Stati nazionali come attori fondamentali e le organizzazioni sovranazionali come l’UE incapaci di dettare la linea e di avere una strategia comune.