Il governo giallo-verde ha dimostrato sin dall’inizio del suo mandato di voler rafforzare la cooperazione con la Repubblica Popolare Cinese nell’ambito, in particolare, della Belt and Road Initiative (BRI), l’imponente progetto infrastrutturale varato nel 2013. Le visite in Cina del Ministro dell’Economia, Giovanni Tria, del Sottosegretario allo Sviluppo Economico, Michele Geraci e del Vice-Premier Luigi DI Maio hanno confermato tale proposito. Pur non essendo riuscito a firmarlo entro il 2018, nell’ambito della BRI, l’Esecutivo italiano sembrerebbe intenzionato a voler raggiungere un protocollo d’intesa in occasione della visita del Presidente Xi Jinping, arrivato oggi in Italia.
Se tale intesa sarà raggiunta l’Italia diventerebbe il primo paese membro del G7 a farlo. In merito alle prospettive future della cooperazione tra Italia e Cina abbiamo intervistato Luigi Bidoia, Economista Industriale, Data Scientist e Intraprenditore.
Dottor Bidoia, quali pensa siano le prospettive del commercio globale, dato l’attuale contesto di incertezza economica e il rallentamento dell’economia cinese: si è già verificato una riduzione degli scambi commerciali mondiali?
Per raccontare quello che sta accadendo oggi forse è opportuno fare una piccola digressione sull’evoluzione del commercio mondiale. Dall’inizio del nuovo millennio fino alla Grande Recessione gli scambi internazionali hanno sperimentato una cresciuta sostenuta. Si pensi, che tra il 2000 e il 2007 il valore dei flussi commerciali è più che raddoppiato (+138%). Un driver fondamentale di questa dinamica è stato sicuramente l’entrata nel WTO della Cina, nel dicembre 2001, che ha provocato uno shift epocale nella struttura del commercio internazionale. La Grande Recessione ha segnato una decisa inversione di rotta, ma dopo il recupero dei livelli di scambio pre-crisi, avvenuto solo nella seconda metà del 2010, si è assistito ad una dinamica caratterizzata da quelli che potremmo definire “mini cicli” congiunturali, che proseguono tuttora. È il caso, ad esempio, della contrazione di breve termine dei flussi di scambio a seguito della crisi dei debiti sovrani, oppure del rallentamento del 2016 a causa dell’incertezza politica (Brexit, elezione di Trump) e del peggioramento delle condizioni economico-finanziarie dei mercati emergenti; fino ad arrivare alla sostanziale stabilità che ha caratterizzato il 2018. Nell’attuale congiuntura, la Brexit e la guerra commerciale Usa-Cina hanno generato un clima di incertezza economica senza precedenti. A questa incertezza si è aggiunto la minor crescita dell’economia cinese. Il risultato complessivo è stato il rallentamento del ritmo di crescita degli scambi internazionale a cui si è assistito. Qualora nei prossimi mesi la trattativa in atto tra Stati Uniti e Cina portasse ad un superamento dell’attuale guerra commerciale, allora potrebbe venir meno un fattore importante dell’attuale fase di rallentamento. Abbiamo, perciò, buone ragioni per credere che dalla seconda metà del 2019 il commercio mondiale possa, almeno in parte, recuperare.

Nel settembre 2018 l’Amministrazione americana ha imposto un dazio del 10% su circa 200 miliardi di dollari di prodotti cinesi a cui è seguita la rappresaglia cinese. Durante l’incontro di Buenos Aires tra Trump e Xi Jiping l’innalzamento del dazio al 25%, previsto per gennaio 2019, è stato scongiurato dal raggiungimento di una tregua. Le parti hanno già raggiunto un accordo per una proroga della scadenza e si dicono disponibili al dialogo. Quali sono, a suo giudizio, le ripercussioni per l’Italia dello scontro tra due superpotenze come Usa e Cina?
All’origine del deficit commerciale americano con la Cina vi è una forte complementarietà in termini di specializzazione produttiva delle due economie; il video proposto consente di evidenziare bene tale struttura.
Perseguire una strategia tariffaria, perciò, imporrebbe costi significativi su entrambe le economie. L’analisi dei flussi commerciali degli ultimi 6 mesi mostra in modo evidente come di per sé l’imposizione tariffaria si sia rivelata uno strumento inefficace per ridurre il deficit commerciale americano verso la Cina, che in realtà nel corso del 2018 è cresciuto ulteriormente raggiungendo la quota di 413 miliardi di $. Il deficit commerciale è pari alla differenza tra le importazioni e le esportazioni tra i flussi di beni e servizi tra i due Paesi, e se le importazioni cinesi hanno mostrato nel corso del 2018 una crescita lenta sul mercato americano, la performance delle esportazioni americane sul mercato asiatico ha subito un significativo peggioramento. Lo strumento delle tariffe, sostanzialmente, si è esplicitato in una mera minaccia per entrambe le economie coinvolte, oltre che per l’intera economia mondiale. Sul fronte orientale, infatti, l’attività manifatturiera cinese ha dato segnali di rallentamento, mentre, sul fronte occidentale, i produttori agricoli statunitensi sono stati duramente colpiti dalla guerra commerciale. Allo stesso tempo, bisogna però evidenziare come lo strumento tariffario abbia giocato un ruolo di primaria importanza nella relazione tra le due economie. Esso ha rappresentato, di fatto, il mezzo attraverso il quale Cina e Stati Uniti hanno ritrovato le basi per un dialogo bilaterale. Se questo dialogo dovesse essere infruttuoso e lo scontro diventasse frontale, le ripercussioni per il nostro Paese non sarebbero meramente commerciali, ma di carattere più squisitamente politico. Il Belpaese si troverebbe, infatti, a scegliere tra un alleato storico come l’America e le opportunità offerte dalla politica di apertura cinese, all’interno di una già frammentata Europa.
In questo contesto qual è lo stato delle relazioni commerciali tra Italia e Cina e quali sono i punti di forza e di debolezza dell’export italiano?
Al crescente ruolo assunto dalla Cina sul panorama internazionale, il sistema industriale italiano ha saputo rispondere attraverso una specializzazione produttiva verticale. Tra i due sistemi economici è, infatti, esistita una complementarietà nelle strutture produttive e nei prodotti scambiati. L’Italia ha conquistato quote di mercato attraverso la differenziazione verso fasce premium-price, la Cina, invece, ha sfruttato i significativi vantaggi di costo come driver della penetrazione sui mercati esteri. Tuttavia, oggi la Cina si sta riposizionando verso prodotti knowledge-intensive e questo pone delle sfide rilevanti: affinché l’Italia possa difendere gli spazi di mercato conquistati è necessario attuare una rinnovata politica di sviluppo che tenga conto delle nuove dinamiche dell’economia cinese. I dati del Sistema Informativo Ulisse permettono di segnalare chiaramente come le esportazioni cinesi verso l’Europa e versi gli Stati Uniti si siano gradualmente ricollocate verso fasce di mercato maggiormente premianti. L’obiettivo per le imprese italiane, perciò, a mio avviso è quello di adottare una strategia di differenziazione ulteriore, che possa distinguere i nostri prodotti dai competitor, naturalmente in questo quadro diventa di primaria importanza lo strumento dell’innovazione.
Export cinese verso USA | Export cinese verso UE |
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Si ringraziano Francesco Lomonaco e Marzia Moccia per il contributo all’elaborazione dei dati.