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L’Italia e il “grande gioco” del Caucaso dopo la Blitzkrieg azera in Artsakh

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L’offensiva dell’Azerbaijan nell’Artsakh è durata un giorno. La Russia ha mediato un accordo tra Baku e le autorità armene del Nagorno Karabakh. I negoziati tra azeri e rappresentanti dell’Artsakh sono iniziati nella città azera di Yevlax.

Le truppe azere hanno colpito con droni Bayraktar TB2 forniti dalla Turchia, praticamente indisturbati, le posizioni dell’Esercito di difesa del Nagorno Karabakh, accompagnati da un massiccio fuoco d’artiglieria di saturazione. 

Un intervento diretto dell’Armenia – ancora provata dalla guerra del 2020 e isolata sul piano internazionale, dove non gode più dell’appoggio della Russia né ha sufficienti legami con la Nato – in difesa dell’Artsakh era improbabile. Sui negoziati a Yevlax, il primo ministro di Yerevan, Nikol Pashinyan, ha dichiarato che l’Armenia “ha preso atto” dell’accordo ma che le autorità del Nagorno Karabakh non l’hanno coinvolta nelle discussioni. Si legge, in questo, una critica neanche troppo velata diretta verso i russi. 

La blitzkrieg azera nell’Artsakh potrebbe aver risolto uno dei problemi geostrategici di Baku, ma apre a interessanti spunti di riflessione su altre potenze coinvolte nel “grande gioco” del Caucaso. 

Una potenza che aveva guardato con apprensione alla conquista azera delle aree meridionali del Nagorno Karabakh è l’Iran. Teheran è preoccupata dal legame che Baku ha con Tel Aviv (che agli azeri ha fornito armi anche durante la guerra del 2020).

L’Azerbaijan è parte integrante della strategia di Israele volta ad isolare e contenere l’Iran e non è escluso che, in caso di guerra, le Forze armate israeliane non possano usare il “Corridoio di Zangezur” (meno famoso di quello di Lachin ma decisamente importante per i commerci nella regione e per la sicurezza del confine settentrionale iraniano) per colpire Teheran.

Resta il fatto che l’Iran non è stata, né avrebbe voluto essere, parte attiva in una guerra che avrebbe potuto durare di più, abdicando anche al ruolo di hub logistico per le forniture di armi russe agli armeni dell’Artsakh.

Anche l’Italia è una delle potenze coinvolte nel conflitto caucasico, anche se “indirettamente”. L’Azerbaijan rappresenta, infatti, uno dei Paesi dai quali passa la strategia di differenziazione delle forniture energetiche italiane.

Più del 10% del gas importato in Italia (tramite Eni e Snam) è azero e rappresenta il 50% della produzione totale di Baku. Quella italo-azera è una partnership consolidata, divenuta ancora più importante con lo scoppio della guerra in Ucraina, quando Roma ha dovuto tagliare i rapporti energetici con Mosca, rivolgendosi a Stati come l’Algeria e, appunto, l’Azerbaijan. 

Di fronte alla crisi energetica ed ai rischi connessi per l’economia e l’industria, l’Italia ha seguito e sta seguendo una linea pragmatica, volta a tutelare primariamente gli interessi nazionali e, secondo poi, a proseguire nel progetto di trasformare la Penisola nell’hub gasiero d’Europa.

Ovviamente, se per Roma la sicurezza energetica rappresenta una leva importante della propria politica estera, Baku ha ancora problemi di sicurezza e difesa da risolvere, cosicché il legame con gli italiani è stato orientato fin da subito ad ottenere forniture militari.

Leonardo ha stipulato con l’Azerbaijan un contratto per la fornitura alla propria aeronautica di aerei da trasporto tattico Alenia C-27J Spartan. Il programma di acquisto del C-27J della Leonardo è stato perfezionato nell’ambito di un tavolo tecnico tra il Ministero della Difesa di Roma e la controparte azera nel giugno scorso.

Se l’Italia ha mostrato grande interesse per gas e petrolio azeri, lo stesso ha fatto Baku per l’industria della difesa italiana, con contatti iniziati nel 2012 e rafforzati nel 2020, poco prima dello scoppio della guerra contro l’Armenia per il Nagorno Karabakh.

L’esigenza palesata dallo stesso presidente azero, Ilham Aliyev, di modernizzare il Paese e le sue Forze armate, ha consentito all’Italia di emergere come uno dei partner più importanti sotto questo profilo per gli azeri. Come ha spiegato il ministro della Difesa, Guido Crosetto, a giugno, l’Italia e l’Azerbaijan hanno comuni interessi nei settori di energia e difesa, con Roma impegnata a sostenere attivamente il dialogo di Baku con Ue e Nato.
Gli interessi energetici ed industriali-militari in Azerbaijan si ricollegano ad una lunga tradizione della politica estera italiana che affonda le sue radici nella “geopolitica della seta” che aveva spinto il Regno di Sardegna prima ed il Regno d’Italia poi, nel solco della diplomazia cavouriana, ad interessarsi al lontano Caucaso. Gli italiani avevano interesse a comprendere il “grande gioco” (quando non a parteciparvi direttamente) anglo-russo in atto nel Caucaso per il controllo di quella che la geopolitica classica definisce “Rimland”; oggi gli attori protagonisti sono cambiati ma non la sostanza: all’Italia il Caucaso interessa e l’attenzione è reciproca.

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