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L’Italia e il Caucaso meridionale: i fragili equilibri in una “regione ponte” verso l’Asia centrale

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L’ultima recrudescenza del conflitto tra Armenia e Azerbaigian ha scavato un solco divisivo nell’area transcaucasica, regione “ponte” tra Oriente e Occidente e area strategica per le iniziative egemoniche di medie e grandi potenze. I revanscismi alimentati dalle proteste dell’esercito armeno e di una parte della società civile che non ha “metabolizzato” la sconfitta subita nel 2020, potrebbero travolgere la scena politica del Paese, paralizzando il processo di pace avviato con la mediazione russa. Dato il volume di affari tra l’Italia e l’Azerbaigian, Roma guarda quindi con interesse all’evoluzione degli scenari politici in una regione che potrebbe fungere da ponte verso i mercati in espansione degli Stati dell’Asia centrale.

L’ultima guerra che in ordine di tempo ha imperversato nella regione del Nagorno Karabakh, tra settembre e novembre del 2020, si è rivelata per l’ennesima volta un fattore di destabilizzazione per tutta la regione transcaucasica, attraversata da conflitti che in numerosi casi si sono trasformati in vere e proprie faide interetniche, perennemente pronte a riesplodere dopo essere rimaste latenti anche per lunghi anni. Tale è il caso del Nagorno Karabakh e di sette distretti che circondano la regione, autoproclamatisi come “repubblica dell’Artasakh dopo la guerra intercorsa con l’Azerbaigian tra il 1992 e il 1994, ma mai riconosciuti come Stato dalle altre nazioni. Questa regione, meglio conosciuta a livello internazionale come Nagorno Karabakh, tra settembre e novembre 2020 è stata investita in pieno da un attacco azero. In poco più di quaranta giorni, l’esercito di Baku è riuscito a portare avanti una riconquista seppure incompleta di gran parte della regione contesa, territorio che da quasi un trentennio è oggetto di sentimenti revanscisti da parte del popolo azero. 

La sconfitta subita nel recente conflitto si è rivelata disastrosa per l’Armenia, investita da una lunga serie di proteste di piazza che hanno portato a temere un colpo di Stato militare nel marzo 2021, quando le dichiarazioni del primo ministro in merito alla scarsa funzionalità degli strumenti bellici a disposizione hanno amplificato il malcontento dell’esercito, che ha letto tali esternazioni come un tentativo di screditare l’istituzione militare. Anche se il mondo politico e il mondo militare armeno sono tradizionalmente rimasti separati tra loro, senza interferire l’uno negli affari dell’altro, la crisi attuale rischia di invertire la tendenza, portando l’Armenia sulla via dell’instabilità politica. La crisi politica a Yerevan potrebbe dunque aprire indirettamente la strada a un’influenza ancora più ampia e pervasiva da parte di attori esterni come la Russia e la Turchia, che da secoli si contendono il primato quali attori egemoni nell’area. Il caos politico alimentato nella società armena in preda ad una sorta di “sindrome da accerchiamento” rischia dunque di compromettere gli sforzi di pace per l’intero Caucaso meridionale, che negli ultimi mesi è divenuto la sede di importanti progetti infrastrutturali forieri di potenziali benefici economici per le aree attraversate, destinate a fungere da ponte tra l’Asia centrale e l’Europa. 

Tali progetti economico-infrastrutturali vedono tra i protagonisti in prima linea anche alcune potenze di media entità come l’Italia, che insieme a diversi altri Stati dell’Europa occidentale partecipa a svariate iniziative economiche in loco, promosse in larga parte dallo Stato azero. Il legame economico tra Roma e Baku, già sviluppato e consolidato da svariati anni per quanto riguarda il settore energetico, sta subendo un’ulteriore accelerazione grazie alle numerose partnership siglate negli ultimi mesi con molte aziende italiane, che sono state invitate a partecipare alla ricostruzione dei distretti da poco annessi nel Nagorno Karabakh. La capacità delle imprese italiane di far breccia nel mercato azero, ritagliandosi spazi sempre più ampi in loco, ha generato per l’Italia spillover vantaggiosi sotto molti punti di vista. Le esternalità positive alimentate dal legame economico tra Roma e Baku sono infatti riuscite a facilitare l’espansione del soft power esercitato in ambito diplomatico e nella cooperazione in campo culturale, che pare destinata a concretizzarsi nel progetto in corso per la realizzazione di scambi e cooperazioni tra le università dei due Paesi.

In un frangente storico in cui, viste le tensioni in un Mediterraneo attraversato da conflitti scatenatisi a seguito delle primavere arabe, l’Italia mantiene con difficoltà il suo storico soft power nel nord Africa e nello spazio ex coloniale, diversificare le partnership potrebbe contribuire a rivitalizzare l’immagine del Paese. L’apertura di nuovi ulteriori sbocchi economici in Asia centrale, importante polo d’attrazione per gli investimenti italiani, potrebbe tradursi per Roma in nuovi accordi di cooperazione multisettoriale vantaggiosi per le parti e potenzialmente capaci di generare un nuovo spazio di esercizio del soft power. L’evento chiave in tal senso è stato la “Conferenza Italia-Asia centrale” tenutasi a Roma nel 2019, alla quale hanno partecipato Kazakistan, Uzbekistan, Tagikistan e Kirghizistan, che, insieme all’Italia, hanno iniziato a porre le basi per una più ampia cooperazione multilaterale. Questi accenni di attivismo da parte italiana sono verosimilmente destinati a rimanere confinati e limitati, in modo tale che gli affari italiani non entrino in contrasto con gli interessi di potenze quali Russia, Cina, Stati Uniti, Turchia, già dotate di migliori risorse e maggiore radicamento in loco.

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