E’ sulla bocca di tutti e riempie le colonne dei giornali. Fiumi di inchiostro gli vengono dedicati ogni giorno ai quattro angoli del globo. Molti, in particolare nel mondo arabo e islamico, chiedono a gran voce che venga chiamato Daesh. In Occidente però, è meglio noto come Isis.
Questo acronimo, poi sostituito da più conciso –e pericoloso- Is, individua una delle principali caratteristiche del fenomeno: la volontà e la pretesa di farsi Stato, assurgendo ad un rango ignoto a tutti gli altri movimenti terroristici. Questi ultimi hanno, in alcuni casi, auspicato la secessione di una porzione di territorio da uno Stato già esistente, la sovversione dell’ordine costituito, l’affermazione di un’ideologia politica. Mai l’aspirazione è stata quella, propria del Califfo e dei suoi seguaci, di creare uno Stato ex novo, equipaggiandolo con gli elementi che, secondo la scienza politica, ne rappresentano l’essenza.
Occorre, quindi, domandarsi se ed in che misura l’Isis, nel suo territorio di origine a cavallo tra Iraq e Siria, sia davvero considerabile uno Stato. Secondo le categorie tradizionali, è sufficiente la compresenza di tre elementi per l’esistenza di uno Stato: territorio, popolo, forma di governo. Nel’area sotto il suo controllo, il movimento guidato dal Califfo presenta tutte e tre queste caratteristiche. Oltre sei milioni di abitanti risiedono oggi su un’area vasta oltre 200 mila kmq – per lo più desertica – dove gli uomini dell’Isis hanno creato una forma, seppur ancora traballante, di amministrazione, finalizzata sia al mantenimento dell’ordine interno sia all’erogazione dei servizi pubblici di base.
Secondo fonti britanniche citate dal Christian Science Monitor, il movimento ha elaborato, oltre un anno fa, un vademecum per gli attuali e futuri funzionari pubblici dello Stato islamico. Dipartimenti, strutture, servizi sono descritti nel documento, evidenziando l’aspirazione del Califfo per un’opera di state building che, se integralmente realizzata, rappresenterebbe un unicum nella storia. Andando, inoltre, ad arricchire il novero degli elementi che, secondo Max Weber, delineano lo Stato in quanto tale: l’esistenza di un apparato amministrativo. E’ forse scontato ricordare che lo Stato Islamico si è anche dotato di un sistema giuridico autonomo e strutturato, altro requisito proprio delle realtà statuali. Scontato perché quel sistema giuridico non è altro che la sharia, applicata nella sua versione più rigida dagli uomini del Califfo.
Quanto alla teoria weberiana del monopolio della forza legittima – nozione sociologica fatta poi propria dalla politologia – si attaglia alle reali condizioni sul terreno, create dalla dirompente forza militare dell’organizzazione islamista. Forti dell’esperienza militare dei graduati dell’ex esercito di Saddam e di ingenti risorse finanziarie affluenti dall’esterno, gli uomini del Califfo hanno conquistato ampie porzioni di territorio. E se è pur vero che oggi, per stessa ammissione del Califfo, il territorio sotto il controllo dell’Isis va assottigliandosi, lo è altrettanto che le sue fonti di finanziamento sono diventate eterogenee e le sue tecniche amministrative più raffinate.
Addirittura, i terroristi stanno approcciando i canali diplomatici, come dimostra il grand bargain con il governo di Damasco per l’evacuazione dei suoi miliaziani, poi interrotto sul campo dall’Esercito dell’Islam dopo l’uccisione del suo leader mediante un bombardamento. Segno, questo, che l’Isis si propone anche quale attore sul piano politico “internazionale”, negoziando da pari a pari con i governi della regione. Ottenendo così, implicitamente ed ufficiosamente, quel riconoscimento internazionale che rappresenta un altro connotato imprescindibile degli Stati secondo i canoni classici della politologia.
Un simile approccio ha fatto breccia anche in altre organizzazioni terroristiche, sinora refrattarie ad assumere il controllo diretto del territorio e ad esercitarvi funzioni amministrative. Al-Qaeda, incalzata dall’Isis e timorosa di uscire con le ossa rotte dalla competizione con Califfo, mediaticamente sovraesposto, ha reagito sia organizzando azioni spettacolari –si pensi a Bamako- sia incentivando i suoi affiliati a conquistare ed amministrare ampie fasce di territorio, come sta accandendo nel martoriato Yemen. Secondo il Washington Post, la strategia di Al-Qaeda è tesa ad ingraziarsi i musulmani nel medio-lungo periodo, facendo apparire l’Isis come una meteora nel panorama politico sunnita.
Come noto, la realtà dell’Isis è prismatica, data la sua molteplice natura di amministrazione pubblica, organizzazione militare, movimento terroristico globale. Combatterlo sul suo terreno permetterebbe di eliminare almeno alcune di tali dimensioni, indebolendone al contempo il prestigio agli occhi degli aspiranti affiliati.
Ancor più rilevante, nel lungo periodo, sarebbe l’azzeramento del suo potenziale emulativo da parte di altri movimenti terroristici: nessun movimento terroristico e criminale può impunemente auspicare di farsi Stato.