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TematicheMedio Oriente e Nord AfricaL’iniziativa del Cairo, tra dubbi ed opportunità

L’iniziativa del Cairo, tra dubbi ed opportunità

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In seguito ad un meeting con il Maresciallo Haftar e Aguila Saleh, Presidente del Parlamento di Tobruch, il Presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi ha annunciato un’iniziativa diplomatica mirata a riavviare le trattative di pace per la Libia, cogliendo così l’opportunità di intestarsi un dossier che per l’Egitto è tanto materia di politica estera quanto di sicurezza nazionale. Al netto dell’opposizione di Tripoli ed Ankara, l’annuncio del Presidente ha riscosso apprezzamenti trasversali ma – al di là del galateo istituzionale – si celano posture che palesano un opportunistico bifrontismo tra l’attività diplomatica e quella sul campo.

L’iniziativa del Cairo

Annunciata sabato 6 giugno, la proposta di al-Sisi consiste in un cessate-il-fuoco seguito da una road-map per riattivare i negoziati tra le parti. Nel dettaglio, il piano prevede la formazione di un nuovo Consiglio Presidenziale – con rappresentanti delle tre regioni libiche – composto da un Presidente, due Vice ed un Primo Ministro, in carica per un anno e mezzo con la possibilità di estensione del mandato di ulteriori sei mesi. Contrappunto fondamentale, la richiesta alle Nazioni Unite (UN) di imporre agli attori stranieri l’espulsione di tutti i loro contractors, così come di gestire il disarmo e lo scioglimento delle numerose milizie che insanguinano il Paese da quasi un decennio.

I timori di al-Sisi

Il rinnovato attivismo del Cairo deve essere interpretato in chiave cautelativa e difensiva. La proposta giunge infatti in un momento in cui la possibilità di installare un regime moderato a Tripoli – in grado di assicurare sicurezza e stabilità alla Cirenaica, considerata da al-Sisi una storica provincia egiziana – è ormai del tutto tramontata. C’è il rischio concreto anzi di una riunificazione della Libia sotto l’egida di un esecutivo dominato da forze islamiste e supportato dalla Turchia, tra i principali sponsor della Fratellanza Musulmana. Il Maresciallo Haftar è stato infatti sostenuto sin dalla prima ora da al-Sisi poiché ritenuto un utile strumento per stroncare l’influenza della Fratellanza nella regione, dopo che lui stesso è salito al potere nel 2013 con un golpe diretto proprio contro i Fratelli Musulmani egiziani.

Le reazioni di Tobruch e Tripoli

Superfluo sottolineare come da Tobruch vi sia stata una piena aderenza al piano, che non a caso è stato presentato in un momento di assoluta difficoltà militare per l’Esercito Nazionale Libico (LNA) di Haftar, incapace non solo di concludere l’assedio finale di Tripoli, in corso da più di un anno, ma ora non più in grado nemmeno di mantenere i suoi avamposti. Alla luce degli eventi, la decisione di ritirare le truppe dalla Capitale sembra quindi suggerita anche da una necessità militare, oltre che da ragioni di opportunità diplomatica. La coincidenza tra l’affanno del Maresciallo e la sua adesione al progetto di pace non è ovviamente passata inosservata dalle parti di Tripoli, che ha seccamente rispedito al mittente la proposta. Le clausole dell’iniziativa del Cairo risultano infatti inaccettabili per il Governo di Accordo Nazionale (GNA) per una serie di ragioni. In primis, la presenza di Haftar nei futuri dialoghi di pace è considerata un non-starter, tanto che il Capo dell’Alto Consiglio di Stato Khaled al-Mishri ne ha invocato la resa incondizionata ed un processo davanti ad un tribunale militare, ipotesi questa agli antipodi con le richieste egiziane, che prevedono lo smantellamento delle milizie e la consegna delle armi proprio all’LNA.

A pesare risulta la condotta dell’uomo forte della Cirenaica, che ha sempre disatteso i precedenti negoziati quando poteva contare su un quadro militare a lui favorevole, e non giova di certo alla sua immagine il rinvenimento di fosse comuni nei territori prima sotto il suo controllo, né tanto meno i campi minati che ha lasciato per coprire la ritirata. In secondo luogo, la proposta di pace è un’arma a doppio taglio per Tripoli che – almeno sulla carta – si è sempre dichiarata favorevole ad una soluzione politica. In realtà, il rilancio dei negoziati potrebbe concretizzarsi in un monitoraggio congiunto delle attività della Banca Centrale Libica e della National Oil Corporation, in questo momento saldamente sotto il controllo delle milizie e della Fratellanza Musulmana, che non sembrano intenzionate a condividerne la gestione. Infine, non c’è alcuna ragione strategica perché Tripoli accetti ora una tregua, dato che il supporto militare turco le ha permesso di ribaltare le sorti del conflitto arrivando a ventilare la liberazione di Sirte ed una penetrazione in Cirenaica.

Dietro le quinte: Ankara e Mosca

Com’è chiaro ormai da tempo, quello in corso in Libia è a tutti gli effetti un conflitto per procura, dove – al netto degli altri attori regionali – si stagliano per influenza da un lato Ankara, a sostegno di Tripoli, e dall’altro Mosca, più defilata nel sostenere Tobruch. Secondo numerosi analisti, l’intenzione di Turchia e Russia sarebbe quella di bissare quanto già avvenuto in Siria, con il consolidamento di due zone di influenza rispettivamente in Tripolitania e Cirenaica. Per questo motivo, pare che vi sia una sorta di accordo non scritto che permetterebbe al GNA di riassumere il controllo della Capitale fino ai suoi confini amministrativi. Si capisce quindi perché un ipotetico slancio verso Sirte e la Cirenaica non sarebbe tollerato da Mosca (oltre che dal Cairo), che si è cautelata nelle settimane scorse spostando dei caccia dalla Siria alla base di al-Jufra, crocevia strategico tra Tripolitania, Cirenaica e Fezzan. Le posizioni di Turchia e Russia in merito all’iniziativa del Cairo sono comunque distanti, basti pensare che il summit a quattro previsto per sabato 13 giugno a Istanbul tra i Ministri degli Esteri e della Difesa dei due Paesi è stato rinviato a data da destinarsi. Mentre Mosca ha accolto con cauto favore la proposta egiziana, poiché comunque compatibile con il mantenimento di Haftar, Ankara l’ha respinta sin da subito, sia perché con un nuovo Consiglio Presidenziale verrebbe di fatto estromessa, sia perché considera Haftar una figura ormai compromessa e sacrificabile. È quindi prevedibile che da Ankara o Tripoli giunga prossimamente una controproposta, compatibile con il quadro onusiano ed in continuità con il processo di Skhirat avviato nel 2015.

Le reazioni della comunità internazionale

L’iniziativa è stata accolta con sospetto favore dagli Emirati Arabi, sponsor massimalisti di Haftar, che pur condividendo con l’Egitto la medesima avversione alla Fratellanza sembra siano interessati a delle concessioni portuali in Cirenaica, funzionali al loro riconoscimento come partner strategico nel Mediterraneo da parte di Pechino. Apprezzamenti sono giunti anche da Arabia Saudita, Bahrein e Giordania, che plaudono alla ripresa dei negoziati. Seppur defilati, finora, anche gli Stati Uniti hanno accolto con favore la proposta egiziana, dopo che a fine maggio l’AFRICOM aveva individuato i caccia russi ad al-Jufra, mettendo così fine alla plausible deniability del Cremlino, che si è servito dei contractors del Gruppo Wagner per evitare un coinvolgimento ufficiale. Un giudizio positivo è stato anche quello dell’Unione Europea, che si è espressa tramite una nota congiunta a firma dell’Alto Rappresentante Borrell e dei Ministri degli Esteri di Francia, Germania ed Italia.

Se il coinvolgimento tedesco appare in linea con l’impegno negoziale già materializzatosi alla Conferenza di Berlino, la posizione ufficiale francese a sostegno del governo onusiano di Tripoli stride con il suo coinvolgimento effettivo al fianco di Haftar, tanto che – secondo il The Arab Weekly – Parigi si sta spendendo nella formazione di un fronte magrebino anti-turco con l’Algeria di Tebboune e la Tunisia di Saïed. [9]

La posizione italiana

Oltre alla nota congiunta, interesse per l’iniziativa è stato espresso anche dal Premier Conte, che nella stessa giornata di sabato ha intrattenuto un colloquio telefonico con il Presidente al-Sisi. All’interno dell’UE, è forse proprio l’Italia il Paese che gode di un margine di manovra maggiore poiché – pur sostenendo il GNA – non ha mai reciso del tutto i contatti con Tobruch. Inoltre, nonostante il caso Regeni ancora insoluto, i rapporti economici tra Roma e il Cairo sono floridi, come testimoniato dall’intesa per la vendita di due fregate FREMM all’Egitto, interessato anche a pattugliatori, caccia Eurofighter ed aerei d’addestramento M-346, dopo l’acquisto nel 2019 di elicotteri AW149 e AW189 di Leonardo. La sintonia va però ben oltre l’ambito militare, dato che i due Paesi hanno una visione complementare anche in campo energetico – basti pensare alle attività di ENI a Zohr e Noor e al dossier EastMed – e strategico, essendo entrambi intenzionati a limitare l’influenza turca nella regione. Proprio la Turchia rappresenta al momento un competitor per l’Italia, che rischia di vedersi scalzata in Tripolitania e minacciata da Ankara sotto il profilo migratorio ed energetico.


Tripoli, Italia. La politica di potenza nel Mediterraneo e la crisi dell’ordine internazionale

a cura di Antonello Folco Biagini

CONTRIBUTI DI:
Antonello Folco Biagini, Claudio Bertolotti, Andrea Carteny, Gabriele Natalizia, Leonardo Palma, Salvatore Santangelo, Lorenzo Termine, Elena Tosti Di Stefano, Alessandro Vagnini.

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