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La linea strategica dell’Italia nel confronto con le istituzioni europee: l’intervento del Presidente della Repubblica al Consiglio d’Europa

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Negli scenari di rischio di una guerra in continua escalation o di lunga durata, rispetto ella posizioni degli Stati Uniti e della Nato, l’Italia ha espresso una posizione di pieno sostegno e di sostanziale adesione alla fedeltà euroatlantica. Ma ha anche maturato un tratto distintivo più affine alla idea della tanto auspicata “autonomia strategica” dell’Unione Europea. Roma si fa realisticamente interprete di una linea convinta dell’aiuto indefettibile alla resistenza dell’Ucraina aggredita, ma anche della ripresa dei negoziati, verso la pace. Sul punto va dunque dato particolare rilievo alle posizioni espresse dal Presidente della Repubblica davanti al Consiglio d’Europa, di cui tratta questo primo contributo. Ad esso seguirà un altro che tratterà degli intendimenti espressi dal Presidente del Consiglio dei Ministri davanti al Parlamento europeo e nel corso della recente visita ufficiale svolta negli Stati Uniti.

Il nuovo quadro strategico del conflitto

Sulle vicende della guerra in Ucraina, lo scenario del mese di aprile ha visto una serie di tappe importanti per l’evoluzione del quadro strategico del conflitto. C’è stato l’incontro del Segretario Generale delle Nazioni Unite Guterres con Putin, il cui esito sebbene non sia stato risolutivo, ha comunque segnato almeno un passo avanti per accelerare alcuni corridoi umanitari. Anche la “Risoluzione Liechtenstein” adottata per consensus dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha rappresentato un inaspettato successo per l’affermazione di una prima limitazione al diritto di veto nel Consiglio di Sicurezza: ora lo Stato che lo oppone sarà quantomeno chiamato a giustificarlo davanti alla stessa Assemblea dei 193 Stati membri dell’ONU.

Molto importanti sono state anche le dichiarazioni di Biden rese al Congresso americano, che, unite alla “svolta” dell’incontro Nato di Ramstein e alle posizioni forti espresse dal governo britannico, hanno annunciato una vera e propria scelta verso la “controffensiva” a sostegno dell’Ucraina. L’obiettivo strategico non sarebbe più rivolto a “contenere” gli attacchi russi, ma stavolta si mira a ridimensionare radicalmente ogni capacità offensiva dell’esercito di Mosca, anche alla luce dei gravissimi scenari di Bucha, dell’assedio “senza quartiere” di Mariupol, e delle minacce rivolte sul nuovo fronte della Transnistria. 

È dunque su quest’ultimo scenario che si è iniziata a prospettare, specie in Italia ma in generale anche in molti altri Paesi dell’Unione Europea – fra cui certamente la Francia e la Germania – una visione più consapevole del rischio di ulteriori escalation, come il ricorso ad “armi sinora mai viste” annunciato dallo stesso Putin, o comunque di una guerra di lunga durata, come sembra prospettare la decisione americana di sostenere l’Ucraina con la cifra considerevole di altri 33 miliardi di dollari. In sostanza, come hanno efficacemente postulato vari analisti, fra cui la politologa Nadia Urbinati, è emersa l’idea che, pure nel confermare un sostegno concreto alla libertà della popolazione ucraina, non è nell’interesse dell’Italia e dell’Europa “che la guerra si cronicizzi per fare dell’Ucraina quel che fu dell’Afghanistan per l’Unione Sovietica”. 

La rappresentazione del Presidente della Repubblica al Consiglio d’Europa

In questo contesto, vanno dunque richiamate le più recenti rappresentazioni ufficiali di ciò che l’Italia ha maturato sulla “linea politica e strategica” sulla guerra: si tratta dell’intervento che il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha tenuto davanti all’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, svoltosi il 27 aprile scorso a Strasburgo, e di quello del Presidente del Consiglio Mario Draghi tenuto il 3 maggio di fronte al Parlamento dell’Unione Europea. 

Sul punto è il caso di considerare che se l’Italia sinora non aveva voluto apparire come “prima attrice” con roboanti dichiarazioni, che non sono mancate ad altri leader occidentali, è verosimile che abbia voluto assumere una posizione che la ponga sempre nelle condizioni di promuovere la mediazione, come in molti auspicano.  Nonostante poi un certo scetticismo sulle nostre capacità di rappresentarsi a livello internazionale, non va dimenticato che l’Italia, almeno  a partire dal Next Generation EU  esprime una leadership in seno all’ Unione Europea insieme a Francia e Germania, è un Paese del G7, l’organizzazione che riunisce le sette più “grandi” nazioni del mondo, rappresenta uno dei principali soggetti strategici e finanziatori della Nato, e certamente ha saputo promuovere con autorevolezza il tema di un nuovo “multilateralismo inclusivo” al G20 svoltosi nel 2021.

Per comprendere meglio il significato dell’intervento del Presidente della Repubblica è necessario fare un ulteriore inciso, sul contesto del Consiglio d’Europa. Si tratta di una organizzazione internazionale che non va confusa con l’Unione Europea. Istituito il 5 maggio 1949, con il Trattato di Londra, conta 46 Stati membri, con 700 milioni di cittadini, mentre l’UE conta 27 Stati, ed è stato una delle prime organizzazioni che, anticipando l’OSCE, includeva i c.d. “Paesi dell’est”, tra cui la stessa Russia. Come è noto, questa ora è stata esclusa per aver condotto la guerra di aggressione contro l’Ucraina. Nel Consiglio d’Europa può dirsi delineata la vera “casa comune europea” dei diritti, perché i suoi principali strumenti “operativi”, cui hanno fatto ricorso anche diversi cittadini dei Paesi dell’ex Patto di Varsavia, sono la Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) e la Convenzione europea dei diritti dell’uomo firmata a Roma nel 1950. 

È quindi il caso di ripercorrere i punti salienti trattati dal Presidente della Repubblica Mattarella nel discorso fatto davanti all’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa. In primis, parafrasando il mugnaio di Potsdam, ha ricordato che «c’è un giudice a Strasburgo», proprio facendo riferimento all’attività sviluppata dalla Cedu, per cui «non c’è ragion di Stato che tenga nel caso di violazioni dei diritti della persona». Ha inoltre sottolineato come il Consiglio d’Europa si ispiri al “multilateralismo”, come il sistema delle Nazioni Unite. Da queste premesse, accompagnate da un breve excursus storico per la laboriosa conquista della pace dopo la seconda guerra mondiale, si arriva dunque ai passaggi centrali del discorso, che si fanno espliciti e incisivi sulla scelta fatta dalla Federazione Russa il 24 febbraio scorso.

Difesa dell’Ucraina, ma nessuna rinuncia alla ricerca della pace

Il Presidente Mattarella ha indicato: «Di fronte a un’Europa sconvolta dalla guerra nessun equivoco, nessuna incertezza è possibile. La Federazione Russa, con l’atroce invasione dell’Ucraina, ha scelto di collocarsi fuori dalle regole a cui aveva liberamente aderito, contribuendo ad applicarle». La Russia per Mattarella è dunque «responsabile della violazione di tutte le principali carte definite nell’ambito degli organismi multilaterali», in una misura così esecrabile che addirittura ha spinto Paesi che, mentre prima non riconoscevano la giurisdizione della Corte Penale Internazionale, «ne invocano ora  l’intervento, affinché vengano istruiti processi a carico dei responsabili di crimini, innegabili e orribili, contro l’umanità, quali quelli di cui si è resa colpevole la Federazione Russa in Ucraina».  E ancora più forte è l’affermazione successiva: «La guerra è un mostro vorace, mai sazio. La tentazione di moltiplicare i conflitti è sullo sfondo dell’avventura bellicista intrapresa da Mosca. La devastazione apportata alle regole della comunità internazionale potrebbe propagare i suoi effetti se non si riuscisse a fermare subito questa deriva».

Per il Presidente della Repubblica italiana, dunque, rimane fermo e sacrosanto il dovere giuridico e morale di sostenere la difesa dell’Ucraina, paese aggredito. Ma è necessario anche che il ruolo della comunità internazionale sia rivolto a riproporre con ogni energia «un sistema internazionale di regole condivise», perché, afferma il Presidente, «la via di uscita appare, senza tema di smentita, soltanto quella della cooperazione e del ricorso alle istituzioni multilaterali». Da qui dunque il bisogno di dare voce alle Nazioni Unite la cui denuncia è stata chiara nella condanna, «ma, purtroppo, inefficace sul terreno». Ma ciò non può che significare che occorra «rafforzare l’azione dell’Onu, non indebolirla». Per cui iniziative come quella promossa dal Liechtenstein, e da altri 15 Paesi, per evitare la paralisi del Consiglio di Sicurezza dell’Onu «vanno prese in seria considerazione».

Infine, si arriva ai passaggi conclusivi.  Per il massimo rappresentante dell’Italia occorre «prospettare una sede internazionale che rinnovi radici alla pace», che «restituisca dignità a un quadro di sicurezza e di cooperazione» all’ Europa. L’esempio è perciò la Conferenza di Helsinki «che portò, nel 1975, a un atto finale foriero di positivi sviluppi», da cui si originò l’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE). La linea del Presidente è dunque: «Helsinki e non Jalta: dialogo, non prove di forza tra grandi potenze che devono comprendere di essere sempre meno tali». Occorre perciò parlare concretamente di una «nuova architettura delle relazioni internazionali, in Europa e nel mondo, condivisa, coinvolgente, senza posizioni pregiudizialmente privilegiate».

Infine, c’è l’ultimo monito: «La sicurezza, la pace – è la grande lezione emersa dal secondo dopoguerra – non può essere affidata a rapporti bilaterali Mosca versus Kiev. Tanto più se questo avviene tra diseguali, tra Stati grandi e Stati più piccoli». 

Gli elementi di riflessione suggeriti dal Presidente della Repubblica vanno dunque letti in una visione strategica inequivoca, ove è evidente la sottolineatura di un bisogno urgente e inderogabile di riaffermare i principi fondamentali del diritto internazionale, quale base giuridica per assicurare la pace e l’ordine internazionale. E tuttavia, seppure non vada omessa la condanna esplicita per chi da esso si allontana, viene ribadito il ruolo su cui la comunità internazionale, e fra queste principalmente le istituzioni europee, deve puntare. Il loro principale obiettivo deve essere rivolto a promuovere ogni iniziativa di dialogo, in un approccio multilaterale, senza logiche e pretese di esclusione, ma al contrario aperto alla inclusione per comprendere le ragioni di tutti e coniugarne le esigenze, ad una condizione: che si persegua sempre un contesto di pace. 

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