Recentemente è stata adottata la Risoluzione n 2491 su Mantenimento della pace e della sicurezza internazionale che fa seguito a precedenti risoluzioni in materia, alla dichiarazione presidenziale del 16 dicembre 2015 (S/PRST/2015/25/25) e alla relazione del Segretario Generale del 5 settembre 2019 (S/2019/711).
Ma qual era la situazione precedente la risoluzione di Ottobre?
Prima dell’ultima risoluzione, la situazione in Libia appariva come segue: stando a quanto riporta il Consiglio di Sicurezza, le forze del sedicente esercito nazionale libico avevano lanciato un’offensiva, nel mese di Aprile 2019, volta a prendere il controllo di Tripoli, contrastando così la costruzione di “un processo politico attivo e promettente”.
Il Rappresentante Speciale e Capo della missione di sostegno delle Nazioni Unite in Libia (United Nations Support Mission In Libya – UNSMIL -) Ghassan Salamé, ha messo in evidenza come in Libia vi sia un nuovo conflitto diffusoa Tripoli e nelle sue vicinanze, come a Tajoura, Ain Zara, Qasr Bin Ghashir e Tarhouna, ma anche in altre aree del paese quali Misurata, Sirte, al-Jufra e nella regione meridionale.
La Libia è infatti caratterizzata da un coacervo di gruppi armati, spesse volte, ma non sempre, raggruppati attorno a due distinte e specifiche fazioni: il Governo di Unità Nazionale con a capo Fayez al-Serraj, con capitale Tripoli e costituito nel gennaio 2016, nel quadro dell’accordo promosso dalle Nazioni Unite da un lato, ed il Parlamento di Tobruk, sostenuto dal generale K. Haftar, dall’altro.
La mancata pacificazione ed unificazione del Paese da un punto di vista sociale, politico ed istituzionale, a seguito della morte di Gheddafi, è scaturita da vari fattori: quali le molteplici identità ivi presenti, l’acuirsi della contrapposizione politica, conseguenza del fallimento delle “Primavere arabe”, ma anche al ruolo giocato dai vari attori internazionali, volti a favorire un gruppo interno anziché un altro, così da avere influenza nel Paese.
L’ inasprirsi del conflitto “ha imposto un pesante tributo ai civili e ai combattenti”, si parla infatti di oltre 100 civili uccisi, oltre 300 feriti e 120.000 sfollati, per non parlare degli attacchi ad abitazioni private e infrastrutture quali ospedali da campo, scuole e centri di detenzione per migranti: da tale situazione è scaturita una richiesta nei confronti del Consiglio di Sicurezza affinché si adoperi nel condannare i bombardamenti indiscriminati, che mettono continuamente a repentaglio la vita dei civili lì presenti. Al contempo però, visto il forte pericolo per il personale ONU lì stanziato, le Nazioni Unite hanno affermato che non invieranno ulteriore personale in territorio libico, fintanto che non si avrà un quadro completo della sicurezza e dei rischi annessi.
Parimenti, sul fronte dei migranti e rifugiati (altra questione particolarmente sensibile, soprattutto in riferimento alle gestioni dei flussi con l’Europa), il 1° agosto 2019, il ministro dell’Interno libico aveva imposto la chiusura di tre centri di detenzione per migranti e rifugiati e l’ONU aveva presentato al governo libico un piano di emergenza per cercare alternative alla detenzione degli stessi, come ad esempio il loro rilascio in città, con la garanzia di assistenza sanitaria e accesso al lavoro; ad ogni modo sembra che in realtà i migranti continuino ad essere rinchiusi in tali centri (come il Tajoura Detention Centre), ad essere posti sotto il diretto controllo dei gruppi armati, da cui ne consegue una situazione di estrema pericolosità e vulnerabilità per le loro vite; risulterebbe altresì che molti migranti e rifugiati, nell’ordine di alcune centinaia, nell’ultimo periodo siano stati, in parte liberati dai centri di detenzione ed in parte scambiati con altri, a loro volta posti in stato detentivo, ad opera della stessa guardia costiera libica.
In base alle segnalazioni ricevute dall’UNSMIL, si evince dunque un quadro tutt’altro che confortante, dove la detenzione arbitraria a tempo indeterminato di migranti e rifugiati, sottoposti a molteplici violazioni dei loro diritti umani, come estorsione e percosse, traffico e condizioni disumane di detenzione (grave sovraffollamento e carenza di cibo e acqua), sembrano un fenomeno alquanto diffuso e consolidato, motivo per cui lo stesso Salamé, a nome dell’UNSMIL, richiede a gran voce la necessità di “un finanziamento urgente per il Piano di risposta umanitaria 2019 (…) necessario per (..) continuare a rispondere ai bisogni dei più vulnerabili in Libia, compresi i migranti”.
L’approvazione della Risoluzione 2491
Successivamente, il 3 Ottobre 2019, il Consiglio di Sicurezza (che ha la responsabilità primaria per il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale, ai sensi della Carta delle Nazioni Unite), anche a seguito delle segnalazioni arrivate dal territorio libico, ha ritenuto di dover ribadire il suo forte impegno per la sovranità, l’indipendenza, l’integrità territoriale e l’unità nazionale della Libia, ha adottato la Risoluzione 2491.
Con la suddetta Risoluzione, il Consiglio di Sicurezza ha fermamente condannato gli atti di contrabbando di migranti e di tratta di esseri umani verso, attraverso e dal territorio libico e al largo delle coste libiche, che minano ulteriormente il processo di stabilizzazione della Libia e mettono in pericolo la vita di centinaia di migliaia di persone; al tempo stesso il Consiglio di Sicurezza, accogliendo favorevolmente quanto previsto in precedenza dalle misure della risoluzione 2240 (2015), ha deciso di incoraggiare una loro continuazione, agendo sempre in base a quanto previsto dal capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite.
Dalla data di adozione della presente risoluzione (3 Ottobre 2019), e per un periodo di dodici mesi, il Consiglio di Sicurezza ha deciso di rinnovare le autorizzazioni di cui ai paragrafi 7, 8, 9 10, 11 e 17 della risoluzione 2240 (2015), ossia:
- per il salvataggio delle vite dei migranti o di coloro che sono vittime di tratta, gli Stati membri sono autorizzati ad agire, singolarmente o per mezzo di organizzazioni regionali che si occupano di queste tematiche, attraverso visite o ispezioni (anche senza il consenso dello Stato di bandiera, e derogando così a quanto stabilito dalla United Nations Convention on the Law of the Sea – UNCLOS -), in acque internazionali a largo delle coste della Libia, nei confronti di quelle imbarcazioni che si ritiene siano utilizzate per il trasporto illegale di migranti o per il traffico di esseri umani dalle coste libiche ( 7);
- per il sequestro delle navi ispezionate, una volta confermato il loro utilizzo per il traffico di migranti o la tratta di esseri umani provenienti dalla Libia ( 8);
- per la cooperazione richiesta agli Stati battenti bandiera ed oggetto dell’ispezione e dell’eventuale sequestro, rispondendo tempestivamente alle richieste ricevute dagli Stati membri che esercitino i poteri conferiti dai paragrafi 7 e 8, i quali hanno l’obbligo, dal canto loro, di tenere informati tali Stati circa le misure prese nei confronti delle loro imbarcazioni (par 9);
- per l’adozione di tutte le misure commisurate alle circostanze specifiche per affrontare i trafficanti di migranti nel pieno rispetto del diritto internazionale in materia di diritti umani (par 10); le autorizzazioni non si applicano altresì alle navi che godono dell’immunità sovrana ai sensi del diritto internazionale;
- per la riaffermazione (par 11) rispetto alle autorizzazioni per la visita e il sequestro che queste si applicano solo per quanto riguarda la situazione del traffico di migranti e della tratta di esseri umani in alto mare al largo delle coste libiche e non pregiudicano i diritti o gli obblighi o le responsabilità degli Stati membri ai sensi del diritto internazionale, compresi eventuali diritti o obblighi ai sensi dell’UNCLOS;
- per gli Stati che si avvalgono dell’autorità della presente risoluzione, questi devono informare il Consiglio di Sicurezza entro tre mesi dalla data di adozione della presente risoluzione e successivamente ogni tre mesi sui progressi delle azioni intraprese con riferimento a quanto sopra riportato (par17).
Inoltre, vengono riaffermati alcuni obiettivi, già oggetto di risoluzioni precedenti (tra le quali la n. 2312 del 2106 e la 2380 del 2017, così come la dichiarazione presidenziale S/PRST/2015/25), quali il prevenire, indagare e perseguire gli atti di contrabbando di migranti e di tratta di esseri umani, all’interno del territorio libico, lungo i suoi confini e nel suo mare territoriale; con la richiesta al Segretario Generale di fornire un resoconto al Consiglio di Sicurezza a distanza di sei ed undici mesi, dopo l’adozione della presente risoluzione, onde poter analizzare l’effettiva attuazione della risoluzione n. 2491.
Ad un mese dall’ultima risoluzione
Quanto riportato giorni fa al Consiglio di Sicurezza da parte della Procuratrice della Corte Penale Internazionale (ICC) Fatou Bensouda è alquanto avvilente ed allarmante: si afferma che violenze, atrocità ed impunità varie siano ampiamente diffuse nel Paese. In realtà, è circa un decennio che la Corte Penale Internazionale ha intrapreso la sua attività in Libia, e dai dati che sono emersi si è potuto evincere come vi sia stata “un’escalation di violenza”, documentata da numeri che, per quanto concerne le morti di civili, di sfollati interni, i rapimenti, le sparizioni e gli arresti arbitrari in tutta la Libia, confermano quelli riportati due mesi fa dal Capo dell’UNSMIL al Consiglio di Sicurezza.
La Corte Penale Internazionale, ribadendo quanto riportato dal Capo UNSMIL Salamé, ha affermato che , senza un sostegno importante da parte del Consiglio di Sicurezza e della Comunità Internazionale, sarà pressoché impossibile porre termine al conflitto libico e così “il paese rischia di essere coinvolto in un conflitto persistente e prolungato e in un fratricidio continuo”. In tale situazione caotica viene altresì evidenziato come gli stessi mandati di arresto ad opera della Corte Penale Internazionale nei confronti di tre fuggitivi accusati di gravi crimini internazionali, crimini di guerra e crimini contro l’umanità come “persecuzione, detenzione, tortura e altri atti disumani” siano ancora in sospeso; ovviamente, fintantoché regnerà l’impunità, tutto potrebbe fungere da “stimolo” per altri autori di gravi crimini che, nella convinzione di non essere perseguiti, aumenterebbero le già innumerevoli violenze e sofferenze dei civili, allontanando al contempo il raggiungimento di una stabilità complessiva.
La Procuratrice Bensouda, nella sua dichiarazione al Consiglio di Sicurezza dell’ONU, ha sottolineato come siano gli Stati ad avere il potere di arrestare e consegnare alla giustizia i soggetti sospettati dalla CPI: serve uno sforzo concertato a livello internazionale per garantire alla giustizia gli attori di questi crimini, cominciare a rendere giustizia alle vittime in Libia e contribuire a prevenirne di futuri. La stessa Bensouda ha ribadito come, essendo la CPI un tribunale di ultima istanza, questa agisca soltanto qualora gli Stati non “indaghino e non perseguano gravi crimini internazionali”. Tuttavia, anche l’ufficio della CPI per la Libia, per mezzo della raccolta e l’analisi di prove documentali, testimonianze ecc.. sui presunti crimini nei centri di detenzione, sta facendo progressi, cooperando in “una serie di indagini e procedimenti giudiziari relativi ai crimini contro i migranti in Libia”.
Si spera dunque che, a seguito di accorati appelli e di quest’ultima risoluzione, attuata agli inizi di Ottobre, si possano realmente porre in essere dei cambiamenti, che vadano nella direzione del porre termine alle ostilità, alle atrocità di cui sono vittime i civili, e che consentano il ripristino di una maggiore stabilità per il Paese tutto, anche con riferimento ai flussi migratori ad esso in larga parte connessi.