Il 22 marzo è stato annunciato da fonti libiche che a Roma il Capo di Stato Maggiore della Difesa, Amm. Giuseppe Cavo Dragone, ed il suo omologo del Governo di Unità Nazionale Libico (GNU-Tripoli), Gen. Muhammad Al-Haddad, hanno firmato un accordo che affida all’Italia il compito di addestrare le forze speciali libiche. L’ammiraglio Cavo Dragone ha rimarcato l’importanza della cooperazione tra Italia e Libia anche in materia militare, vista anche l’instabilità regionale del Mediterraneo allargato. È un passo in avanti e che implica anche una rimodulazione della presenza militare italiana nel Paese africano.
La missione italiana in Libia (MIASIT) – concentrata sul supporto sanitario a Misurata – può assumere una veste maggiormente “tecnica” e più attinente alla tutela degli interessi nazionali di Roma nella sua ex colonia; interessi che non sono solo ed esclusivamente energetici o legati alla questione immigrazione, ma che sono anche – se non soprattutto – politico-militari.
Per Roma è di fondamentale importanza sostenere progetti come quello che prevede la costituzione di battaglioni unitari tripolino-cirenaici (prodromici alla riunificazione dell’Esercito libico) da inviare, presumibilmente nel Fezzan, perché la ricostituzione unitaria delle Forze Armate è alla base della stabilizzazione della Libia e quindi un colpo alle ingerenze esterne di potenze che, con la loro presenza, erodono la già debole influenza italiana.
Alcune analisi hanno giudicato la scelta italiana di addestrare le forze speciali del GNU come una mossa azzardata e che non consente la distensione dei rapporti tra Tripoli e Tobruk; in altre parole Roma avrebbe scelto di “polarizzare” – si dice in funzione anti-russa ma anche anti-turca – ulteriormente la distanza tra i due governi libici. Al contrario, l’accordo Cavo Dragone-Haddad si inserisce proprio nel solco della nuova politica militare “unitaria” chiesta a gran voce da Washington ed appoggiata anche da partner riottosi ad accettare il processo di stabilizzazione per come oggi è concepito, come la Turchia.
L’unificazione delle Forze Armate libiche non è più una chimera, visto anche che il progetto è emerso a Roma lo scorso 2 marzo, a margine della African Chiefs of Defense Conference, dove per la Libia erano presenti i generali Haddad (GNU-Tripoli) e Nadhuri (LNA-Tobruk), e sostenuto apertamente dagli Stati Uniti. Il proposito di Washington è quello di allentare i rapporti, finora molto stretti, tra LNA e Russia, con Mosca che, attraverso la presenza radicata del Gruppo Wagner in Cirenaica, ha rafforzato la cooperazione militare con il gruppo che fa riferimento al Maresciallo Khalifa Haftar.
L’attivismo navale russo nel Mediterraneo, aumentato in concomitanza con l’impegno militare diretto in Ucraina, è parte di una strategia delineata fin dal 2015 da Mosca con il documento sulla dottrina navale di quell’anno: i “mari caldi” erano diventati un obiettivo raggiungibile e la contrapposizione con le potenze rivierasche del Mediterraneo, specie quelle della NATO, non erano più considerata una “linea rossa” da non oltrepassare ma quasi una necessità.
Il rischio percepito – come anche l’audizione alle Commissioni Esteri e Difesa di Camera e Senato del Capo di Stato Maggiore della Marina Militare, Amm. Enrico Credendino ha confermato – dalla NATO è che, in questo momento di crisi internazionale generalizzata, la Russia possa tentare di ottenere una base navale in Cirenaica, da affiancare a quella già attiva a Tartus, in Siria, da utilizzare quale elemento destabilizzante – o di costruzione di un nuovo equilibrio strategico navale – nel Mediterraneo centro-orientale.
Il processo di riunificazione delle Forze Armate libiche, allo stato attuale ancora embrionale, è una delle chiavi di volta per impedire alla Russia di espandere la propria presenza nella ex colonia italiana ed è sostenuto da Roma, Ankara, Londra, Parigi e Washington, potenze schierate su fronti diversi nella crisi libica ma che concordano su sue idee d’ordine fondamentale: evitare il radicamento dell’influenza russa in Libia e ricostituire lo Stato libico per avviare la stabilizzazione della fascia regionale che va dal Sahel alla costa mediterranea dell’Africa.
Lo stesso tentativo di costituzione di unità militari unitarie tripolino-cirenaiche è funzionale alla stabilizzazione regionale in quanto esse sarebbero destinate ad agire nel Fezzan, la provincia meridionale della Libia, passaggio obbligato per traffici illegali di ogni tipo (da quello di esseri umani alle armi), sede di importanti stabilimenti petroliferi e minerari. Fin dall’inizio della guerra civile in Libia nel 2011, il Fezzan ha sempre risposto a logiche certamente complementari ma, comunque, diverse da quelle dei blocchi tripolino e cirenaico, considerati ora alleati ora nemici a seconda delle esigenze delle varie tribù locali e di chi detiene il controllo dei racket.
Il Fezzan è nella particolare condizione di essere inserito all’interno di aree di crisi confinanti, poiché quanto succede in quella provincia influenza tanto la Libia quanto il Sahel e ne è a sua volta influenzata in modo determinante.
La riunificazione delle Forze Armate libiche risponderebbe quindi ad una doppia esigenza: allentare la presa della Wagner (cioè del Cremlino) in Libia e accelerare il passo per la stabilizzazione del Paese, come anche gli incontri della Commissione militare libica 5+5 lascia pensare.