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Covid-19L'Europa e i molti bivi

L’Europa e i molti bivi

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In queste ore, in ogni angolo d’Europa, si sta discutendo sul futuro politico, e non solo, del nostro continente. Davanti all’emergenza del Covid-19, che ha già causato migliaia di morti in quasi tutti i Paesi, si continua con ragione a sostenere che l’Europa debba trovare il coraggio di fare scelte mai fatte nei decenni precedenti.  

Da una parte i Paesi del sud Europa, ad oggi i più colpiti dall’emergenza sanitaria, chiedono misure concessive economiche e politiche mai neppure lontanamente pensate prima, mentre dalla parte opposta i Paesi del Nord mostrano perplessità dinnanzi all’adozione di misure creditizie straordinarie che potrebbero in futuro minare la stabilità comunitaria. 

Al centro del dibattito odierno c’è l’annosa questione degli Eurobond, oggi comunemente chiamati Coronabond. Ma cosa sono questi Coronabond di cui tanto si parla? E a cosa possono servire? 

Nella storia più recente della politica economica, ogni singolo Paese in crisi che necessitava di liquidità per finanziare i propri investimenti, è quasi sempre ricorso all’utilizzo di soldi in prestito ai per poi restituirli successivamente, tramite l’emissione di titoli maggiorati da un interesse. Oggi, a causa della crisi economica e sociale dovuta alla pandemia del Coronavirus, l’Europa non può far altro che ricorrere alla medesima strada e cioè ad un poderoso indebitamento che permetterà la sopravvivenza del continente intero. 

Il ragionamento da fare non è però così semplicistico e non si può ridurre sostenendo che l’Europa sia dinnanzi ad un unico bivio. La verità, ben più complessa, ci deve portare invece a pensare che debba esserci un bivio per i Paesi del sud Europa ed un altro bivio per quelli del Nord. Vediamo il perché.  
 
Da sempre promotori del rigore economico e finanziario, i Paesi nordeuropei godono da tempo di una buona crescita industriale che, se sommata ad un welfare sociale molto elevato, ha garantito a tutti i cittadini un alto livello di vita. Sono solidi dal punto di vista finanziario e non sono particolarmente interessati all’idea di creare uno strumento unitario di debito (Coronabond) che potrebbe poi ricadere su di loro in caso di difficoltà dei Paesi più deboli. Il ragionamento, di per se comprensibile, non considera però che i Paesi affacciati sul Mediterraneo sono quelli che negli ultimi anni si sono sobbarcati molteplici problemi, tra cui quello migratorio. Che fare dunque per Berlino, Amsterdam o Helsinki? Si è Europei solo quando l’attuazione del mercato unico rafforza la propria economia o anche quando, ad esempio, si deve intervenire per modificare gli accordi di Dublino in merito alla redistribuzione dei migranti? 

 
Anche gli Stati del sud Europa, Italia in primis, dovranno però fare delle scelte impegnative per i prossimi anni. Da tempo infatti si dibatte sulla necessità di ristrutturare il proprio debito, di migliorare la propria competitività e di fare scelte politiche coraggiose e lungimiranti. Invece, Paesi come il nostro caratterizzati da deboli Governi, adottano continui cambi di strategia e, talvolta, preferiscono affidarsi alle lusinghe di Stati orientali convinti, non si sa come, di poter trarre vantaggio da buoni rapporti con Pechino piuttosto che con Berlino o Bruxelles. Che fare quindi? Trovare il coraggio di fare riforme che aiutino l’economia reale a crescere o lasciarsi allettare dall’idea che il debito possa essere la panacea di tutti i mali?  

L’unica certezza è che siamo prossimi ad un punto di non ritorno. Così come è appurato che l’unica salvezza in questa fase siano i miliardi che Bruxelles ci può concedere; l’idea che i problemi si possano risolvere con gli aiuti di altri Paesi è improponibile, oltre che estremamente rischiosa. Non c’è altro da fare quindi che affrontare i problemi e scegliere quali strade prendere dinanzi ai molteplici bivi che abbiamo davanti, con la viva speranza che la scelta sia quella giusta. 

Giangiacomo Calovini,
Coordinatore Italia ed Europa Geopolitica.info e funzionario parlamentare


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