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TematicheAmerica LatinaL’Ecuador che attende Daniel Noboa 

L’Ecuador che attende Daniel Noboa 

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Daniel Noboa, figlio di uno dei più grandi magnati del paese, ha inaspettatamente vinto le elezioni presidenziali anticipate in Ecuador. Con il ritorno alle urne previsto già per maggio 2025, il giovane neoeletto avrà poco tempo per affrontare quello che è probabilmente il momento più difficile per il paese negli ultimi decenni. Da qualche anno, infatti, l’Ecuador è diventato suo malgrado una base del narcotraffico internazionale. Una sfida estremamente complessa che l’apparato politico-istituzionale non sembra attrezzato per risolvere. 

Domenica 15 ottobre l’Ecuador ha eletto il più giovane presidente della sua storia, il trentacinquenne Daniel Noboa, che ha battuto al ballottaggio Luisa González, candidata del correísmo e scelta personalmente dall’ex-presidente che più di ogni altro ha segnato la storia recente del paese. Il neoeletto avrà meno di un anno e mezzo per governare. Le elezioni di quest’anno, infatti, sono state il risultato dello scioglimento anticipato del parlamento da parte del presidente Guillermo Lasso lo scorso maggio. Noboa trova un paese immerso in una crisi profonda e multidimensionale, il cui aspetto più urgente è quello legato alla sicurezza, degenerata negli ultimi anni a causa principalmente delle attività dei narcotrafficanti che si sono insediati nel paese. Una sfida difficilissima per un presidente con poca esperienza di governo e che non potrà contare sul sostegno di una maggioranza stabile in parlamento. 

Per decenni considerato uno dei paesi più sicuri del Sudamerica, negli ultimi anni l’Ecuador è stato teatro di un incremento senza eguali della violenza criminale. La sua posizione tra Colombia e Peru, i due maggiori produttori di cocaina al mondo, i confini porosi, e una politica di tagli alla sicurezza nel contesto di un più ampio programma di austerity intrapreso a partire dal 2017 dal presidente Lenín Moreno, sono fra le cause principali dell’escalation. Da sottolineare poi la chiusura della base statunitense di Manta da parte del presidente Correa nel 2009, che secondo alcuni ha danneggiato il monitoraggio del confine nord con la Colombia. Inoltre, il governo sembra aver sottovalutato gli effetti collaterali dell’accordo di pace del 2016 fra lo stato colombiano e le FARC, che controllavano una grossa fetta del traffico di droga nel paese. In seguito all’accordo, infatti, molti dissidenti del gruppo armato hanno attraversato il confine sud per proseguire le attività criminali lontano dalla sorveglianza colombiana, incontrando poca resistenza nel loro cammino. Il durissimo impatto della pandemia di Covid-19 in Ecuador, infine, ha minato la condizione economica di innumerevoli famiglie, alimentando una situazione di crisi in cui le gang hanno trovato terreno fertile. 

L’epicentro della nuova realtà ecuadoriana sono le due più importanti città portuarie: Manta, in cui a luglio è stato assassinato il sindaco Agustín Intriago, e Guayaquil, città più popolosa del paese. Il tasso di omicidi in quest’ultima ha visto una crescita vertiginosa fra il 2017 (5,8 omicidi per 100.000 abitanti) e il 2022 (25,5 omicidi). In uno dei principali sobborghi della città, Durán, il controllo dei narcos è pressoché totale, al punto che il sindaco, Luis Chonillo, non dorme mai due notti di fila nello stesso posto e, secondo quanto riportato da El País, è riuscito ad entrare in municipio solo due volte dall’inizio del suo mandato.

Un altro doloroso ma essenziale capitolo riguarda la gravissima situazione carceraria. I centri di detenzione, la cui popolazione è aumentata dagli 11.000 carcerati del 2009 ai 40.000 del 2021, sono veri e propri centri nevralgici delle attività dei narcos, teatri di arruolamenti e sanguinose rese dei conti di fronte all’impotenza e spesso alla compiacenza delle guardie carcerarie. Dal febbraio 2021 all’inizio del 2023 sono stati registrati undici massacri su larga scala all’interno delle carceri, con 416 morti confermate. Ad agosto, l’omicidio di Fernando Villavicencio, fra i candidati presidenziali quello che più di tutti aveva fatto della lotta alle gang e alla corruzione la sua bandiera, ha fatto scalpore nei giornali di tutto il mondo. Meno seguita è stata la notizia di inizio ottobre che tutti e sette gli arrestati sospettati di aver partecipato all’omicidio erano stati assassinati in attacchi coordinati all’interno di due carceri di Guayaquil e Quito. 

Per quanto il problema della sicurezza sia in cima alle preoccupazioni di quasi tutti gli ecuadoriani, il tema non è stato fra i principali della campagna elettorale, risultata in realtà piuttosto povera dal punto di vista dei contenuti. L’elemento forse di maggiore rilievo è la somiglianza fra i risultati elettorali del 2021 e del 2023: in entrambi i casi il ballottaggio è stato vinto con circa il 52% dei voti da un candidato riconducibile al centro-destra liberale contro un rivale appartenente al movimento dell’ex-presidente Rafael Correa. Oggi in esilio auto-imposto in Belgio, in seguito a una condanna per corruzione in absentia del 2020, l’ex-presidente, in carica dal 2007 al 2017, è una figura estremamente divisiva in Ecuador. Il decennio del correísmo al potere ha portato a una considerevole riduzione della povertà nel paese grazie ad ampi programmi di spesa sociale e a grandi investimenti in infrastrutture, entrambi resi possibili dall’alto prezzo del petrolio e dai grossi debiti contratti con la Cina. Allo stesso tempo, i governi guidati da Correa hanno mostrato una forte propensione all’accentramento del potere nell’esecutivo e alla riduzione degli spazi della società civile e dei media. La figura di Correa è oggi una paradossale chiave di volta per la politica ecuadoriana. Se da un lato continua ad essere onnipresente nelle strategie dei candidati (strategie che in queste elezioni sono state più tendenti al distanziamento), dall’altro non possiede più quell’appeal trasversale dei suoi anni al potere che permetterebbe alla Revolución Ciudadana di ampliare lo zoccolo duro dei suoi elettori ed ottenere una maggioranza per tornare al governo. 

La maggioranza ottenuta da Noboa al ballottaggio non deve però distrarre dal difficile scenario politico di fronte al vincitore. Alla pari di tutti i presidenti degli ultimi decenni, ad eccezione di Correa, Noboa non potrà contare su una maggioranza parlamentare stabile, né tantomeno su una struttura partitica forte alle sue spalle. La sua Acción Democrática Nacional ha infatti ottenuto solo 13 seggi all’Assemblea Nazionale, lontanissimi sia dai 70 che costituirebbero una maggioranza, che dai 53 ottenuti dalla Revolución Ciudadana di Luisa González, che sarà probabilmente il gruppo che più si opporrà alle iniziative legislative del nuovo presidente. Anche se altri partiti di peso, come il Partido Social Cristiano coi suoi 18 seggi, già alleato del presidente uscente Lasso, e il movimento Construye dell’assassinato Villavicencio coi suoi 25 rappresentanti, sembrano aperti a lavorare con il nuovo governo, il lavoro legislativo si preannuncia estremamente intenso e con pochissimi margini di manovra per Noboa. Inoltre, il nuovo presidente dovrà essere abile a dialogare con il movimento indigeno, rappresentato dalla confederazione CONAIE che, presieduta negli ultimi anni dal marxista Leónidas Iza, non ha esitato a mettere in pratica tattiche sempre più combattive per costringere il governo al tavolo delle trattative. Le proteste su larga scala di ottobre 2019 e giugno 2022, che hanno bloccato per giorni le arterie principali della capitale Quito, sono infatti state una dura lezione per i presidenti Lenín Moreno e Guillermo Lasso rispettivamente. 
Le enormi sfide, e il poco tempo a disposizione del nuovo governo per affrontarle, non inducono certo all’ottimismo. Con il voto del 2023 l’Ecuador ha scelto quanto di più simile a un outsider avesse a disposizione (Noboa è pur sempre figlio di uno degli uomini più ricchi del paese, candidatosi senza successo alla presidenza per ben cinque volte), riflesso della mancanza di fiducia verso le istituzioni e i volti più noti della politica nazionale. La fragile situazione economica, i pericoli del narcotraffico, e gli intricati nodi politici costituiscono un labirinto in cui Noboa dovrà dimostrare di sapersi districare nel breve tempo che avrà per governare. Già a metà del 2025, infatti, il paese tornerà all’appuntamento delle urne per esprimere il suo verdetto sul giovane neo-inquilino del palazzo di Carondelet.

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