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Le tensioni tra Etiopia e Tigrè sono sfociate in Eritrea e ora rischiano di minacciare l’intero Corno d’Africa

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Le tensioni interne in Etiopia tra il governo centrale e la regione autonoma del Tigrè sembrano aver superato i confini nazionali, dilagando nella vicina Eritrea. Il 16 novembre alcuni razzi sono stati lanciati dalla regione del Tigrè con l’intento di colpire l’aeroporto di Asmara, capitale eritrea.

La situazione interna si è aggravata già il 4 novembre scorso, quando il governo etiope ha sferrato un attacco contro il governo locale del Tigrè, uno dei nove Stati regionali autonomi che formano l’Etiopia. L’offensiva militare è avvenuta in risposta all’attacco, da parte delle forze fedeli al governo locale, contro i soldati dell’esercito federale che si trovavano nella caserma di Macallè, capitale della regione.

Il contesto politico

Da alcuni anni ormai i riflettori sembrano essere puntati sull’Etiopia, la quale con più di 100 milioni di abitanti, è il secondo stato più popoloso, nonché il più potente del Corno d’Africa ed influente nella regione, soprattutto grazie alla detenzione della presidenza pro-tempore dell’Unione Africana.

Il governo etiope ha da sempre dovuto destreggiarsi con la convivenza di ben 80 diversi gruppi etnici: gli Oromo, il maggior gruppo etnico, rappresentano il 34,4% della popolazione, seguono gli Amara con il 27% della popolazione, e i Tigrini con il 6,2%.

Nonostante la scarsa rappresentanza etnica, la Regione del Tigrè, attraverso il Fronte di Liberazione del Tigrè (TPLF), ha per anni rappresentato la maggiore forza politica all’interno del Paese. La situazione ha iniziato a cambiare nel 2015, quando numerose proteste hanno iniziato a sollevarsi dalla popolazione Oromo, la più popolosa, ma anche la più povera e discriminata del Paese. Nel 2018, per cercare di sedare la crisi sociale, la coalizione di governo portò al potere Abiy Ahmed, che divenne il primo Presidente di etnia Oromo.

Questo rimescolamento delle carte in tavola ha portato il TPLF, al potere dal 1991, ad essere progressivamente escluso dai giochi, rappresentando per i tigrini una progressiva scomparsa dalla scena politica nazionale.

Le ostilità tigrine verso Ahmed sono cresciute ulteriormente durante il corso dell’anno, a seguito della decisione del governo, a causa dell’epidemia di COVID-19, di rinviare le elezioni previste per agosto 2020 – in quell’occasione Ahmed è stato accusato dai suoi detrattori, di voler semplicemente prolungare il proprio mandato.

A settembre 2020, nonostante il divieto del governo federale, il governo locale del Tigrè ha indetto le elezioni per rinnovare il parlamento – elezioni che hanno visto la vittoria schiacciante del TPLF, che ha ottenuto la totalità dei seggi.

Fonte: impakter.it

L’escalation

La rapida escalation della tensione fa prospettare il rischio concreto di una guerra civile. Guerra che si configurerebbe lunga e logorante, dal momento che il Tigrè possiede una forza paramilitare forte ed organizzata, nonché delle milizie locali ben addestrate, potendo contare in totale su circa 250.000 unità militari.

Intanto, le ripercussioni si stanno già abbattendo sulla popolazione civile: secondo l’UNHCR sarebbero già 7.000 i civili tigrini rifugiatisi in Sudan. Non solo, negli scorsi giorni Amnesty International ha denunciato un “massacro di civili” avvenuto in Tigrè la notte del 9 novembre nella città di Mai-Kadra. Secondo Amnesty, “probabilmente centinaia di civili, lavoratori non coinvolti in nessun modo con l’offensiva militare attualmente in corso sono stati pugnalati e colpiti a morte”.

Il numero esatto di vittime è ancora ignoto e raccogliere informazioni complete è reso difficoltoso a causa del blocco delle comunicazioni e di internet in atto nella regione. Anche l’identità degli autori del massacro non è stata ancora confermata, ma alcuni testimoni oculari – stando a quanto riportato da Amnesty – hanno riconosciuto alcuni militanti del TPLF.

Intanto, il TPLF, maggior partito del Paese, è diventato il primo nemico pubblico: la Polizia Federale ha annunciato l’arresto dei membri della giunta del TPLF con l’accusa di tradimento per l’attacco contro la caserma di Macallè. Seppur non dichiarato ufficialmente fuori legge, il partito ha così perso i membri che costituivano la spina dorsale dell’organizzazione.

Fonte: rsi.ch

L’attacco contro l’Eritrea

Le fonti nazionali riportano che i razzi partiti il 14 novembre dai territori tigrini destinati all’aeroporto di Asmara, hanno fortunatamente mancato l’obbiettivo. Attualmente, non sembrano esserci morti o feriti. L’attacco è stato rivendicato dal leader della Regione tigrina, Debretsion Gebremichael, il quale ha giustificato l’azione spiegando che le forze etiopi avrebbero utilizzato l’aeroporto di Asmara per far decollare i mezzi usati nel raid del 4 novembre contro i territori tigrini. Una mossa quindi, che per Debretsion si configura come un atto di autodifesa e che designa l’aeroporto eritreo come un “obiettivo legittimo”. Anche il TPLF ha accusato l’Eritrea di aver superato i confini nazionali per portare sostegno al governo centrale etiope nell’offensiva contro le forme armate tigrine, ma l’Eritrea, dal canto suo, nega qualunque coinvolgimento.

L’atto del Tigrè sembra più una manovra intimidatoria verso l’Eritrea, forse con l’intento di compromettere ulteriormente la figura di Abiy Ahmed. Le relazioni tra i due governi sono storicamente tese e solo grazie agli interventi di conciliazione avviati dall’allora neo-eletto presidente Ahmed – interventi che gli valsero il premio Nobel per la pace nel 2018 – si è giunti oggi ad una precaria distensione delle relazioni diplomatiche.

Le conseguenze di un conflitto

Lo scoppio di un conflitto potrebbe minare il precario equilibrio sul quale si regge il governo federale, andando ad animare le istanze autonomiste delle regioni del sud, ostili ad Ahmed. Ripercussioni potrebbero riversarsi anche sulla popolazione Oromo, che ha legato le proprie speranze in migliori condizioni sociali all’ascesa della figura di un presidente di etnia oromo – speranze che ad oggi restano disilluse.

Un indebolimento interno dell’Etiopia potrebbe avere ripercussioni gravi anche sull’equilibrio dell’intera regione del Corno d’Africa. Oltre all’Eritrea, i rapporti sono tesi anche con il Sudan e il Gibuti.

Dal 2001, inoltre, l’Etiopia è impegnata in prima linea nella lotta al terrorismo, con le truppe presenti in territorio somalo per la missione AMISOM nella lotta contro al Shabaab. Il timore è quello che una guerra intestina potrebbe distogliere l’attenzione etiope dall’impegno internazionale contro il terrorismo.

Sabina de Silva,
Geopolitica.info

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