In seguito al collasso dell’Unione Sovietica, nel 1991, l’area caucasica si è resa teatro di un nuovo conflitto fra potenze, regionali ed internazionali, per l’influenza su quella porzione di terra considerata il “collo di bottiglia” che congiunge Oriente e Occidente. Il Caucaso del Sud si presenta oggi come un’area fortemente instabile, in cui equilibri nazionali si intersecano e dipendono dagli interessi di tutti gli attori presenti in campo. Per capire come i rapporti di potenza si instaurino in questa regione, un settore su cui vale la pena soffermarsi è quello delle Security Sector Reforms (SSR), le “Riforme del Settore di Sicurezza”, ovvero quell’ampissimo specchio di riforme volte ad innalzare il livello di sicurezza nazionale e umana all’interno di uno stato.
Le Riforme del Settore della Sicurezza
Nella Strategia Militare Nazionale georgiana, il Ministero della Difesa (MoD) definisce l’ambiente della sicurezza caucasica come “complesso e dinamico”. La presenza di stati de facto, come Abcasia, Ossezia del Sud e Nagorno-Karabakh, combinata all’attrito tra le potenze regionali e globali coinvolte nella regione, rendono da sempre il Caucaso del Sud un’area caratterizzata da forti tensioni. Per sopravvivere all’interno di un ambiente tanto mutevole quanto “bloccato”, soprattutto a causa dei conflitti irrisolti, Georgia e Armenia hanno adottato approcci molto differenti per rinnovare il proprio apparato di sicurezza.
Il cosiddetto settore della sicurezza, molto più ampio di quello che si potrebbe immaginare, comprende al suo interno tutto lo spettro di enti militari e civili che agiscono ai fini della sicurezza nazionale e umana. In tal senso, in teoria, ne fanno parte i Ministeri, le Forze Armate, le NGOs e la società civile. Nella pratica, tuttavia, si potrebbe dire che la nazione nella sua interezza è la responsabile della sicurezza dello stato e dei suoi cittadini.
La Georgia, l’Occidente
Uno dei documenti più rilevanti per la strategia di sicurezza di uno stato è il Concetto di Sicurezza Nazionale (NSC). All’interno del NSC georgiano, il MoD rileva come prima minaccia alla propria sicurezza l’occupazione dei territori nazionali da parte della Federazione Russa. Tale informazione è utile per comprendere il complicato rapporto che intercorre fra Tbilisi e Mosca. Verso la metà degli anni ’90, dopo un primo avvicinamento alla Federazione tramite la partecipazione all’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva e al Comunità degli Stati Indipendenti, guidate dalla Russia, si registrò un allontanamento della Georgia a favore di un incremento nei rapporti con l’Occidente. In particolare, a seguito della Rivoluzione delle Rose, nella cornice delle SSR, la Georgia allineò le proprie politiche ai principali organismi di matrice occidentale nell’ambito della sicurezza, quali OSCE e NATO.
Le SSR vennero attuate nell’ottica di stabilizzare la nazione, liberare le istituzioni dalla corruzione e riformare il dipartimento di difesa nazionale. Le condizioni delle Forze Armate, prima di questi processi, era di un organismo il doppio più grande del necessario, appesantito da un retaggio sovietico elitario e militaristico, che mancava di disciplina, addestramento e strutture appropriate. Fondamentali nell’implementazione delle SSR in Georgia furono soprattutto la NATO e gli Stati Uniti. Ad appena un anno dall’indipendenza, nel 1992, la Georgia si unì infatti al North Atlantic Cooperation Council, rendendo chiare le proprie aspirazioni di integrazione a pieno titolo nell’organismo. Partecipò attivamente all’operazione Kosovo Force, provvedendo truppe dal 1999 al 2008, e fu lo stato non-NATO che offrì maggior numero di uomini alla Forza Internazionale di Assistenza per la Sicurezza in Afghanistan. Seguentemente, siglò con la NATO innumerevoli accordi, tra i quali uno adottato dopo il Summit di Wales del 2014, con il quale si decise di implementare misure per aumentare la capacità georgiana di difendere il proprio territorio. Sempre nello stesso documento, si prospettò un futuro ingresso della Georgia nel Patto Atlantico. Considerazioni rilevanti, soprattutto in luce delle ripercussioni subite da Tbilisi l’ultima volta che si avvicinò così tanto alla NATO. Fu proprio in seguito al Summit di Bucarest del 2008, in cui si anticipava un’inclusione di Georgia e Ucraina nella NATO, che la Russia si mosse per bloccare l’espansione occidentale nella sua zona d’influenza. Nell’Agosto del 2008 scoppiò infatti la c.d. “Guerra dei Cinque Giorni”, fra Russia e Georgia, a seguito della quale la repubblica caucasica perse definitivamente il controllo sulle regioni separatiste di Abcasia e Ossezia del Sud. A discapito delle mancanze dimostrate dalle Forze Armate Georgiane in tale occasione, il processo di SSR, pur lentamente, sta continuando a progredire, come dimostrato dalla riforma costituzionale del 2016 e dalle elezioni democratiche del 2018.
L’Armenia, la Federazione Russa
Per quanto riguarda l’Armenia, nonostante fosse stato registrato un allontanamento dalla Russia durante i primi anni della presidenza di Ter-Petrosyan, Yerevan ben presto riprese i rapporti con la Russia, definita come il suo principale alleato nella sicurezza nazionale. Essendo uno stato landlocked, l’Armenia deve fare i conti con un pericoloso isolamento dal mercato interazionale, soprattutto a causa della Linea di Contatto sul confine azerbaigiano e della chiusura delle frontiere con la Turchia. Per evitare di essere esclusa dal panorama internazionale, oltre che alla Russia, lo stato armeno intrattiene rapporti con i paesi dell’Unione Europea, Georgia ed Iran. In particolare, con gli ultimi due nel 2019 si cominciò a vociferare fosse in atto un accordo per la realizzazione di un gasdotto che collegasse Armenia, Georgia ed Iran.
Per l’Armenia, la sicurezza si configura come una questione di difesa non solo della propria integrità territoriale, ma anche dell’autonomia del Nagorno-Karabakh. Fin dalla prima guerra con l’Azerbaigian, l’Armenia si è infatti posta come garante principale della sicurezza della c.d. Repubblica di Artsakh, fattore che ha influenzato molto le sue strategie di sicurezza sia interna che estera. In particolare, visto lo stato di alta tensione presente sulla Linea di Contatto, l’esercito armeno è da sempre mantenuto in uno stato di mobilità perenne.
Nella sua Revisione della Strategia di Difesa (SDR), redatta nel 2011, Yerevan definisce la propria Dottrina Militare come di “natura difensiva”, ovvero volta a preservare la stabilità e gli equilibri del Caucaso del Sud. Per questo motivo, l’Armenia si è impegnata a modernizzare le proprie Forze Armate, aumentandone le capacità di mobilitazione e di partecipazione a missioni internazionali, come quelle per la lotta al terrorismo. In questo senso, si è impegnata dunque a creare delle forze flessibili e basate sui fondamentali principi democratici e di controllo civile. Nella sua Strategia di Sicurezza Nazionale (NSS), l’Armenia sostiene inoltre di perseguire una strategia di complementarità, secondo la quale sviluppa contemporaneamente sia relazioni con “tutti gli stati regionali” che “con gli stati con interessi nella regione”. Tra questi, spiccano gli accordi militari con la NATO, tramite la Partnership for Peace e l’Individual Partnership Action Plan, e il coinvolgimento con l’Unione Europea e l’OSCE. Tuttavia, il perseguimento di relazioni con l’Occidente sembra essere sviluppato solo sulla base dell’affinità identitaria, della democrazia e dell’economia libera di mercato. Mentre le questioni riguardanti la sicurezza seguono perennemente un approccio “Russia-first”. Fondamentale è da notare come, a seguito dell’indipendenza, nel 1992 la leadership armena decise di non allontanare o confiscare la parte armena dell’esercito sovietico presente sul proprio territorio, ma lo assunse su base contrattuale in modo da ottenere maggiore forza difensiva. Questo è uno dei fattori per cui l’Armenia ancora oggi continua a poggiare la propria sicurezza sull’aiuto della Russia. In particolare, nel 1997, fra Mosca e Yerevan venne siglato il Trattato di Amicizia, che include una clausola di assistenza reciproca in caso di attacco militare, poi rinforzato a gennaio 2003 con un nuovo accordo bilaterale tecnico-militare. La Russia, dunque, si presenta come la principale alleata nella preservazione della sicurezza regionale, fornendo all’Armenia equipaggiamento militare, risorse mancanti e addestramento congiunto alle Forze Armate russe. Mosca rimane una risorsa indispensabile soprattutto nell’ambito della difesa aerea armena, non ancora in grado di prestare supporto sufficiente alle truppe di terra.
Il Caucaso del Sud: un Complesso di In-Stabilità
Tramite un’analisi dell’evoluzione delle SSR si possono notare le grandi differenze tra i percorsi intrapresi da Armenia e Georgia. Se Yerevan, dopo i primi travagliati anni d’indipendenza, optò per un riavvicinamento al “fratello maggiore” russo, fin dal 1991, Tbilisi tentò di invece di sfuggire alla zona di influenza di Mosca, cercando appoggio nell’Unione Europea e nella NATO. Riprendendo le parole di Oskanian, l’Armenia implementò dunque una strategia di bandwagoning, mantenendo i contatti con la Russia e diventando uno dei membri fondatori del CIS e della CSTO, mentre la Georgia seguì una politica estera fondata sul balancing, aspirando ad un incremento dell’influenza occidentale nell’area. Tali politiche estere, a tratti diametralmente opposte, non hanno tuttavia fatto altro che acuire maggiormente la frattura esistente fra i diversi stati che compongono la regione caucasica che, ad oggi, rimane a pieno titolo un Complesso di In-Sicurezza, spaccato fra influenza occidentale e russa.