Con la fine della Guerra Fredda e l’implosione del patto di Varsavia, nei loro primi anni di indipendenza gli stati dell’est Europa hanno dovuto adattarsi a contesti politici mutevoli ed imprevedibili, come il riassestamento del sistema unipolare a guida americana e lo scoppio di nuovi conflitti intra-statali. Uno dei paesi più colpiti da questi cambiamenti fu la Federazione Russa che, oltre all’ambiente regionale frammentato e imprevedibile, dovette sopravvivere al vacuum politico lasciato dalla caduta dell’Unione Sovietica. Per affrontare queste duplici insicurezze, sia interne che esterne, Mosca iniziò quindi un programma di Riforma del Settore della Sicurezza (SSR) volto non solo a riaffermare gli interessi della Russia nel nuovo contesto internazionale, ma anche a preparare la nazione alle nuove sfide regionali.
I primi anni della Federazione Russa e lo scoppio dei conflitti regionali
Nei primi anni Novanta le forze armate della neonata Federazione Russa si ritrovarono ad esistere in una sorta di limbo amministrativo causato dal vuoto lasciato dall’Unione Sovietica. La nuova classe politica, guidata da Boris Yeltsin, riteneva che le forze armate russe (RAF) avrebbero dovuto essere mantenute all’interno della Comunità degli Stati Indipendenti (CIS), che inizialmente era stata vista come una sorta di erede dell’Unione Sovietica. Tuttavia, questa visione non venne condivisa dagli altri paesi membri della CIS, che dopo aver ottenuto l’indipendenza cominciarono subito a riorganizzare i propri eserciti su base nazionale, costringendo anche Mosca, nel 1992, a istituire un Ministero della Difesa proprio. Un anno dopo veniva approvata la prima Dottrina Militare (DM) russa; redatto durante la cosiddetta “luna di miele” delle relazioni fra Mosca e Washington, questo documento dichiarava come la politica militare della Federazione Russa volesse contraddistinguersti di una natura esplicitamente difensiva. Nel testo veniva esplicitato inoltre che i metodi privilegiati per la risoluzione di eventuali conflitti non sarebbero stati mezzi militari ma, al contrario, sistemi diplomatici.
Secondo la percezione della minaccia riportata nella DM, benché in questi anni la possibilità di un nuovo conflitto con l’Occidente non venisse completamente esclusa, le principali minacce per Mosca venivano localizzate altrove, ben più vicine: lungo i confini stessi dell’ex-Unione Sovietica. Il riemergere di conflitti interetnici nell’ “Estero Vicino”, che erano stati sedati durante gli anni dell’URSS, stavano riportando a galla antiche tensioni all’interno della regione, in cui gli avversari non erano più rappresentati da stati nemici, ma da unità irregolari e specifici gruppi etnici.
In questo contesto e seguendo tale percezione, nel 1992 il Generale e Ministro della Difesa Pavel Grachev sviluppò un piano di riforme per il settore della sicurezza russo incentrato sulle RAF. Infatti, nonostante fossero appena state create, queste già si rivelavano incompatibili con le esigenze della Federazione Russa. L’eredità lasciata dall’Unione Sovietica, ovvero quella di una postura militare tarata su conflitti di larga scala, con massiccia mobilitazione di uomini e armi, non era adatta ad affrontare i nuovi conflitti regionali. Secondo il programma di Grachev, le RAF avrebbero dovute passare dall’essere un esercito numeroso basato sulla leva obbligatoria ad essere un corpo costituito da personale a contratto e di grandezza nettamente ridotta. L’obiettivo delle SSR era dunque la creazione di unità altamente mobili (rapid deployment forces) di piccole dimensioni ma capaci di grande efficienza.
L’implementazione del piano di riforme di Grachev portò effettivamente alla riduzione delle RAF da più 2,720,000 uomini (1992/3) a 1,270,000 (1996/7); tuttavia, le RAF fecero fatica ad adattarsi alle novità organizzative imposte. Prima di tutto si riscontrò poca familiarità negli ufficiali e nei soldati con le nuove procedure, probabilmente a causa dalla mancanza di esercitazioni su larga scala. In secondo luogo, si registrava penuria di strumentazione moderna o riadattata, che ammontava solo al 30% del totale nel 1995, e deterioramento continuo nelle infrastrutture militari.
Nella realtà dei fatti, dunque, nonostante un programma di SSR fosse stato iniziato, nei primi anni dell’indipendenza della Federazione le rapid deployment forces rimasero più una chimera che realtà, fatto che sarà più che mai reso visibile durante la prima guerra in Cecenia (1994-96), dove pessime performance e brutalità segneranno le azioni delle RAF sul campo.
La presidenza di Putin ed il “Piano Ivanov”
La situazione cambiò quando, nell’agosto 1999, venne approvata una Dottrina Militare aggiornata, nella quale emersero nuove visioni e politiche estere della Russia. Influenzato dallo svolgimento del conflitto in Kosovo e dall’espansione ad Est della NATO, nel nuovo documento si riscontra che il pensiero strategico della Federazione cominciò a discostarsi dall’ottimismo che l’aveva contraddistinta nei primi anni Novanta. Mosca passò infatti ad una rinnovata diffidenza nei confronti dell’atteggiamento degli Stati Uniti e dei paesi del Patto Atlantico, percepiti come minaccia all’influenza russa nell’area post-sovietica. In questo nuovo clima politico anche il ruolo delle Forze Armate russe cambiò: queste acquisirono infatti rinnovato rilievo, assumendo la funzione di difensore del paese non solo dai conflitti regionali, situati ai confini della Federazione, ma anche dalle tensioni provenienti dall’Occidente.
Nel 2003, l’allora Ministro della Difesa Sergei Ivanov pubblicò un elaborato riguardante le “Priority Tasks of the Development of the Armed Forces” – gli obiettivi principali per lo sviluppo delle forze armate. Detto anche “Piano Ivanov”, questo documento segnò l’inizio di una nuova fase di “modernizzazione” delle RAF, nella quale si tentava di consolidare le capacità acquisite fino a quel momento dalle forze armate.
Accolta con una suscettibilità consueta negli alti ranghi militari e nei cosiddetti power ministries, tale modernizzazione, ribadita dallo Stato Maggiore delle forze armate nel 2004, aveva come priorità la transizione a sistemi unificati e congiunti (“joint”) tra le varie componenti delle forze armate. Secondo il Colonello Generale Aleksandr Rukshin, le diverse truppe e forze dovevano imparare ad agire sotto un unico comando e verso un comune obiettivo. Oltre ciò, le SSR di questi anni si concentrarono sul riequipaggiamento delle RAF con nuovi modelli di armi e di tecnologie militari, sull’intensificamento dell’addestramento militare e sul miglioramento delle strutture di comando e controllo (C2). In questo periodo, frequenti furono dunque le esercitazioni militari congiunte, come la Mobilnost (Mobilità) del 2004, che puntavano a testate la capacità di mobilitazione, trasporto e prontezza operativa di aviazione, marina ed esercito russo.
Nei primi anni Duemila, la Russia partecipò anche ad operazioni congiunte internazionali, volte a contrastare la minaccia del terrorismo a seguito degli eventi del 2001. Tuttavia, non si riscontrarono molti successi si questo fronte, soprattutto a causa delle continue tensioni fra NATO e la Federazione Russa. Mosca preferì dunque, in questo frangente, dare priorità alla cooperazione con le proprie organizzazioni di sicurezza regionale, come l’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (CSTO).
Ulteriore punto critico per il settore della sicurezza di Mosca era il sistema della leva obbligatoria, che da tempo ormai non riusciva più ad attrarre la gioventù russa. La scarsa attrattiva della carriera militare – che non godeva di particolare popolarità – il declino demografico ed economico in atto dalla caduta dell’URSS e le preoccupanti condizioni di salute dei ragazzi tra i 15-17 anni rendevano il reclutamento estremamente complesso. Prima di poter pretendere un incremento nelle adesioni, la Russia doveva puntare ad un miglioramento delle condizioni di vita delle RAF, tramite riforme che correggessero i meccanismi lasciati in eredità dall’URSS come la dedovshchina, il brutale nonnismo che caratterizzava la vita dei soldati di leva, e aumentassero gli stipendi del personale.
Oltre a ciò, un altro punto fondamentale delle SSR era la volontà di incrementare la percentuale di soldati assunti su base contrattuale. Mentre Putin però asseriva l’obiettivo di arruolare più di 100.000 soldati su base contrattuale entro il 2007, gli ufficiali degli eserciti sembravano più propensi a mantenere una struttura delle RAF che potesse, in caso di necessità, riprendere la forma di un esercito di massa.
Nonostante vi siano stati numerosi progressi nel settore della sicurezza russo, i vari tentativi di riforma vennero accolti con resistenza dalla classe politica. Secondo gli studiosi, negli anni Novanta (e nel decennio seguente) la lentezza delle SSR sarebbe stata proprio da incolpare all’immobilismo politico, unito al disinteresse degli alti ranghi di militari nel riformare il sistema corrotto da cui loro stessi traevano beneficio.
Con l’inizio della presidenza Putin questa resistenza della classe politica si manifesterà soprattutto nella riluttanza di affermare chiari intenti riguardo lo sviluppo delle SSR, come manifestato nel nuovo Concetto di Sicurezza Nazionale (gennaio 2000), la nuova Dottrina Militare (aprile 2000) e il nuovo concetto di Politica Estera (luglio 2000), documenti di carattere piuttosto vago e generico.
La situazione però sarà destinata a cambiare con lo scoppio della guerra russo-georgiana del 2008, la quale, come la prima guerra in Cecenia, fungerà da banco di prova delle capacità acquisite delle RAF nel corso delle riforme.