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NotizieLe relazioni turco-israeliane e la tensione regionale

Le relazioni turco-israeliane e la tensione regionale

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Dall’offensiva israeliana nella Striscia di Gaza contro le forze di Hamas, iniziata nel dicembre 2008, il governo islamico moderato guidato dall’Akp di Recep Tayyip Erdoğan , ha continuamente criticato Tel Aviv per la conduzione delle sue operazioni. I rapporti tra i due Paesi sembra stiano subendo un deterioramento rispetto alla relazione strategica avviata negli anni 90. Solo due giorni prima dell’inizio dell’Operazione Piombo Fuso il premier israeliano, Ehud Olmert, era in Turchia per i negoziati promossi dal governo turco per un trattato di pace tra israeliani e siriani. In quell’occasione non fu fatta menzione di un possibile intervento militare su Gaza. L’imbarazzo per non essere stati messi al corrente dell’operazione, oltre che la condotta sproporzionata della stessa, determinarono il malcontento turco. Già nel 2005, alcune azioni militari israeliane, in concomitanza con il ritiro unilaterale da Gaza, provocarono la reazione di Erdoğan, che accusò Israele di “terrorismo di Stato”. Le relazioni tornarono tranquille, e, in occasione di una visita ufficiale del primo ministro turco in Israele, furono firmati alcuni importanti accordi tra i due Paesi. Questa volta, l’intoppo nelle relazioni tra i due Paesi è più evidente.

Già in occasione del Forum Economico Mondiale di Davos nel gennaio del 2009, il premier turco Erdoğan abbandonò i lavori in segno di protesta dopo essersi scontrato con il presidente israeliano Shimon Peres. La stampa di entrambi i Paesi ha condotto campagne di demonizzazione, alimentando lo scontro sul piano del dibattito pubblico. Nel settembre 2009 il governo israeliano rigettò la richiesta del ministro degli esteri turco, Ahmet Davutoğlu, di dirigersi nella Striscia di Gaza direttamente da Israele per incontrare rappresentanti di Hamas. L’idea era in linea con l’impostazione politica della Turchia di apparire un valido mediatore regionale, ma non in linea con l’indisponibilità israeliana ad accettare una visita ad Hamas nello stesso tour diplomatico destinato ad Israele. In seguito a ciò, Ankara ha inviato un forte segnale nell’ottobre dello scorso anno, quando ha deciso di ritirare l’invito per la partecipazione delle forze israeliane all’esercitazione militare multilaterale “Anatolian Eagle”. Stando però alla versione turca, non si tratterebbe di una decisione politica, né di una cancellazione della presenza israeliana, ma solo di una scelta tecnica di condurre la terza fase dell’esercitazione annuale senza la partecipazione internazionale (Today’s Zaman). Sempre ad ottobre, il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu, in occasione della visita di José Luis Zapatero in Israele, ha fatto sapere di non ritenere più la Turchia capace di essere “un onesto mediatore” nei negoziati tra Israele e Siria (Haaretz). L’ultima occasione di contrasto tra i due Paesi è stata data dalla trasmissione di una serie televisiva da parte di una TV privata turca, in cui ai soldati israeliani venivano fatti compiere rapimenti e tentativi di conversione forzata all’ebraismo. Per reazione, il vice -ministro degli Esteri israeliano, Danny Ayalon, fece convocare l’ambasciatore turco in Israele Ahmet Oğuz Çelikkol e, mancando ad alcune prescrizioni protocollari, lo mise in una situazione di disagio, davanti agli occhi dei media che erano stati appositamente radunati. Due giorni dopo, in seguito alla richiesta di scuse formali avanzata di Ankara, Ayalon ha inviato una lettera di scuse a Celikkol.

Potrebbero, inoltre, aggiungersi altri elementi di tensione. I rapporti turchi con Teheran stanno migliorando. Nell’agosto del 2008 il Presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad andò in Turchia per una visita ufficiale; visita ricambiata l’ottobre scorso con Erdoğan a Teheran. Inoltre Ankara ha, almeno per ora, sempre difeso pubblicamente il diritto dell’Iran al nucleare civile. Gli interessi riguardano anche gli investimenti nel settore degli idrocarburi, con un accordo per lo stabilimento di una raffineria nel Nord dell’Iran in modalità joint-venture. Attualmente circa un terzo del consumo turco di gas è assicurato dall’Iran. 
Nonostante ciò, non bisogna perdere di vista la natura strategica delle relazioni tra Ankara e Tel Aviv, e i loro interessi comuni nella regione. La Turchia occupava infatti il primo posto nell’ambito della cosiddetta “strategia periferica” israeliana, inaugurata da David Ben Gurion, e portata avanti fino alla metà degli anni 80, che mirava a mantenere un equilibrio mediorientale usando i due paesi non arabi (Turchia e Iran). In seguito questo approccio venne ridimensionato in quanto l’establishment israeliano intravide la possibilità di un miglioramento dei rapporti con i regimi arabi moderati (uniti nella lotta all’integralismo). Rimangono perciò molti fattori di vicinanza. Entrambi sono paesi non arabi in una regione prevalentemente araba; entrambi preferiscono un mondo arabo debole e diviso, piuttosto che un fronte arabo unito in grado di esercitare un certo potere politico. Queste considerazioni, insieme ad altri fattori, hanno determinato una sintonia tra i Paesi, che nel 1996 li condusse alla firma di un’alleanza strategica, consistente principalmente nell’accesso di Israele ai porti ed allo spazio aereo anatolico in cambio della cessione di tecnologie per l’ammodernamento delle forze aeree turche, oltre che nella programmazione di operazioni congiunte di addestramento del personale.

É difficile, quindi, effettuare un ragionamento completo, a causa delle innumerevoli variabili che andrebbero considerate. Però si possono tracciare delle linee interpretative. Il primo ministro turco Erdoğan sembra abbia legato il miglioramento delle relazioni tra Turchia e Israele al rilassamento delle pressioni israeliane su Gaza, con la fine del blocco ai confini, e al miglioramento delle condizioni umanitarie della popolazione di Gaza. L’atteggiamento di contestazione nei confronti di Israele è considerabile in linea con l’impostazione islamico-moderata del partito al governo, il quale sta tentando di recuperare i rapporti con il mondo islamico, pur mantenendo una politica filo-occidentale. Probabilmente altri settori della politica turca adotterebbero una impostazione diversa. In quest’ottica, il governo non poteva permettersi di passare per un sostenitore dei piani di Israele, anzi aveva l’occasione di prendere, a cose fatte, le difese del popolo palestinese. 
Tuttavia, va notato anche che questa politica è resa possibile da alcuni cambiamenti profondi che stanno interessando il Medio Oriente a partire dalla fine della Guerra Fredda. Provando, perciò, a dare preminenza alle relazioni strutturali nell’area, si potrebbe supporre che sia in corso una modifica della struttura regionale, la quale ha condotto la Turchia a conferire maggiore attenzione ai rapporti con altri importanti attori regionali; tra i fattori di questo mutamento vi sarebbero l’attenuazione della conflittualità con la Grecia, la presenza di segnali di ripresa nelle relazioni con la Siria, il rallentamento del processo di adesione all’Unione Europea. Vanno considerati in tale ottica, quindi, anche gli effetti della Guerra in Iraq del 2003, la quale ha inciso sull’assetto mediorientale, andando a determinare un cambiamento degli interessi. Il pericolo di una divisione amministrativa dell’Iraq ha creato una possibile convergenza di interessi tra Turchia, Siria ed Iran, laddove Israele non escludeva l’ipotesi della formazione di un territorio curdo alleato di Israele, esportatore di petrolio, e con un ruolo di cuscinetto nei confronti dell’Iraq.

Tuttavia, la spiegazione strutturale può essere relativizzata andando a considerare invece gli aspetti contingenti. La diffusione dell’Islam e il consenso politico che sta riscuotendo, può essere considerato un fattore determinante nel deterioramento dei rapporti tra Ankara e Tel Aviv. Secondo tale visione, si tratterebbe di una fase temporanea, che non incide sulla vicinanza strategica tra i due Paesi. Intrecciando le due letture, si affermare dire che il cambiamento più profondo nei rapporti mediorientali ha indotto la Turchia a compiere scelte di riposizionamento politico, compiute dal partito di orientamento islamico al potere. In questo riposizionamento nella politica estera turca è inevitabile il rischio di compromettere i rapporti con gli alleati tradizionali, ma non è interesse della Turchia rompere i rapporti con Israele. Anche perché l’alternativa strategica sarebbe una più stretta collaborazione con l’Iran, il quale si ritroverebbe, in ultimo, con una posizione di preminenza nel Medio Oriente, a scapito della stessa Turchia. Per cui, a parte l’escalation di retorica verificatasi in questi mesi, i rapporti economici, militari e politici sono rimasti solidi. La Turchia è l’unico Paese nella regione che ha relazioni economiche senza restrizioni politiche con Israele. Lo scambio commerciale bilaterale ammontava a 2,1 miliardi dollari nel 2005. La Turchia rappresenta il 5° mercato di destinazione delle merci israeliane. Israele esporta in circa 1,5 miliardi di dollari in beni e servizi, importandone da Ankara circa 1 miliardo. Entrambi, inoltre, temono la prospettiva di un Iran dotato di armi nucleari. Nella visita in Turchia del ministro israeliano della Difesa, Ehud Barak, il 17 gennaio scorso, il ministro della difesa turco, Vecdi Gönül, ha confermato la relazione strategica esistente tra i due Paesi, dettata dagli interessi condivisi. Si è parlato inoltre di accordi militari; vi sarebbero infatti trattative per l’acquisto di 10 droni Heron per un valore di circa 180 milioni di dollari. Alla base, tuttavia, vi è l’interrogativo circa il futuro geopolitico della Turchia. Nel suo tentativo di divenire un internal balancer nell’area mediorientale, Ankara, almeno per ora può permettersi di dialogare ed avere rapporti con tutti, ed è quello il suo obiettivo; una eventuale rottura con Israele impedirebbe di acquisire quel ruolo e di capitalizzarlo, e porrà il governo di fronte ad una scelta di campo; scelta che, qualora dovesse ricadere sull’Iran, potrebbe rivelarsi perniciosa per Ankara.

 

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