Per molto tempo attore indiscusso in Medio Oriente – capofila del panarabismo e dell’antisionismo – l’Egitto ha modificato nel tempo la sua politica nei confronti di Israele: da nemico storico ad alleato e partner strategico. I due Paesi hanno oggi interessi comuni e un solido rapporto. Sul fronte energetico, entrambi mirano allo sfruttamento degli idrocarburi nel Mediterraneo. Per quanto riguarda i temi securitari, collaborano per contrastare il terrorismo nel Sinai e contenere Hamas nella Striscia di Gaza (Anghelone, Ungari, 2021).
I conflitti – e le successive riappacificazioni – hanno caratterizzato la storia dei due Paesi dalla nascita dello Stato di Israele nel 1948 sino alla salita al potere di Anwar Sadat. Quest’ultimo nel 1977 si recò a Gerusalemme, riconoscendo così l’esistenza dello Stato ebraico (primo Paese arabo) e aprendo agli accordi di Camp David del 1979. Conseguenza di tale atto fu la rottura del Cairo con il mondo arabo e la sospensione dell’Egitto dalla Lega araba durata fino al 1989 (Campanini, 2017). La firma della pace contribuì all’avvicinamento del Cairo a Washington, ma tale scelta fu pagata con la vita dal leader egiziano, ucciso in un attentato nel 1981 (Campanini, Mezran, 2010).
I rapporti bilaterali, caratterizzati da fasi alterne dopo la pace di Camp David, si sono rinvigoriti dopo la vittoria di Hamas alle elezioni del 2006 in Palestina. Una serie di timori condivisi, come la preoccupazione per un’escalation terroristica al confine, il rafforzamento dei Fratelli Musulmani e il desiderio di mantenere vivo il rapporto con gli Stati Uniti, ha portato Il Cairo ad assumere una posizione più pragmatica nel conflitto israelo-palestinese.
Dopo la breve parentesi della presidenza di Mohammed Morsi, con la salita al potere dell’attuale presidente Abdel Fattah al-Sisi le relazioni hanno ripreso la strada avviata da Sadat. La crisi nella striscia di Gaza del maggio del 2021 ha riproposto l’Egitto come mediatore fondamentale nel conflitto, confermando come il suo ruolo nella regione resti centrale nonostante la firma degli Accordi di Abramo nel settembre del 2020.
L’impatto regionale degli Accordi e il ruolo egiziano
Gli Accordi di Abramo hanno senza dubbio cambiato profondamente lo scenario politico dell’area MENA e potrebbero determinare, nei prossimi anni, ulteriori trasformazioni in tutta la regione. Gli Stati Uniti stanno portando avanti una politica di progressivo disimpegno diretto dall’area mediorientale, nel quadro di una strategia tesa a privilegiare la competizione globale con le grandi potenze, Cina e Russia in primis (Jeffrey, 2021). Tale indirizzo politico, già evidente sotto la presidenza di Barack Obama, è stato ulteriormente accentuato sotto la presidenza di Donald Trump e probabilmente non subirà profondi cambiamenti con l’amministrazione guidata da Joe Biden. All’interno di questo quadro strategico gli Accordi rivestono una notevole importanza perché, attraverso di essi, gli USA sono stati in grado di superare le storiche divisioni tra alcuni Paesi arabi ed Israele e al contempo creare un solido fronte regionale in chiave anti-iraniana. L’Iran, infatti, è ancora oggi visto come la maggiore minaccia agli interessi americani nell’area, una preoccupazione certamente condivisa sia da Israele che da alcuni Stati arabi firmatari degli Accordi, come gli Emirati Arabi Uniti e il Bahrein.
In considerazione di ciò, occorre quindi considerare gli effetti di tale processo su un importante player dell’area come l’Egitto.
Nel quadro della strategia degli Stati Uniti, Il Cairo resterà certamente un attore chiave nella regione. Se infatti gli Accordi sono utili a creare un’asse arabo-israeliano in chiave anti-iraniana, l’Egitto rappresenta un fondamentale elemento di contenimento e di bilanciamento nei confronti della Turchia. Ankara, pur essendo un membro importante della NATO, nel corso degli ultimi anni ha spesso assunto decisioni che l’hanno portata in contrasto con gli Stati Uniti. Basti pensare alla decisione di acquistare il sistema di difesa missilistica S-400 dalla Russia, scelta che ha determinato il blocco della fornitura di aerei F-35 alla Turchia, o alla decisione di Ankara di intervenire militarmente in Libia. La Turchia nel corso degli ultimi anni ha anche sostenuto con decisione la Fratellanza musulmana, scelta che l’ha posta in evidente contrasto non solo con l’Egitto, ma anche con alcuni Paesi del Golfo. I rapporti di Ankara con Hamas hanno determinato inoltre una forte diffidenza da parte di Israele, Paese con il quale le relazioni restano tese. All’interno di un simile quadro appare evidente come il ruolo dell’Egitto resti centrale e come, assieme ai Paesi firmatari degli Accordi di Abramo, esso contribuisca a creare un sistema di alleanze regionali che risponde senza dubbio alle esigenze politiche di Washington.
Il Cairo resta un partner fondamentale nella regione anche per Israele. I rapporti altalenanti tra i due Paesi si sono dimostrati nel complesso solidi e gli interessi comuni prevalenti sugli elementi di divisione. D’altra parte, entrambi hanno bisogno l’uno dell’altro. La leadership egiziana deve fare i conti con l’opposizione interna rappresentata dalla Fratellanza, ma anche con il radicalismo islamico. L’Egitto da anni registra serie minacce alla sua sicurezza interna, come quella rappresentata dal gruppo di Ansar Bayt Al-Maqdis, legato all’ISIS/Daʾesh, il quale vorrebbe creare un Emirato islamico nel Sinai. Questo e altri gruppi radicali islamici hanno più volte attaccato convogli militari nell’area provocando la morte di soldati egiziani. Inoltre, tali gruppi sono fortemente antisemiti e la distruzione di Israele rientra tra i loro obiettivi. Appare dunque fondamentale una collaborazione bilaterale per contenere tali minacce. La cooperazione, oltre che da un coordinamento nel settore dell’intelligence molto forte e senza precedenti, è dimostrata dal fatto che Israele tollera una presenza di truppe egiziane nel Sinai ben oltre i limiti imposti dal trattato di pace del 1979 e al tempo stesso ha più volte fornito droni, elicotteri e caccia militari per colpire i gruppi islamisti. Contenere tali minacce per Israele significa infatti anche proteggere le proprie città di confine come Eliat.
L’effetto degli Accordi sulle relazioni economiche tra i due Paesi e sull’opinione pubblica egiziana
L’impatto più significativo degli Accordi finora è quello relativo allo sviluppo delle relazioni economiche tra Israele e gli Stati arabi firmatari. Come si evince dai dati (Tabella 1), l’impatto positivo sul commercio è evidente, anche se la crescita più rilevante riguarda le relazioni tra Israele e gli EAU: nel 2021 il valore della bilancia commerciale tra i due Paesi è stato sei volte maggiore rispetto al 2020. Per quanto riguarda l’Egitto, si registra una crescita del commercio con Israele dopo la firma degli Accordi (Grafico 1). Tuttavia, appare chiaro come il trend sia meglio indirizzato verso il Golfo, anche grazie al fattore “novità”, e come l’Egitto possa perdere quel ruolo di traino del mondo arabo e capofila delle relazioni con lo Stato ebraico a vantaggio di altri. Inoltre, Israele, grazie alla sua posizione geografica, alla sua forza militare e tecnologica e agli interessi condivisi, è un partner decisamente importante per gli Stati del Golfo.
Sebbene gran parte della società egiziana – e araba in generale – sia ancora contraria a Israele e disapprovi i contatti con Tel Aviv, essendo la questione palestinese ancora viva e la politica e le pratiche di insediamento dello Stato ebraico sempre più costanti e frequenti, è evidente che gli Accordi abbiano cambiato l’architettura delle relazioni regionali. La leadership egiziana deve tuttavia superare l’opposizione di ampi settori della società convincendoli che i buoni rapporti con Israele rappresentano un’opportunità per entrambi i Paesi.
Tabella 1. Benefici sul commercio regionale dopo gli Accordi di Abramo
Fonte: Israel Central Bureau of Statistics
Dal 2013, anno della salita al potere di al-Sisi, la cooperazione bilaterale in materia di sicurezza ha raggiunto livelli senza precedenti nella storia dei due Paesi e questo settore è rimasto fino ad oggi l’epicentro dei rapporti. Tuttavia, il governo egiziano ha approfondito moderatamente i suoi legami con la controparte israeliana anche su questioni strategiche ed economiche.
Il dossier energetico ha, da qualche anno, un ruolo sempre più centrale, in particolar modo relativamente al mercato del gas naturale. I crescenti legami sono stati facilitati dagli incontri tra funzionari egiziani e israeliani nell’ultimo periodo, anche con l’obiettivo di ammorbidire l’amministrazione Biden e l’ala democratica del Congresso statunitense, critici sul tema del rispetto dei diritti umani in Egitto. Sebbene il commercio bilaterale, insieme a progetti congiunti come le zone industriali qualificate che consentono di fabbricare ed esportare prodotti negli Stati Uniti senza il pagamento di dazi, esistano da molto tempo, la novità è data dal potenziale per la realizzazione di grandi progetti energetici in comune. Grande attenzione è stata dedicata al giacimento offshore Leviathan nel Mediterraneo orientale: l’obiettivo è quello di trasportare il gas di Leviathan attraverso un nuovo gasdotto sul fondo del mare per il collegamento con gli impianti di liquefazione in Egitto e da qui esportarlo in Europa. Tale collaborazione, insieme alla creazione dell’East Mediterranean Gas Forum – creato dopo la scoperta del giacimento Zohr –, si inserisce nei piani di al-Sisi di trasformare l’Egitto in un fondamentale hub regionale per il gas naturale.
Grafico 1. Valore importazioni ed esportazioni israeliane con l’Egitto in milioni di dollari
Fonte: Israel Central Bureau of Statistics
L’Egitto spera inoltre di attirare turisti israeliani, in particolare nelle località del Sinai come Sharm el-Sheikh. Fondamentale per fare ciò è rendere sempre più sicura la regione. Lo scorso settembre è stato ripristinata la piena operatività del valico di Taba, un punto di ingresso per i turisti israeliani in territorio egiziano. Collegata a ciò vi è la questione religiosa: il governo egiziano si è mostrato più aperto nei confronti dell’ebraismo, consentendo il suo insegnamento in alcune scuole, come parte dello studio delle tre fedi abramitiche, e fornendo fondi governativi per restaurare alcune sinagoghe e siti ebraici in Egitto. Tale scelta è anche finalizzata a migliorare l’immagine dell’Egitto presso l’amministrazione americana. Anche nel settore dell’aviazione civile si sono registrati miglioramenti nei rapporti. Per anni, la rotta tra Tel Aviv e Il Cairo è stata gestita da AirSinai, una compagnia aerea che non portava la bandiera egiziana. Da ottobre 2021, EgyptAir opera sulla rotta con il suo nome e ha triplicato il numero di voli giornalieri.
L’opinione pubblica egiziana, sebbene in assoluto non sia contraria al commercio con Israele, rimane diffidente nei confronti di relazioni più strette con il suo vicino in mancanza di un accordo di pace tra israeliani e palestinesi. Ciò induce il governo, e lo stesso al-Sisi, a procedere con cautela. Alcuni sondaggi condotti lo scorso anno (Zogby Research Services e Arab Opinion Index. Grafico 2) hanno rivelato come per la maggioranza degli egiziani sia fondamentale la risoluzione della questione palestinese. Inoltre, gran parte del popolo egiziano ritiene che essa riguardi tutti gli arabi.
Al tempo stesso vi è per l’Egitto la necessità di contenere Hamas nella Striscia di Gaza, un’organizzazione nata dalla Fratellanza musulmana palestinese, verso cui Il Cairo nutre una forte diffidenza. Ciò ha contribuito a rafforzare la collaborazione con Israele al fine di limitare l’azione bellica di Hamas e ha spinto l’Egitto a favorire il dialogo tra quest’ultima e Fatah per tutelare l’unità palestinese. Nonostante Hamas non rappresenti una minaccia per la sicurezza di Israele come Hezbollah (che può contare su un forte sostegno dell’Iran), essa continua a rappresentare un elemento di preoccupazione, come dimostrato dalla crisi del maggio 2021. In tale occasione il ruolo di mediazione dell’Egitto è stato fondamentale per mettere fine agli scontri, come sottolineato anche dall’amministrazione americana.
Grafico 2. Opinione pubblica araba nei confronti del riconoscimento di Israele (%)
Fonte: Arab Center Washington DC
Conclusioni: aspettative moderate e progresso costante
La situazione contrastante dell’Egitto – relazioni governative ai massimi storici e perplessità dal punto di vista domestico – crea non pochi disagi ad al-Sisi, che, nonostante tutto, è riuscito – rispetto ai suoi predecessori – per il momento ad addomesticare l’opposizione interna, attraverso un controllo forte sulla società. Il governo egiziano vuole dimostrare a Washington di essere ancora l’attore più importante nel processo di pace israelo-palestinese e, al contempo, essere cooperativo con Israele, in parte per distogliere l’attenzione dal tema relativo al suo scarso rispetto dei diritti umani. La volontà di mostrare alla comunità internazionale la predisposizione al miglioramento delle relazioni è dimostrata anche dalla visita – la prima di un premier israeliano da oltre un decennio – di Naftali Bennett in Egitto nel settembre del 2021. Rimangono tuttavia dubbi su quanto al-Sisi possa spingersi lontano nella cooperazione con Israele.
Nonostante l’Egitto continuerà certamente a essere un partner fondamentale per Israele e per gli Stati Uniti nella regione, gli Accordi di Abramo potrebbero imporre alla leadership egiziana un cambio di passo. Sino ad oggi i rapporti bilaterali sono stati prevalentemente politici ed è mancata una reale cooperazione tra i due Paesi nei settori civili, anche se, come detto, si sono registrati alcuni cambiamenti in tale direzione. L’incontro tra al-Sisi e Bennet sembra segnare un interessante elemento di novità e un mutamento nell’approccio egiziano. Gli Accordi potrebbero aver giocato un ruolo importante in tal senso, imponendo all’Egitto di superare i tradizionali vincoli che hanno negli ultimi decenni limitato la cooperazione con Israele ai settori della sicurezza. Se infatti la leadership egiziana non farà passare il messaggio che la pace con Israele è un dato di fatto, i rapporti tra i due Paesi continueranno ad essere “anormali” anche in futuro.
La normalizzazione dei rapporti di Israele con gli altri Stati arabi ha dimostrato la natura fluida delle relazioni internazionali. Ciò è dimostrato anche dall’impatto straordinario degli Accordi di Abramo sulle relazioni economiche tra Tel-Aviv e Abu Dhabi: a un anno dalla firma il valore degli scambi commerciali tra i due Paesi è cinque volte superiore a quello tra Egitto e Israele. La strategia di questi ultimi Paesi, in considerazione del forte sentimento anti-israeliano ancora presente nella società egiziana, appare tuttavia abbastanza chiara: mantenere basse le aspettative e dare priorità a un progresso costante.
Francesco Anghelone (OSMED – Osservatorio sul Mediterraneo) e Mario Savina (OSMED – Osservatorio sul Mediterraneo, Centro Studi Geopolitica.info)
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