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Le nuove sfide della diplomazia nell’era della globalizzazione: track one, track two, multi-track diplomacy

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Nell’era della globalizzazione, che con le sue nuove tecnologie ha reso l’informazione planetaria ed in tempo reale, sia la guerra che la ricerca della pace, hanno cessato di essere un conglomerato di situazioni locali, assumendo una dimensione universale, tale da invadere, così, tutto il campo della geopolitica, ben oltre i confini delle relazioni internazionali.

In questo mutato quadro generale, caratterizzato da una molteplicità di conflitti non ortodossi ed asimmetrici, la diplomazia istituzionale si è vista affiancare sempre di più, nel tentativo di comporli pacificamente, da una pluralità di soggetti non governativi o pluristatali, i cui interventi, in più di un’occasione, sono stati coronati da successo.

L’odierna classificazione delle tipologie diplomatiche esistenti, è ben riassunta nelle sottostanti definizioni che di esse formulano Maria Luisa Maniscalco, già docente di sociologia presso l’Università degli Studi Roma Tre, unitamente a Luise Diamond e John Mc Donald, fondatori dell’Institute for Multi-Track Diplomacy:

 

Track One: è la più tradizionale forma di mediazione, intesa come attività del governo di uno stato e della sua diplomazia ufficiale ed è anche la meglio definita, in quanto si riferisce ad attori governativi ufficiali. E’ il canale legittimo ed abituale per le relazioni internazionali, legato al concetto di stato-nazione ed alla nozione relativa di potere. Nell’agire i diplomatici o gli altri esponenti di questa track sono condizionati dal dovere di rispettare gli interessi statali, che non sempre possono includere la risoluzione del conflitto. A seconda del ruolo le interazioni possono essere tra capi di stato, ministri o coinvolgere livelli più bassi. Sono altresì considerate appartenenti a track one le attività ufficiali in politica internazionale da parte delle Nazioni Unite o di organizzazioni regionali quali l’Unione Europea, l’Unione Africana, la Nato. Nel complesso questa forma di diplomazia svolge la funzione di guida dell’intero sistema internazionale, definendo l’agenda ed essendo il canale ufficiale utilizzato per accordi e trattati. I difetti imputabili sono la rigidità, l’esclusività, il potenziale abuso di potere, ma note positive riguardano la sua capacità di mobilitare vaste risorse per mettere in atto qualsiasi politica venga scelta.

 

Track Two: le attività di questa Track, praticata attraverso l’intervento di attori non ufficiali e non governativi, sono varie ed includono workshop, mediazioni, diplomazia privata, conferenze, seminari, training, gruppi di dialogo e così via. Metodi principali, spesso usati in maniera congiunta, sono la consultazione, il dialogo, il training. La prima avvicina le persone non ufficialmente per facilitare la discussione e cercare insieme soluzioni creative per la risoluzione dei contrasti. Le discussioni confidenziali permettono ai partecipanti di esplorare vaste opzioni senza dover stabilire nessun impegno e facilitando il trasferimento d’idee e di possibili vie di uscita individuate verso l’intera comunità. Attraverso il dialogo, che è una forma di comunicazione facilitata tra le parti in conflitto, il cui fine è quello di esplorare per ciascuna parte il significato di ciò che sta vivendo, si cerca di creare un ponte tra i due gruppi in conflitto. Infine ci sono i diversi training per trasferire alle parti quelle capacità necessarie per risolvere e trasformare il conflitto in maniera autonoma. Uno dei maggiori cambiamenti che può apportare questa Track è il superamento degli stereotipi negativi del nemico che costituiscono la giustificazione per la continuazione del conflitto. Lo sviluppo di una comprensione reciproca delle esperienze, sofferenze, prospettive, bisogni offre le basi per un possibile rapporto di fiducia, che apre spazi di negoziazione e per una nuova definizione del problema comune.

 

Multi-track diplomacy: Luise Diamond e John Mc Donald, in un lavoro del 1987, hanno introdotto il concetto di Multitrack diplomacy per sottolineare l’importanza, in un’ottica di complementarietà, dell’interazione e contaminazione tra mediazione ufficiale e non, proponendo una suddivisione in nove Tracks. Cuore concettuale della Multitrack diplomacy, sistema globale e sinergico che coinvolge una molteplicità di attori, è la trasformazione del conflitto, procedimento utilizzato per raggiungere cambiamenti strutturali, operando in tutte le sue fasi, prima, durante e dopo il verificarsi della violenza. Proprio per questo, il diagramma illustrativo del metodo, non è rappresentato con la diplomazia ufficiale al vertice di un rapporto gerarchico, ma con un cerchio con tutte le piste interconnesse tra loro. Nessuna di esse è più importante delle altre o indipendente dalle altre. Ciascuna ha le proprie peculiarità, risorse e approcci, ma, proprio per la loro stretta interconnessione, rendono pienamente quando riescono a essere coordinate. La diplomazia multilivello si pone, dunque, come un approccio fondato su sistemi che partono dalla constatazione di come la trasformazione profonda delle radici conflittuali non può essere lasciata soltanto al piano governativo, ma deve essere affrontata da una pluralità di altri attori (società civili, università, soggetti non-governativi). La mediazione su più livelli, per giungere a una pace sostenibile nel lungo periodo, arriva così a interagire anche con le progettualità di costruzione della pace (peacebuilding) per il medio/lungo periodo, processo complesso che non serve a gestire le crisi, ma a prevenire violenze o a giungere a una destrutturazione di un conflitto proprio nella prospettiva di una soluzione sostenibile.

 

 

Track 1 Governi o peacemaking attraverso la diplomazia è il livello della diplomazia ufficiale, del policymaking.
Track 2 Piano non-governativo professionale attraverso la conflict resolution per prevenire, risolvere o gestire conflitti internazionali.
Track 3 Business o peacemaking attraverso i rapporti commerciali. Su questo piano il business può offrire possibilità di peacebuilding attraverso opportunità economiche, relazioni internazionali, canali informali di comunicazione e supporto per le altre attività di peacemaking.
Track 4 Cittadini privati, o peacemaking attraverso il coinvolgimento personale. Questo è il livello in cui i cittadini possono essere protagonisti in azioni di pace attraverso programmi di scambio, gruppi di volontariato.
Track 5 Ricerca, formazione, educazione o peacemaking attraverso l’apprendimento. Questa pista comprende tre dimensioni tra loro collegate, la ricerca i programmi di formazione che forniscono agli operatori capacità di negoziazione, mediazione, risoluzione dei conflitti, facilitazione di terze parti, l’educazione, di tutti i livelli in modo interdisciplinare.
Track 6 Attivismo, o peacemaking attraverso la promozione politica. Questo ramo riguarda l’attivismo policy-oriented su alcune questioni specifiche (disarmo, diritti umani, interventi di pace) per migliorare le politiche dei governi.
Track 7 Religione o peacemaking attraverso la fede. Questo canale riguarda le azioni per la pace delle comunità religiose o spirituali improntati su una base morale.
Track 8 Fondi, o peacemaking attraverso la provvigione di risorse. Questa pista riguarda i finanziatori, dalle fondazioni ai filantropi, che supportano le altre piste. Proprio per la natura di sostegno agli altri canali, questo avrebbe potuto essere l’anello esterno del diagramma.
Track 9 Comunicazione e media, peacekeeping attraverso l’informazione. L’attenzione è posta su come i mass media possono promuovere/sostenere i processi di pace e la descalazione dei conflitti.

 

Conclusioni

L’attitudine di una diplomazia veramente efficiente, nel XXI secolo, deve essere quella di una struttura in grado di andare oltre alle tradizionali funzioni di rappresentanza statuale e mera partecipazione alle relazioni internazionali.

L’attuale “società liquida”, intesa come quella descritta nella metafora di Bauman, richiede molta più attenzione, oltre che alle consolidate categorie del dialogo, del negoziato, del riferire sulle attività internazionali, della promozione all’estero degli interessi statali, sopratutto verso le tematiche sempre più emergenti dalla realtà del “villaggio globale”, quali le nuove strategie politiche connesse all’utilizzo del web, la cyber security, l’ambiente, i diritti umani, lo sviluppo sostenibile, la tutela delle diversità culturali.

Occorre, quindi, un’entità diplomatica in grado di saper utilizzare fonti differenziate per approntare analisi concrete e realmente performanti rispetto all’obiettivo dato, così come capace di misurarsi con la realtà del singolo terreno o con quella degli sviluppi dei macro fenomeni culturali, religiosi, economici, sempre più interconnessi tra loro, nel mondo globale, uscendo dalle ataviche liturgie convenzionali delle “feluche” di professione, per narrare meno e comprendere di più.

In conclusione, usando le parole dell’Ambasciatore Massolo, è arrivato il momento di pensare ad una nuova diplomazia, capace di confrontarsi anche con il soft power e con i mezzi di governance internazionale, che hanno in larga misura soppiantato, oggi, i più tradizionali strumenti di potere, ridisegnando la mappa dei rapporti di forza e dettando la nuova agenda geopolitica mondiale.

Una diplomazia che conosca e faccia propri i meccanismi della realtà digitale, che sappia districarsi abilmente nella fitta rete di connessioni ed interdipendenze che avviluppa il pianeta, che parli la stessa lingua della globalizzazione, ma senza dimenticare la propria lingua madre.

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