Le proteste di Khabarovsk della scorsa estate hanno aperto un significativo momento di confronto tra Mosca, il centro geografico e politico della Russia, e l’Estremo Oriente Russo, l’estrema periferia della Federazione Russa, mettendo in luce le numerose frizioni interne alla Russia.
Proteste: i fatti e le cause profonde
Il 21 luglio 2020, il presidente Vladimir Putin obbligò l’ormai ex Governatore della Regione di Khavarovsk, Sergej Furgal, a rassegnare le proprie dimissioni dall’incarico. Tale “licenziamento” avvenne a seguito all’arresto di Furgal, il 9 luglio 2020, per presunta associazione a delinquere e concorso in omicidio. Secondo l’accusa, l’ex governatore avrebbe partecipato ad una serie di omicidi avvenuti tra il 2005 e il 2007, tra i quali quello di Yevgeny Zori, ucciso in quanto ostacolo all’ascesa politica di Furgal. L’arresto dell’ex governatore, però, oltre alla risonanza politica, innescò una serie di proteste popolari che sembrerebbero trovare le proprie radici ben più a fondo del supporto dei cittadini verso Furgal, ovvero nel rapporto fra l’autorità centrale e le regioni periferiche della Federazione Russa.
Il potere di costringere alle dimissioni uno Governatori dei Soggetti della Federazione è una possibilità relativamente nuova per il Presidente della Federazione. Questa fu infatti introdotta dallo stesso Vladimir Putin durante il suo primo mandato presidenziale (2000-2004), nel contesto di una serie di riforme dei poteri presidenziali. Il Presidente guadagnò dunque il potere di obbligare alle dimissioni i Governatori accusati di gravi reati contro lo Stato o che perdano la sua fiducia. In questo modo Putin non solo riuscì a rafforzare la cosiddetta “verticale del potere” ma consentì al Cremlino di poter influenzare direttamente la politica russa, sia a livello centrale che locale. Ed è sotto questa lente che si devono analizzare sia le dimissioni di Furgal del luglio 2020, che la successiva nomina di Mikhail Degstyarev a Governatore, scelta operata direttamente dal Presidente, che ha permesso al Cremlino di porre a capo della regione di Khabarovsk una figura più in linea con i propri interessi, seppur anch’esso rappresentante del Partito Liberal-Democratico. Alla luce di ciò, gli eventi di Khabarovsk si possono vedere dunque come parte di una tradizione consolidata che da tempo permette a Mosca di imporre la propria volontà anche nelle regioni più periferiche del Paese.
Parlando delle proteste, queste, pur non essendo guidate da un leader ma nate da una spontanea mobilitazione dei cittadini, da subito contarono partecipazioni da record, con più di 60 000 persone scese in piazza contro l’arresto di Furgal. Le manifestazioni, che condannavano l’arresto come una mossa politica atta ad eliminare una figura scomoda a Mosca, si sono presto trasformate in una protesta contro il governo centrale stesso. La mobilitazione si è presto allargata ben oltre la città di Khabarovsk, come dimostrato dalla diffusione delle manifestazioni in altre città della regione, che hanno così voluto palesare una insoddisfazione verso il potere rappresentato da una Mosca distante, sia geograficamente che politicamente. Anche negli altri centri cittadini infatti, piuttosto che contro l’arresto dell’ex Governatore, i manifestanti protestavano contro il silenzio e la disattenzione del governo verso le aree più lontane della Russia. Disattenzione riportata anche nell’esigua entità dei trasferimenti economici dal centro alla periferia, che spesso risentono del grado di lealtà dimostrata dai singoli governatori al Cremlino. In questa prospettiva, spesso le regioni orientali o l’Artico non hanno ricevuto un sostegno economico significativo, il che ha poi contribuito a fomentare una sensazione di “abbandono” delle periferie nei confronti di Mosca.
Il Centro e le periferie
Per comprendere veramente il malcontento delle regioni più estreme della Russia, espletato nelle proteste di Khabarovsk, bisogna dunque conoscere la natura delle relazioni tra centro e periferia all’interno della Federazione Russa. In uno stato così vasto e complesso, infatti, queste sono di estrema rilevanza.
La Russia si compone di ben 85 Soggetti federali: 22 repubbliche (fra cui la Crimea, annessa nel 2014), 9 kraj o “territori”, 4 okrug o “circondari autonomi”, 46 oblast’ o “regioni”, le 3 città federali di Mosca, San Pietroburgo e Sebastopol’, e un’oblast’ autonoma ebraica, nei quali convivono numerosi gruppi etnici, religiosi e sociali. Negli anni successivi alla caduta dell’Unione Sovietica, Yeltsin sfruttò il desiderio di autonomia di molte delle repubbliche russe offrendo ampi poteri ai leader dei Soggetti federali. Se però da un lato questo portò ad alti livelli di autonomia politica e socio economica, dall’altra lo scarso controllo del centro sulle periferie rischiò più volte di minacciare l’integrità della Federazione stessa, come il caso della Cecenia tragicamente dimostrò nel 1994-96.
Proprio in considerazione di questa minaccia, fin dall’inizio del proprio mandato, Putin decise di ricalibrare le politiche del Cremlino verso una centralizzazione del potere. Questo processo di accentramento iniziò negli anni 2000, quando il Presidente cominciò ad introdurre una serie di riforme per diminuire l’autonomia regionale e assicurarsi il pieno controllo politico del Paese. Decise dunque di istituire i cosiddetti “Rappresentanti Plenipotenziari”: figure che avevano il compito di ristabilire la preminenza della legislatura federale su quella locale, che si era andata rafforzando durante la presidenza di Yeltsin. Inoltre, con un una riforma del 2004, venne revocata l’elezione popolare dei Governatori regionali che fino al 2012, anno di reintroduzione delle elezioni, furono nominati dal Cremlino.
Fattore Covid
Un evento imprevedibile, tuttavia, sembrerebbe aver momentaneamente arrestato il processo di “ri-centralizzazione” iniziato da Putin: il Coronavirus. Nonostante, infatti, la monopolizzazione dei flussi finanziari nel budget centrale, dal quale si attinge per i sussidi regionali, sia sempre stata un fattore imprescindibile nella presa di Mosca sulla periferia, il 2 aprile 2020, con un decreto presidenziale, ai Governatori delle regioni venne concesso il potere di imporre autonomamente delle restrizioni per fermare la diffusione del Covid-19. Una scelta, a detta del Presidente, nata dal fatto che agire sulla base di un unico modello non solo non sarebbe stato efficiente, ma avrebbe anche potuto rivelarsi deleterio.
Come dimostrato in seguito, le regioni sono riuscite a gestire la crisi anche senza il controllo diretto della capitale, dimostrando come molto spesso le criticità nella redistribuzione dei fondi statali risieda più nella mancata comprensione delle esigenze regionali da parte del governo centrale, che nell’incapacità dei Governatori stessi. Questa buona riuscita nella gestione locale potrebbe dare rinnovata spinta nelle relazioni fra Mosca e i Governatori, che potrebbero arrivare a richiedere la creazione di specifici strumenti per l’amministrazione dei territori a livello locale. Tale gestione locale avrebbe come probabile risultato una più efficace ed efficiente amministrazione delle periferie grazie ad un processo di decentralizzazione e sviluppo dei centri regionali. Questo porterebbe giovamento soprattutto alle regioni che ricevono pochi sussidi statali, in particolare quelle orientali e artiche.
Ritornando alle proteste di Khabarovsk, tuttavia, sembrerebbe che il Cremlino non sia ancora pronto a lasciare una vera e propria autonomia alle regioni. Mediante l’arresto di Furgal e il suo licenziamento Mosca potrebbe infatti aver voluto dare un avvertimento ai partiti di opposizione, affinché questi evitino di diventare una vera minaccia per il partito dominante anche a livello locale. Tuttavia, la diffusione delle proteste in seguito alla rimozione di Furgal e alla nomina di Degtyarev sembrerebbero aver portato una rinnovata consapevolezza riguardo lo sbilanciamento nei rapporti fra centro e periferia. Dopotutto, il valore politico dell’ex governatore di Khabarovsk non risiedeva nella sua affiliazione al Partito Liberal-democratico, ma piuttosto nel fatto che egli era stato eletto legalmente dalla popolazione e che fosse un uomo del posto, non un governatore proveniente una regione remota. Non sorprende dunque la portata delle manifestazioni per l’arresto di un politico che, più che un governatore, era simbolo di cambiamento e un passo avanti nella gestione specifica del territorio.
Questo articolo è uno dei contributi del numero speciale di Matrioska – Osservatorio sulla Russia, pubblicato in occasione dell’anniversario del nostro osservatorio. Scopri qui tutti i numeri di Matrioska!
Marta Armigliato
Geopolitica.info