Le recenti tensioni che hanno coinvolto la Turchia nel Kurdistan siriano hanno riportato l’attenzione anche sulle dispute sullo sfruttamento delle risorse energetiche presenti nel Mediterraneo orientale. Se, da un lato, Ankara “mostra i muscoli” manifestando così la propria intenzione di giocare un ruolo attivo in questa complessa partita, dall’altro lato l’Unione europea guarda con favore a soluzioni che mirano a mettere ai margini il presidente turco Erdogan.
La decisione del Governo turco di inviare la nave da perforazione Yavuz in quella che la Repubblica di Cipro, membro dell’Unione Europea nonché l’unica delle repubbliche cipriote ad essere riconosciuta dalla comunità internazionale, considera come la propria Zona Economica Esclusiva (ZEE), segna l’ennesimo capitolo nella disputa sul controllo delle risorse energetiche nel Mediterraneo orientale. Anche perché, come prevedibile, i principali attori coinvolti nella vicenda, ovvero Italia e Francia (la nave turca, infatti, è penetrata nei blocchi di esplorazione affidati dal Governo greco-cipriota a Eni e Total), non sono rimasti a guardare. Parigi, in particolare, ha inviato due navi militari per esercitazioni congiunte con la marina cipriota. Un episodio, quello dell’ingresso della fregata di Ankara nelle acque della Repubblica di Cipro, che è solo l’ultimo di una serie di blitz turchi che hanno interessato anche la nave italiana Saipem, costretta nel febbraio 2018 ad abbandonare il proprio blocco esplorativo.
Alle radici dello scontro
Dopo il golpe greco del 1974 e la conseguente invasione del nord dell’isola da parte delle truppe turche, si è aperta una disputa, ancora oggi irrisolta, sulla sovranità sulla parte settentrionale di Cipro, rivendicata da Ankara. Per questo motivo, la Turchia non riconosce a Nicosia il diritto di concedere unilateralmente delle licenze a multinazionali straniere senza il proprio consenso. In particolare, Ankara sostiene che le ricchezze dovrebbero essere condivise tra le due comunità, la turca e la greca, che popolano l’isola. Anche perché è nella parte sud dell’isola, che rientrerebbe, secondo la comunità internazionale, nella ZEE di Nicosia, che si trovano i giacimenti di gas (Afrodite, Calipso e Glaucus) rinvenuti sino ad oggi.
Un contesto in costante divenire
Le rivendicazioni turche s’inseriscono all’interno di uno scenario energetico in divenire. Le riserve di gas nel Mediterraneo orientale, infatti, sono state scoperte solamente di recente. Dopo i giacimenti israeliani di Tamar e Leviatano, scoperti rispettivamente nel 2009 e 2010, nel 2011 è la volta di Afrodite al quale segue, nel 2015, il maxi-giacimento egiziano Zohr. Si tratta, però, di una porzione di mare ancora largamente inesplorata, tanto che ancora oggi nessuno è in grado di fornire una stima attendibile delle risorse potenziali presenti nell’area. Non è quindi escluso che in futuro importanti scoperte possano essere fatte anche al largo delle coste libanesi e dei territori palestinesi, col rischio, neanche troppo lontano, di riprodurre sul piano energetico tensioni che operano da tempo sul versante politico. Ed è proprio in questo contesto che Cipro guarda con interesse ai propri giacimenti di gas. Se da un lato, infatti, le riserve al largo delle proprie coste possono contribuire alla rinascita economica del Paese dopo la crisi della fine degli anni duemila, dall’altro lato Nicosia potrebbe diventare un tassello importante nella partita, tutta europea, di diversificare le fonti di approvvigionamento energetico del vecchio continente.
Verso un hub del gas turco
A sua volta, anche la Turchia guarda con estremo interesse alle risorse energetiche del Mediterraneo orientale. Ankara, infatti, mira a diventare un vero e proprio hub del gas sia per le forniture provenienti dalla rotta russa sia da quelle provenienti dal Mediterraneo. Nel giro di qualche anno, infatti, la Turchia potrebbe diventare l’anello di congiunzione di ben cinque gasdotti. Ai tre attualmente in funzione, ovvero il Blue Stream, il South Caucasus Pipeline e il TANAP, che trasportano gas dal Mar Nero e dall’Azerbaijan, ben presto potrebbero aggiungersi il Southern Gas Corridor e il Turkish Stream, provenienti dall’Iran e dalla Russia. E’ questa ambizione, quindi, che spinge la Turchia a far sentire la propria voce in una partita dove gli altri giocatori, dagli Stati Uniti all’Unione europea, giocano sul fronte opposto.
La cooperazione europea in chiave antirussa (e turca)
Nella partita delle risorse energetiche del Mediterraneo orientale anche l’Unione Europea vuole essere protagonista, vedendo nei giacimenti di gas presenti nell’area uno dei possibili pilastri della propria strategia di diversificazione degli approvvigionanti finalizzata, in ultima istanza, a ridurre la dipendenza dalle forniture di Mosca. In tale ottica, quindi, va letto il sostegno di Bruxelles alla realizzazione del gasdotto Eastmed, tanto da definirlo un progetto di “interesse comune”. Il gasdotto dovrebbe trasportare in Europa, attraverso Grecia e Cipro (senza passare quindi dal territorio turco), il gas proveniente dai giacimenti di Israele. Nonostante l’indubbio peso geopolitico di questo progetto, ragioni di natura economica, tra le quali l’elevato costo in relazione alla ridotta capacità (in particolare se paragonato a progetti come il Nord Stream), porteranno molto probabilmente ad un accantonamento del progetto. Tanto che, ad oggi, l’unica soluzione praticabile, che vede però sempre escluso il coinvolgimento della Turchia, è il ricorso ai rigassificatori egiziani di Idku e Damietta, come dimostra anche il recente accordo tra Egitto e Israele per la vendita e il trasporto di oltre 80 miliardi di metri cubi di gas a partire dal 2020.
Verso un inevitabile conflitto?
Nonostante il coinvolgimento delle navi da guerra francesi e la ferma reazione degli Stati Uniti, affidata al Segretario di Stato Mike Pompeo, difficilmente si giungerà ad un conflitto armato tra Turchia e Cipro riguardo allo sfruttamento delle risorse energetiche nella regione, rimanendo il tutto confinato sul piano prettamente politico e diplomatico. Obiettivo ultimo del presidente turco Erdogan, infatti, è quello di ottenere concessioni politiche ed economiche da parte dei principali attori internazionali coinvolti nella vicenda ed avere così dalla propria parte alcune “armi diplomatiche” da utilizzare, in particolare, nello “scontro” con l’Unione europea sui numerosi dossier aperti con Bruxelles, come dimostra anche la recente (e ciclica) minaccia di “aprire” i confini turchi al passaggio dei rifugiati siriani. A ciò si aggiunga che le autorità turche e cipriote stanno iniziando a realizzare come una cooperazione economica relativa alle risorse di gas al largo delle coste dell’isola sia conveniente per entrambe. Ma conditio sine qua non di questa cooperazione sul piano economico è la soluzione, tutta politica (e non militare), dell’annosa questione della sovranità territoriale sulla parte settentrionale di Cipro.
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