In queste settimane giunge in libreria – postuma – l’ultima fatica letteraria di Piero Visani: Dalla Prima guerra mondiale alle guerre mediatiche contemporanee (Oaks). Il saggio racconta la storia di come è cambiata «quell’antica festa crudele» negli ultimi 100 anni. Visani (1950-2020) – storico e pubblicista – è stato per quasi vent’anni consulente del Ministero della Difesa e dal 1990 al 1992 del Segretariato Generale della Presidenza della Repubblica. Con Oaks aveva già pubblicato Storia della guerra dall’antichità al Novecento.
Con Piero ci eravamo conosciuti, grazie alla collaborazione a una rubrica di questioni strategiche (Strategika appunto) che Flavia Perina, Luciano Lanna e Aldo Di Lello avevano inteso inaugurare sul Secolo d’Italia, dando prova di una grande sensibilità nei confronti di tematiche che nel nostro Paese sono troppo spesso trascurate.
Ogni settimana ci siamo alternati per quasi tre anni su quelle pagine, avvertendo fin da subito, che – come fa dire Maurice Dantec a uno dei protagonisti dei suoi romanzi – «avevamo qualcosa in comune, una passione segreta per la strategia».
Quello che mi colpiva delle sue analisi era la sensibilità per il fenomeno bellico, una sensibilità che non è quella grossolana e primitiva dei fautori di una sciocca ostentazione di muscoli, ma quella avveduta e consapevole di chi sa riconoscere – dietro le parole d’ordine “politicamente corrette” di un flusso mediatico narcotizzato e narcotizzante – come il conflitto permei l’esistenza contemporanea, in forme ben più marcate di quanto si sia disposti ad ammettere, e come esso si manifesti ovunque, dalla conflittualità individuale fino alla guerra guerreggiata, investendo ogni campo della società.
La parte più interessante del suo volume è certamente quella in cui si analizza come la globalizzazione economica, sospinta dall’avanzamento tecnologico che a sua volta viene dalla stessa alimentato, cambia radicalmente le carte in tavola e aggiunge nuove dimensioni alla guerra, sottraendola spesso ai militari e ai professionisti delle tecnostrutture propriamente vocate a presidiare le dimensione e la sfera della Difesa: oggi non esiste più un campo di cui la guerra non possa servirsi, e non vi è quasi nessun ambito che non abbia fatto proprio il suo modello offensivo.
L’elenco delle dimensioni possibili si estende a dismisura, i conflitti sono diventati: finanziari, informatici, commerciali, ecologici, di intelligence, mediatici.
Spetta all’analista russo Leonid Savin il merito di aver introdotto un’ulteriore categoria, quella della guerra “a coaching” e lo ha fatto nel suo volume La nuova arte della guerra (Idrovolante Edizioni), in cui l’autore afferma che «l’uso delle nuove tecnologie – come i social network, le infiltrazioni religiose e i flussi transnazionali (e tra questi le attività dei media) possono dispiegare tutto il loro potenziale proprio grazie alla Coaching War», intesa come il sistema in grado di coprire tutte le componenti – politiche, economiche, legali, religiose e sociali – dei nuovi conflitti.
Temi che Visani – come ha riconosciuto il massmediologo Andrea Fontana – aveva cercato da tempo di porre all’attenzione del pubblico colto e del decisore politico plasmando per primo il concetto di Stratega mediatico (dal titolo di uno studio realizzato per il Cemiss) e con il suo costante e appassionato contributo nel decifrare il nuovo volto del Dio della guerra che domina appunto – con la frammentazione e parcellizzazione – una serie di dimensioni (economica, mediatica, terroristica e oggi geopandemica) di cui soltanto a pochi è manifesta la natura scopertamente polemica e polemogena. Il suo impegno prometeico si è manifestato nel fare sì, in una parola, che il polemos potesse diventare logos.
Salvatore Santangelo,
Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”