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TematicheMedio Oriente e Nord AfricaL’avvicinamento alle elezioni presidenziali in Iran: candidati, dibattito elettorale...

L’avvicinamento alle elezioni presidenziali in Iran: candidati, dibattito elettorale e scenari

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Il 18 giugno si svolgeranno le elezioni presidenziali iraniane: un momento importante per il paese, in piena trattativa con gli Stati Uniti per stipulare un nuovo accordo sul nucleare e risolvere il problema delle sanzioni. La situazione economica, già fragile prima della pandemia e peggiorata ancor di più dall’impatto del coronavirus, è tragica, con un’inflazione ai massimi storici. Tutto ciò si traduce in una scarsa attenzione popolare verso questa tornata elettorale, e non a caso i sondaggi già rilevano un vincitore sicuro: il partito dell’astensione.

Le elezioni in breve

Come detto, il 18 giugno si svolgerà il primo turno delle elezioni presidenziali in Iran: se nessun candidato supererà il 50% dei voti, vi sarà un ballottaggio tra i due candidati più votati, previsto per il 25 giugno (il venerdì della settimana successiva al primo turno, come stabilito dall’articolo 117 della Costituzione iraniana).

Il Presidente della Repubblica in Iran è la seconda carica più importante del paese dopo la Guida Suprema (articolo 113), si occupa dell’attuazione della Costituzione e svolge la funzione di capo dell’esecutivo. È eletto per 4 anni ed è permessa una solo rielezione (articolo 114).

Come si legge nell’articolo 115 della carta costituzionale iraniana, il Presidente deve essere eletto tra personalità religiose e politiche in possesso dei seguenti requisiti: origine iraniana; nazionalità iraniana; capacità e intraprendenza amministrativa; un “buon” passato; affidabilità e pietà; convinzione nei principi fondamentali della Repubblica Islamica dell’Iran e nella scuola di pensiero giuridica (madhab) ufficiale del paese.

I candidati che intendono concorrere alle elezioni presidenziali devono registrarsi e sottoporsi al giudizio di un organo di derivazione religiosa dell’apparato istituzionale iraniano, il Consiglio dei guardiani, che come stabilito dall’articolo 99 della Costituzione ha la responsabilità di “sovrintendere” alle elezioni del Presidente della Repubblica. In sintesi, il Consiglio decide chi escludere dalla competizione elettorale, ponendo un veto sulle candidature, senza aver obbligo di comunicare ufficialmente e pubblicamente i motivi dell’eventuale esclusione. Tra gli esclusi eccellenti di questa tornata elettorale troviamo certamente l’ex Presidente Ahmadinejad, Ali Larijani, ex Presidente del Parlamento, e Eshaq Jahangiri, unico vero candidato dell’area riformista di spicco, in quanto vice di Rouhani.

I candidati ammessi

La lista dei 7 candidati ammessi alle elezioni è evidentemente sbilanciata verso l’area conservatrice, o principalista, della politica iraniana. Non vi sono candidati di peso dell’area riformista, che con l’esclusione di Jahangiri è stata privata di nomi spendibili.

I 7 candidati, ufficializzati il 25 maggio, sono:

  • Ebrahim Raisi, Presidente della Corte Suprema dell’Iran, e già sfidante di Rouhani alle ultime presidenziali;
  • Amir Ghazizadeh, membro dell’Assemblea consultiva islamica;
  • Abdolnaser Hemmati, ex governatore della Banca centrale iraniana, dimessosi non appena ufficializzato come candidati;
  • Saeed Jalili, ex Segretario del Consiglio Supremo di Sicurezza Nazionale;
  • Mohsen Mehralizadeh, ex governatore di Isfahan;
  • Mohsen Rezaee, ex comandante in capo dei Pasdaran;
  • Alireza Zakani, presidente del Centro di ricerca dell’Assemblea legislativa islamica.

I due candidati afferenti all’area riformista sono Hemmati, che è stato designato da Rouhani nel 2018 Governatore della Banca centrale iraniana, e Mehralizadeh, che tra le altre cose è stato anche a capo della Organizzazione Nazionale dello Sport iraniano sotto la presidenza Khatami.

Troppo poco per dare una speranza all’elettorato riformista: unico vero candidato di spicco presente tra questi nomi è Raisi, capo della giustizia iraniana dal 2019, nominato direttamente dalla Guida Suprema Khamenei. Durante le ultime elezioni presidenziali del 2017, quando si era rilevato l’unico sfidante in grado di poter competere con Rouhani, aveva caratterizzato la sua campagna elettorale con toni che in Occidente potremmo ritenere di stampo “populista”: focus sulle classi più povere, la promessa di costruzioni di case popolari, la volontà di concentrare le risorse per risollevare l’economia iraniana senza dipendere dai mercati globali, una sorta di “Iran first”, parafrasando Trump.Raisi è ad oggi l’unico candidato in grado di vincere le elezioni, probabilmente al primo turno: i sondaggi usciti dopo l’ufficialità delle candidature lo danno stabilmente in testa, anche perché è l’unica personalità di spicco e conosciuta dal grande pubblico. La battaglia elettorale sembrava poter essere maggiormente equilibrata, specialmente quando venivano sondate personalità importanti come quella di Ahmadinejad o Larijani, ma i veti del Consiglio dei Guardiani hanno rimescolato le carte in tavola.

I dibattiti televisivi

Sono già andati in onda due dibattiti televisivi tra i 7 candidati, che però non hanno entusiasmato né la stampa né l’opinione pubblica. Il primo dibattito, avvenuto sabato 5 giugno, ha visto i candidati di area conservatrice attaccare l’operato di Rouhani e del governo, e conseguentemente Raisi si è esposto contro Hemmati, visto il suo ruolo di Governatore della Banca centrale, accusandolo di non aver saputo vigilare contro l’inflazione galoppante. Non sono mancati momenti di ironia misti a preoccupazione per Hemmati: dopo che Rezaee l’ha accusato di alto tradimento per aver rispettato integralmente le sanzioni statunitensi, ed ha giurato di portarlo in tribunale per questo, l’ex Governatore si è rivolto a Raisi (a capo della Corte Suprema) chiedendo se potesse essere rassicurato sul fatto di non incorrere in procedimenti legali dopo il dibattito.

In generale Hemmati ha svolto un buon dibattito: ha accusato i 5 principalisti di volere uno scontro con l’Occidente, e che a causa di questo atteggiamento l’Iran è sempre più isolato nel mondo, provocando una maggiore crisi delle aziende iraniane e augurandosi al contempo che le istituzioni economiche del paese venissero liberate da figure ultra-conservatrici. Anche l’altro candidato moderato Mehralizadeh ha attaccato Raisi sul fronte economico, accusandolo di non poter essere in grado di risollevare l’Iran a causa della sua mancata esperienza economica. In sintesi, però il format del dibattito, con domande casuali e poco spazio per una discussione tra i candidati, non si è rilevato vincente ed ha ricevuto diverse critiche su tutti i quotidiani: anche il portavoce del governo si è lamentato con l’emittente televisiva, chiedendo la possibilità di replicare alle accuse dei candidati.

Il secondo dibattito, andato in onda lo scorso martedì, è stato a giudizio della stampa iraniana peggiore del primo: ad ogni candidato è stata posta una domanda casuale con quattro minuti per rispondere, senza nessuna possibilità di sforare il tempo. I candidati hanno poi avuto due round di quattro minuti per rivolgersi agli altri candidati e dibattere sui loro programmi, e in seguito due round di tre minuti per difendere i loro programmi dalle accuse. L’assenza totale di moderazione da parte del presentatore ha reso il tutto parecchio macchinoso, e poco fluido, tanto che tutti e 7 i candidati si sono lamentati del format chiedendo un cambiamento per l’ultimo dibattito previsto per sabato 12 giugno. Poco approfondimento rispetto ai temi fondamentali come il ritorno ad un accordo sul nucleare e la gestione della pandemia: su quest’ultimo argomento i 5 candidati conservatori hanno attaccato il governo, portando esempi di Paesi che hanno contrastato l’epidemia in maniera migliore. Di nuovo, invece, i due candidati dell’area riformista hanno attaccato Raisi: Mehralizadeh accusandolo nuovamente di non essere un profilo in grado di occuparsi di economia, aggiungendo inoltre che la sua figura è stata identificata come potenziale successore di Khamenei, e di conseguenza rischia di essere poco attento alla gestione politica dell’Iran nel breve termine. Hemmati ha accusato i 4 candidati principalisti di esser lì solo per appoggiare Raisi nella sua corsa verso la presidenza, ed ha chiuso il suo intervento parlando della censura nel paese, alludendo al fatto di come diversi candidati usino canzoni rap per i loro video promozionali, ma allo stesso tempo ne vogliano vietare l’ascolto tra i giovani.

La campagna elettorale e rischio astensione

La campagna sarà certamente segnata dalla questione Covid, con alcune limitazioni ai grandi assembramenti. Va registrata però una grande manifestazione elettorale organizzata dal candidato Raisi, che si è svolta nello stadio di Ahvez, nell’Ovest iraniano. Enorme partecipazione e qualche critica per il mancato rispetto delle misure anti-Covid, anche se gli organizzatori comunicano di aver rispettato tutti i parametri di sicurezza.

Sicuramente la manifestazione di Raisi ha confermato l’ampia popolarità del candidato, che già durante i suoi due anni in carica come capo della magistratura aveva viaggiato ufficialmente in 28 delle 30 province iraniane.Un dato da tenere in forte considerazione sarà certamente quello dell’astensionismo: nelle interviste telefoniche sulle elezioni presidenziali condotte ad aprile dall’istituto di sondaggi studenteschi ISPA, solo il 43% degli intervistati ha dichiarato di voler votare, mentre secondo quanto risulta dai sondaggi della televisione statale IRIB il dato dell’astensione sarebbe superiore al 50%. Una vittoria di un candidato caratterizzata da un forte voto di astensione sarebbe fonte di preoccupazione per la tenuta del prossimo governo, anche in vista delle importanti sfide economiche e diplomatiche le l’Iran dovrà affrontare nel breve termine.

Corsi Online

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