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Covid-19Lavorare per una economia sostenibile

Lavorare per una economia sostenibile

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L’ultimo DPCM nel confermare la chiusura di gran parte delle attività produttive fino al prossimo 3 maggio ha aperto, con la nomina di una Commissione di Esperti, la discussione sulle modalità di ripartenza dell’intero Paese, dando il via ad un dibattito, peraltro già presente da settimane, in cui si evidenziano discussioni, che poco sanno di confronto politico, tra il Governo centrale e le Regioni, che rischiano di disorientare e preoccupare oltremisura i cittadini e i lavoratori. 

Il Fondo Monetario Internazionale, stima che in Italia il contraccolpo economico dovuto al coronavirus sarà il più pesante in Europa con il prodotto interno lordo italiano destinato ad una flessione prossima al 9,1%, rispetto all’economia globale in arretramento di 3 punti percentuali. 

L’impatto economico che l’epidemia sta causando a livello globale è sotto gli occhi di tutti, impossibile oggi prevedere quello che accadrà nei prossimi mesi, al netto delle crisi e delle aziende che chiuderanno definitivamente. Un dato però è abbastanza evidente, soprattutto in quei Paesi che hanno come obiettivo primario quello di non perdere la loro supremazia in termini di PIL e di produttività: lo scarso interesse dei riflessi in termini di perdite di vite umane. 

Anche il crollo del prezzo del petrolio, ha richiesto un intervento straordinario da parte dei maggiori Paesi produttori e nonostante l’accordo sottoscritto tra quest’ultimi, i Paesi poveri come l’Iran, l’Iraq, il Venezuela, la Libia sconteranno i probabili effetti di questa crisi che verosimilmente ricadrà, drammaticamente sui lavoratori e quindi sulla popolazione già indebolita da guerre, instabilità politica ed istituzionale, povertà e carestie di ogni tipo. 

E’ indubbio che tutte le azioni prese dal Governo italiano con il blocco delle attività e la forte restrizione della mobilità hanno avuto come principale obiettivo la salvaguardia della salute delle persone. Innanzi a tutto è stato giustamente anteposto il valore della vita riclassificando quindi, rispetto ad altri Paesi in cui questo non è avvenuto, tutti i valori di una società industriale: la salute della persona al centro. Le misure restrittive, assunte a fronte dell’emergenza sanitaria derivante dalla pandemia, hanno un costo importantissimo per la nostra economia nazionale stimato dallo Svimez in 47 miliardi di euro al mese. 

Pensare che le persone riprendano ad uscire, vivere e lavorare come prima del lockdown, immaginando un rimbalzo dell’economia, vorrebbe dire non aver compreso che cosa vorrà dire rialzarsi dopo questa epidemia di cui a tutt’oggi si sa ancora troppo poco. 

La crisi del 2008 che ci aveva profondamente segnato e che aveva evidenziato le profonde debolezze del nostro modello di sviluppo rischia di non averci insegnato alcunché. La ripartenza di tutte le attività produttive dovrà sicuramente avere come parametro principale, la sostenibilità delle attività, qualunque esse siano. 

Alla fine di gennaio i leader mondiali si sono trovati a discutere a Davos, in occasione del World Economic Forum, su come avviare una trasformazione profonda del capitalismo e rendere sostenibili le attività produttive sul piano ambientale, dando maggiore attenzione agli aspetti sociali. In quell’occasione la Presidente della Commissione Europea, Ursula Von Der Leyen, presentava il New Green Deal europeo. Quelle idee, quelle speranze, quegli impegni li potremmo ritenere ancora validi? I politici, i leader delle imprese e della finanza, continueranno su quel percorso di rinnovamento o sarà necessario riparametrare la nostra visione di sviluppo, di benessere, di qualità della vita e probabilmente anche di 

democrazia? L’Italia è stato uno dei primi Paesi ad inserire i parametri dei BES (Benessere Equo Sostenibile) nel processo di approvazione della legge di bilancio ma sappiamo bene che tali parametri sono a tutt’oggi più di forma che di sostanza. 

Sicuramente questa pandemia però qualcosa di buono l’ha fatto: è stato rivalutato, anche dai più scettici e “liberisti” un sistema di welfare pubblico, basato sulla tassazione generale, che garantisce le cure a tutti coloro che ne hanno bisogno, così come l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni e il finanziamento degli ammortizzatori sociali oggi, come mai prima d’ora, indispensabili per il supporto emergenziale ai lavoratori e ai cittadini. 

Il nostro modello di sviluppo, si regge su alti livelli di consumo che a loro volta creano occupazione. Reindirizzare i consumi e le attività produttive sarà strategico per rialzarsi da dove ci lascerà questa pandemia. 

L’Italia è storicamente un Paese povero di materie prime, con grandi capacità di trasformazione ed esportazione. Dal dopoguerra, nel giro di pochissimo tempo, l’Italia è diventata uno dei Paesi più industrializzati e più ricchi del mondo. Avviare con decisione un grande progetto di economia circolare avrebbe per il Paese molti vantaggi e rappresenterebbe una chiave per favorire una riorganizzazione diffusa del sistema industriale verso la sostenibilità. 

L’Italia, pur avendo molte capacità, si trova a scontare ancora molti problemi, a cominciare dall’impiantistica per il trattamento dei rifiuti. Non possiamo pensare di crescere dal punto di vista industriale e poi ipocritamente esportare rifiuti, provocando maggiore inquinamento, spesso nei paesi più poveri, con costi altissimi per la nostra economia, reimportando materie prime seconde. Se davvero riteniamo che i rifiuti sono una risorsa, come tale andrebbero trattati seguendo le direttive europee che prevedono una specifica classificazione, che vede come ultima scelta la discarica (con il massimo 7%) dopo la termovalorizzazione. Processi come il trattamento dei rifiuti, l’eco progettazione e la simbiosi industriale comporterebbero il recupero di occupazione e di alte competenze. 

Il calo del prezzo del petrolio, avrà impatti a livello globale, ma ormai la strada è avviata verso un utilizzo sempre minore delle fonti fossili, di cui il petrolio è ancora il re indiscusso. Se il futuro sono le energie rinnovabili occorre definire un percorso di transizione chiaro, che aiuti ed orienti i produttori, i lavoratori, i cittadini. 

L’Italia importa la stragrande maggioranza delle fonti energetiche, sia per produrre energia che per il trasporto, che per uso domestico. Nonostante queste fonti siano maggiormente utilizzate, la produzione di rinnovabili non riuscirà nel breve a sostituire tout court le fonti fossili. Se abbiamo a cuore il settore industriale non possiamo non pensare ad una transizione, la più breve possibile, attraverso l’utilizzo del gas, che è tra le fonti fossili quello meno inquinante senza dimenticare l’importanza da dare allo sviluppo di tutte le forme di biogas e biocarburanti, per le quali si dovrà definire una strategia di collegamento con le filiere agricola, zootecnica e del recupero degli scarti alimentari (oli di cucina esausti), o all’incremento delle sperimentazioni dell’idrogeno in miscela con il gas naturale o come combustibile in forma diretta. Sarà inoltre l’occasione per rilanciare un piano per l’efficienza energetica per l’edilizia pubblica e privata, utilizzando risorse per l’adeguamento del patrimonio immobiliare in chiave sostenibile. 

Continuare a non prendere decisioni vuol dire non fare investimenti e quindi rimanere legati al petrolio con tutto quello che questa scelta comporta. 

Velocizzare infatti le decisioni e investire in questi settori porterà un reale contributo al miglioramento ambientale e alla lotta ai cambiamenti climatici, salvaguardando l’occupazione favorendo la riconversione professionale e aiutando i più deboli. La Laudato Sì’ di Papa Francesco, ha infatti evidenziato, prima ancora dell’Agenda Onu, lo stretto legame tra cura dell’ambiente e giustizia sociale perché a pagare le conseguenze del cambiamento climatico e di altri danni ambientali saranno prima di tutto i poveri. 

Saranno processi complicati e molto complessi quelli che ci aspettano. Non saremo in grado di portarli a compimento se non riusciremo a ricostruire il tessuto sociale/culturale della società e dell’impresa. Occorre ricostruire una comunità coesa in grado di condividere obiettivi di sostenibilità sociale, ambientale ed economica, che non metta in contrapposizione lavoro e ambiente, salute e lavoro, ridando il giusto valore al ruolo del pubblico, senza cadere nella demonizzazione del settore privato. Le imprese dovranno riscoprire un forte legame con il territorio ed essere portatrici di un proprio progetto culturale, frutto di una visione di lungo periodo e di una cultura di innovazione. 

Purtroppo ci troveremo di fronte a molte cessazioni di attività produttive e commerciali e le necessità di riconversione e riposizionamento di imprese e dei lavoratori saranno decisive. Dovremmo gestire percorsi di accompagnamento delle persone verso nuove attività, erogando attività formative a lavoratori in transizione, ideare progetti di alternanza formazione-lavoro anche per adulti, in poche parole rilanciare una vera “politica attiva del lavoro” di cui solo a parole si è parlato in tutti questi anni. 

L’istruzione e la formazione rappresentano la vera miniera da sfruttare nel prossimo futuro e su questo il nostro Paese deve fare molto di più. 

Non possiamo augurarci di tornare tout court alla normalità, senza mettere in atto misure straordinarie non solo dal punto di vista economico/finanziario ma anche dal punto di vista culturale. Dobbiamo cambiare il nostro modello di sviluppo, utilizzare tutti i mezzi possibili per favorire una migliore redistribuzione della ricchezza nella società e tra le persone. Per far questo ci vuole una adeguata responsabilizzazione dei soggetti sociali e della politica perché la trasformazione è più che mai indispensabile. 

Bisogna avere capacità di decisione, che non vuol dire decisionismo, bensì capacità di ascolto, di coniugare buon senso e partecipazione. 

Solo un’evidente corresponsabilità tra i corpi intermedi e la politica può ricreare quel clima di fiducia tale da consentire all’Italia di incamminarsi speditamente verso il sentiero dello sviluppo sostenibile.

Angelo Colombini,
Segretario Confederale Cisl Nazionale

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