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TematicheItalia ed EuropaL’autonomia strategica europea nel settore della difesa tra competizione...

L’autonomia strategica europea nel settore della difesa tra competizione geopolitica e pandemia

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La Strategia Globale del 2016 ha visto l’Unione europea rilanciare le proprie ambizioni di “autonomia strategica” alla luce dei mutamenti dello scenario internazionale, in cui la crescente competitività multipolare e la moltiplicazione dei teatri di crisi fa emergere interrogativi sul ruolo dell’Ue a livello globale, nonché sulla sua capacità di far fronte a tali trasformazioni. In questo contesto, rendere l’Unione un attore più autonomo nel mondo equivale a potenziare la capacità di difendere i propri interessi, coniugando efficacemente libertà d’azione e cooperazione multilaterale. L’emergenza innescata dal Covid-19 ha intensificato le dinamiche di competizione geopolitica, generando ulteriore incertezza sull’indirizzo strategico dei principali attori internazionali e sul futuro delle relazioni transatlantiche. Le scelte di bilancio imposte dalla crisi sanitaria hanno tuttavia determinato un ridimensionamento dei fondi destinati alle politiche di difesa europee. Nonostante ciò, il contesto attuale può svolgere una funzione catalizzatrice per lo sviluppo di una visione condivisa, che possa dotare l’Ue di strumenti incisivi per realizzare una sinergia tra autonomia e interdipendenza.

«Un mondo più connesso, contestato e complesso» [1]: il rilancio dell’autonomia strategica

In tempi recenti, l’enfasi crescente sull’idea di un’autonomia strategica in materia di sicurezza e di difesa a livello europeo ha determinato un’attualizzazione del dibattito riguardo la decodificazione di tale nozione e le relative implicazioni per il ruolo dell’Ue sullo scenario internazionale. Dopo la fallimentare esperienza della Comunità europea di difesa (Ced), abortita nel 1954, il concetto di Difesa europea assunse rinnovato vigore nel corso degli anni Novanta. In particolare, l’ambizione di dotare l’Unione di una «capacità di azione [militare] autonoma» [2] per la gestione delle crisi internazionali venne caldeggiata in occasione del vertice franco-britannico di Saint-Malo del 1998 che, nel superare la consolidata reticenza della Gran Bretagna in materia, gettò le fondamenta per la creazione della Politica di sicurezza e di difesa comune (Psdc). Ciò non avvenne, tuttavia, senza controversie in merito agli impegni transatlantici, incarnate dalle “3D” dell’allora segretario di Stato americano Madeleine Albright [3]. Gli sviluppi successivi all’istituzione della Psdc hanno sostanzialmente confermato la linea dettata dagli Stati Uniti: le iniziative in ambito di difesa hanno continuato a svolgersi per la gran parte sotto l’ombrello della Nato e la nuova politica comunitaria si è cristallizzata – lentamente e principalmente – attorno alla conduzione di missioni di peace-keeping e post-conflict settlement. In parallelo l’Unione – che dalla fine della Guerra fredda ha progressivamente posto l’accento sul carattere cosiddetto “normativo” del suo operato al di fuori dei propri confini [4] – ha mantenuto costante la corrispondente retorica di soft power virtuoso.

È nel giugno del 2016, con il lancio della Strategia Globale dell’Ue, che l’autonomia strategica riemerge in maniera preminente nel lessico comunitario, con particolare riferimento alla Psdc. Evocato ben cinque volte nel documento, questo concetto, nella sua accezione à l’européenne, traduce l’ambizione di «vivere secondo le [proprie] leggi senza eccessive interferenze, attacchi e destabilizzazioni» [5], sviluppando la capacità di agire con i propri partner su base cooperativa. In altre parole, «agire da soli quando necessario e con i partner ove possibile» [6]. Diventare un attore più autonomo nel mondo si configura come l’elemento chiave per riaffermare il ruolo dell’Unione nel mutato contesto globale, in cui «potere di persuasione e potere di coercizione [devono andare] di pari passo» [7]. Nel corso dell’ultimo decennio l’Ue, indebolita a livello interno e circondata esternamente da un “arco di instabilità”, ha di fatto visto declinare il suo “potere di attrazione” nel vicinato orientale e mediterraneo, anche e soprattutto a fronte dell’incapacità di intervenire in modo concertato nelle aree di crisi. Sullo sfondo, l’eclissi della prospettiva di un’Europa “whole and free” all’interno di un ordine internazionale liberale a guida americana, ha lasciato spazio a uno scenario di competitività multipolare in cui gli Stati Uniti hanno via via assunto una postura di retrenchment rispetto all’iniziale vocazione di potenza egemone [8]. In tale contesto, a destare incertezza sui futuri equilibri delle relazioni transatlantiche si sono aggiunti lo spostamento del baricentro strategico americano verso l’Indo-Pacifico e, in tempi più recenti, l’atteggiamento ondivago dell’Amministrazione Trump verso la Nato – al di là della tradizionale insistenza su un maggior burden sharing. Ad ogni modo, la Strategia Globale e i relativi documenti e dichiarazioni, pur sottolineando la necessità di una maggiore autonomia, riaffermano sistematicamente l’ancoraggio all’Alleanza Atlantica quale pilastro della difesa collettiva dell’Europa [9].

A partire dal 2016, lo sviluppo della Psdc ha conosciuto un inedito dinamismo, inaugurato nel novembre dello stesso anno dal Piano d’azione europeo in materia di difesa, che include, inter alia, l’istituzione di un Fondo europeo per la difesa (Edf) a sostegno degli investimenti in attività di ricerca comune e dello sviluppo di attrezzature e tecnologie. Altre iniziative di rilievo comprendono il Programma europeo di sviluppo del settore industriale della difesa (Edidp) e la Coordinated Annual Review on Defence (Card), ossia il meccanismo di coordinamento tra i ministri della Difesa dell’Ue per la pianificazione delle capacità militari nazionali. Inoltre, nel dicembre 2017, gli Stati membri hanno formalizzato il loro impegno all’integrazione della difesa europea attraverso la Cooperazione strutturata permanente (Pesco) prevista dal Trattato di Lisbona, nell’ambito della quale sono stati lanciati, tra il 2018 e il 2019, quarantasette progetti. Per la prima volta, il bilancio dell’Ue per il periodo 2021-2027 vede una sezione dedicata alle politiche di sicurezza e di difesa, i cui finanziamenti sono destinati, oltre che all’Edf, all’incentivazione della mobilità delle Forze armate europee (Military Mobility) e ad un fondo off-budget volto a supportare le missioni militari nel quadro della Psdc (European Peace Facility, Epf).

Il Covid-19: un freno all’Europa della difesa?

            Così come è avvenuto per la crisi dei debiti sovrani e per l’emergenza migratoria, la contingenza pandemica ha rappresentato un banco di prova per alcuni dei principi fondamentali della costruzione europea, mostrando le difficoltà nel formulare un piano di rilancio economico in tempi brevi. Se l’accordo sul Recovery fund è stato salutato come un superamento delle divergenze tra Stati membri nella gestione della lotta al virus, i negoziati hanno lasciato sin da subito presagire che l’urgenza nell’affrontare le conseguenze socio-economiche della pandemia avrebbe necessariamente provocato un ridimensionamento delle spese dirette al settore della difesa [10].

Numerose voci si sono levate a livello nazionale [11] e sopranazionale [12] per ribadire l’importanza di approfondire la dimensione della sicurezza e della difesa in ambito europeo nell’attuale contesto di crisi sanitaria, che ha contribuito ad esacerbare le faglie di competizione geopolitica, piuttosto che indurre verso una governance condivisa nei riguardi dell’emergenza. Da un lato, l’emergenza Covid-19 ha visto intensificarsi la rivalità tra Stati Uniti e Cina, nonché confermato la riluttanza di Washington nell’assurgere a garante dell’ordine internazionale, dimostrata dalla poca proattività nel fornire “servizi pubblici” ai Paesi terzi [13], nella fattispecie modelli di comportamento e risorse per fronteggiare la pandemia. Per l’Ue, i suddetti sviluppi alimentano il dilemma oltre l’Atlantico, tanto più che la pandemia è coincisa con la corsa elettorale americana, dagli esiti difficilmente prevedibili. Dall’altro lato, il Covid-19 ha costituito un’opportunità per le potenze cosiddette “revisioniste”, quali la Russia e la Repubblica Popolare Cinese (Rpc), di potenziare la loro capacità di contro-narrazione nei confronti dell’assetto internazionale liberale. In particolare, quella che era sembrata una dura battuta d’arresto per Pechino si è trasformata in un’occasione per condurre un’azione di soft power sul suolo europeo, sfruttando le frizioni interne all’Ue nella prima fase della crisi. All’opera di propaganda cinese, contraddistinta da una forte dimensione mediatica, si è sommata la campagna di disinformazione portata avanti da Mosca, avente come bersaglio l’approccio dell’Ue tanto a livello interno quanto nelle relazioni con i Paesi candidati e del vicinato. E ancora, l’accresciuta volatilità dello scenario securitario in quella che è stata definita dall’Alto rappresentante Josep Borrell l’«estate delle crisi» [14] ha posto l’Ue dinanzi a ulteriori scelte di importanza strategica, che spaziano dalla situazione in Bielorussia alle relazioni con Ankara.

Malgrado il panorama sopra delineato, l’accordo raggiunto al Consiglio europeo sul Recovery fund e sul quadro finanziario pluriennale dell’Ue 2021-2027 ha confermato le previsioni. Del bilancio complessivo di 1.074 miliardi di euro, 13,2 sono destinati al capitolo “Sicurezza e Difesa”. Rispetto all’iniziale cifra di 13 miliardi proposta della Commissione europea nel maggio del 2018, il Fondo europeo per la difesa – la cui prospettiva di finanziamento era già stata drasticamente ridotta in precedenti negoziati – ne emerge quasi dimezzato (7 miliardi di euro). Analoga sorte è spettata alla Military Mobility e all’European Peace Facility, che hanno visto i loro fondi ridursi, rispettivamente, da 6,5 a 1,5 miliardi e da 10 a 5 miliardi. Come evidenziato dal generale Vincenzo Camporini, i tagli alla Difesa, soprattutto in relazione all’Edf, costituiranno un disincentivo alla cooperazione tra Stati membri, in quanto la scarsità dei fondi a disposizione difficilmente riuscirà a indurre un «effetto domino sui finanziamenti nazionali su progetti che rispondono a comuni esigenze operative» [15]. Il quadro è reso ancor meno favorevole dalla probabile contrazione dei bilanci della difesa nazionali, che solo nel 2018 sono tornati ai livelli precedenti alla crisi economico-finanziaria. Ne conseguirà un impatto pressoché inevitabile sui progetti Pesco, che si avvalgono principalmente dei contributi degli Stati membri e, in parte, dei fondi dell’Edf. Alla luce di ciò, in un contesto deteriorato delle relazioni internazionali, gravato dall’incertezza, si fa sempre più concreto il rischio di un disimpegno politico dei governi nazionali nei teatri di crisi e instabilità, con un conseguente ridimensionamento dell’impegno militare in queste aree. Infine, un ultimo fattore – ma non di minore rilevanza – è rappresentato dalle implicazioni della Brexit sull’industria della difesa e sulle attività della Politica di sicurezza e di difesa comune, come la Pesco, ma anche nei riguardi dei rapporti con la Nato e i Paesi alleati.

Conclusioni

            Se la crisi innescata dal Covid-19 sembrerebbe preannunciare una battuta d’arresto per le rinnovate ambizioni di autonomia strategica dell’Ue nel settore della difesa, non appare utile limitarsi a prospettive esclusivamente negative. In primis, il nuovo bilancio settennale sancisce l’ingresso a pieno titolo della difesa all’interno delle politiche europee. L’effetto restrittivo dell’emergenza pandemica sui programmi futuri e, con ogni probabilità, sulle iniziative in corso, rende ancora più evidente la necessità di un’azione efficace volta a favorire maggiore cooperazione sia fra Stati membri che con le istituzioni europee, perseguendo contemporaneamente azione sinergiche con la Nato nell’ottica di evitare duplicazioni.  

            Fondamentale nel futuro prossimo sarà il processo dello Strategic Compass, avviato nel giugno 2020, che è finalizzato a definire priorità strategiche condivise e a guidare l’attuazione della dimensione di sicurezza e difesa europea, concretizzando maggiormente gli obiettivi individuati dalla Strategia Globale dell’Ue, tra i quali si distingue l’autonomia strategica.

Andrea Carteny
Elena Tosti Di Stefano,
CEMAS – Sapienza Università di Roma

Note:

[1] Servizio europeo per l’azione esterna (SEAE), Shared Vision, Common Action: A Stronger Europe. A Global Strategy for the European Union’s Foreign and Security Policy, 2016, p. 7.

[2] J. Chirac, T. Blair, Joint Declaration on European Defence, Vertice bilaterale franco-britannico di Saint-Malo, 3-4 dicembre 1998.

[3] L’incremento dell’autonomia militare dell’Unione europea non avrebbe dovuto affievolire il legame con la Nato (no decoupling), né duplicare gli sforzi esistenti in termini di comandi e strutture (no duplication) o discriminare i Paesi non-Ue membri dell’Alleanza atlantica (no discrimination). Cfr. M. Albright, Statement to the North Atlantic Council, Bruxelles, 8 dicembre 1998.

[4] v. I. Manners, Normative Power Europe: A Contradiction in Terms?, Journal of Common Market Studies vol. 40(2), 2002, pp. 235-258.

[5] N. Tocci, Strategia globale: per un’Europa autonoma nel mondo, Eunews, 2019.

[6] Servizio europeo per l’azione esterna (SEAE), Permanent Structured Cooperation on Defence PESCO, 2018, in https://rb.gy/wtc0jw.

[7] Servizio europeo per l’azione esterna (SEAE), op. cit., 2016, p. 4.

[8] cfr. A. Cooley, D.H. Nexon, Exit from Hegemony: The Unraveling of The American Global Order, Oxford UP, Oxford 2019.

[9] A tal proposito, conviene tuttavia notare che, malgrado la definizione univoca a livello sopranazionale, non vi è unanimità tra gli Stati membri rispetto all’interpretazione del concetto di “autonomia strategica”, in particolare per quanto concerne il rapporto con l’Alleanza Atlantica. Emblematico in questo senso è il conflitto di prospettive tra le ambizioni marcatamente “autonomiste” della Francia e la preferenza tedesca per il rafforzamento del pilastro europeo nella Nato. Si veda U. Franke, T. Varma, Independence Play: Europe’s Pursuit of Strategic Autonomy, European Council on Foreign Relations (ECFR), 2018, pp. 1-46.

[10] v. R. Csernatoni, EU Security and Defense Challenges: Toward a European Defense Winter?, Carnegie Europe, 2020.

[11] v. L. Guerini, A. Kramp-Karrenbauer, F. Parly, M. Robles Fernández, Lettera congiunta dei ministri della Difesa di Italia, Germania, Francia e Spagna all’Alto rappresentante dell’Ue per gli affari esteri e la politica di sicurezza, maggio 2020.

[12] v. J. Borrell Fontelles, T. Breton, For a united, resilient and sovereign Europe, 10 giugno 2020, in https://rb.gy/eeepcj.

[13] cfr. C. Kindleberger, History of the World Economy in the Twentieth Century: The World in Depression, 1919-1939, University of California Press, Berkeley 1973.

[14] J. Borrell Fontelles, The rentrée of 2020: decision time for EU foreign policy, 26 agosto 2020, in https://rb.gy/wtc0jw.

[15] S. Pioppi, Dov’è finita la Difesa comune? Ecco cosa ha deciso il Consiglio europeo, Formiche – Rivista, 21 luglio 2020, in https://rb.gy/jj0kc1.

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