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NotizieL’appetito russo per l’artico

L’appetito russo per l’artico

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Il recente sversamento di 20mila tonnellate di diesel avvenuto a Norlisk, in Siberia ha riacceso i riflettori sui problemi ambientali, in particolar modo quelli concernenti l’Artico dove da anni le grandi potenze esercitano la loro influenza.

Quel che è sfuggito ai media però, o quanto meno passato in secondo piano, è che circa tre mesi prima dell’incidente, Putin firmava un nuovo decreto con il quale il presidente rinnovava sostanzialmente l’interesse russo per la regione. Il 6 marzo infatti, mentre i riflettori mondiali erano proiettati sulla questione sanitaria del COVID-19, il presidente Putin ha approvato il “Basic Principles of Russian Federation State Policy in the Artic to 2035” un importante documento strategico con il quale il Cremlino ha voluto ribadire l’importanza della regione artica.

Il documento definisce i nuovi interessi, obiettivi e i meccanismi russi per accrescere la politica statale nell’Artico. Gli obiettivi principali del Cremlino così come presentati dal nuovo documento possono essere così sintetizzati:

  1. Implementare la realizzazione del Passaggio a Nord-ovest come un corridoio di trasporto competitivo a livello globale.
  2. Sfruttare le risorse naturali artiche al fine di accrescere l’economica del paese.
  3. Garantire l’integrità territoriale e la sovranità russa sulla regione preservando al contempo la pace e costruendo relazioni stabili con gli altri paesi.
  4. Garantire prosperità e adeguate condizioni di vita per la popolazione dell’Artico, proteggere le minoranze indigene e preservare l’ambiente e il territorio Artico russo.

L’interesse storico per la regione artica

È importante sottolineare che il documento costituisce l’aggiornamento del precedente testo, approvato dal Cremlino nel 2008, nel quale venivano altresì disposti gli interessi di Mosca nei confronti dell’Artico per l’anno 2020.

D’altronde l’interesse di Mosca per la regione non è cosa nuova. Nel 2007 una missione capeggiata da Artur Chilingarov piantò una bandiera russa a 4200 metri di profondità in corrispondenza del Polo Nord a ribadire la sovranità sulla regione artica. Il 26 luglio del 2015 il presidente Putin ha firmato “La Nuova Dottrina del Mare” con la quale il Cremlino ha definito gli scopi futuri della marina russa rivendicando l’interesse per l’Artico, che proprio in quell’occasione l’allora vice primo ministro Dmitrij Rogozin ha definito la “Mecca Russa”.  L’ultimo decreto emanato dal Cremlino e firmato dal presidente Putin lo scorso 6 Marzo prevede una nuova massiccia industrializzazione volta al rafforzamento della politica commerciale russa. Il governo di Mosca intende tutelare l’integrità e la sovranità del paese ma soprattutto potenziare le capacità di combattimento delle forze armate russe allo scopo di prevenire ogni eventuale aggressione ai danni dei suoi interessi e dei suoi alleati. Entro il 2035 la nazione prevede di costruire 40 nuove navi, potenziare 4 aeroporti, costruire nuove infrastrutture tra cui ferrovie e porti marittimi e realizzare un cavo di comunicazione in fibra ottica sottomarino lungo la Rotta del Mare del Nord.

Il Passaggio a nord-ovest

Tra gli obiettivi del documento, il rafforzamento infrastrutturale della Rotta del Mare del Nord è di vitale importanza. Aperto nel 1991, Il passaggio a nord-ovest (o Rotta del Mare del Nord) si dispiega per oltre 3500 miglia nautiche collegando il Mare del Nord con l’Oceano Pacifico attraverso lo stretto di Bering rimanendo all’interno della Zona Economica Esclusiva (ZEE) russa. Qualora la rotta diventasse perfettamente accessibile per via dello scioglimento dei ghiacciai, i vantaggi economici e geopolitici che il corridoio apporterebbe al governo di Mosca sarebbero notevoli. Innanzitutto, il paese godrebbe di un’importante riduzione dei tempi di navigazione con il conseguente abbattimento dei costi di trasporto. La Rotta, una volta consolidatasi, garantirebbe la possibilità di evitare l’attraversamento del Canale di Suez permettendo ai russi di controllare gran parte dei flussi marittimi mondiali. L’obiettivo di Putin per il 2024 è quello di accrescere il traffico lungo la Rotta del Nord fino a raggiungere le 80 milioni di tonnellate di merci trasportate, anche se attualmente il valore si attesta attorno alle 30 milioni di tonnellate.

Le risorse naturali

L’attenzione di Mosca per l’Artico è dovuta anche alle notevoli risorse naturali presenti nel sottosuolo. La Russia considera la regione come una naturale estensione del territorio e ritiene che questo le garantisca lo sfruttamento degli idrocarburi situati in loco. Si stima che l’Artico disponga di circa il 15% delle riserve petrolifere mondiali non ancora scoperte e il 30% dei depositi di gas naturale, nonché grandi giacimenti di minerali, compresi quantitativi non trascurabili delle cosiddette terre rare. Secondo uno studio delle Università di Berkeley e Stanford, mentre nei prossimi 100 anni il PIL pro capite globale subirà una flessione media del 23%, quello dei paesi artici potrà aumentare del 400% e lo sfruttamento delle risorse naturale così come dei nuovi corridoi economici potrebbero esserne la causa.

La militarizzazione dell’Artico

Anche a livello militare Mosca rimane molto attiva nella regione dichiarando contestualmente di voler perseguire la pace e la collaborazione con gli altri Stati. “Nel 2020, come parte dell’implementazione delle politiche della Federazione Russa nell’Artico, nella regione artica russa è stata creata una forza operativa delle Forze Armate in grado di garantirne la sicurezza in differenti condizioni politiche e militari”, si legge nel decreto. D’altronde la presenza militare russa nella regione non è una novità assoluta. Nel 2017 è stato realizzato il “Trifoglio Artico” sull’isola di Aleksandra nell’arcipelago della Terra di Giuseppe. Si tratta di una base militare che garantisce soggiorno a centinaia di soldati addestrati in vista di un’eventuale guerra artica. Lo scorso anno, il Ministero della Difesa russo ha annunciato il dispiegamento di una batteria antiaerea S-400 nell’arcipelago di Novaja Zemlja in grado di neutralizzare eventuali minacce fino ad una distanza di 400 km, quasi a volersi garantire una protezione più efficace da ogni possibile ingerenza esterna, quella degli USA in primis.

I problemi ambientali

Il rinnovato attivismo russo nella regione deve fare però i conti con i problemi di natura ambientale. Se da un lato, lo scioglimento dei ghiacciai ha aperto prospettive enormi per lo sfruttamento dell’area, dall’altro, ha innescato nuove problematiche ambientali che potrebbero rivelarsi proprio la causa del fallimento dei piani del Cremlino. Il riversamento delle 20mila tonnellate di petrolio nel fiume Ambarnaya lo scorso 29 maggio dovuto molto probabilmente allo scioglimento del permafrost, ha evidenziato la fragilità dell’ambiente. Greenpeace lo ha definito “il più grave disastro ambientale russo dal 1989″. Così, sebbene Mosca si sia posta l’obiettivo di preservare l’ambiente e proteggere la vita delle popolazioni locali, il recente disastro naturale sembra aver ostacolato tale proposito: a rischio infatti non vi è solo l’ambiente artico in sé ma anche la possibilità per gli abitanti della regione di avere accesso all’acqua potabile se il problema non dovesse essere risolto nel più breve tempo possibile.

La sfida del domani per la Russia sarà quella di far convivere le proprie aspirazioni geostrategiche con i quanto più sentiti problemi ambientali. Quel che è certo è che, qualora la Federazione Russa riuscisse in ciò, l’Eurasia potrebbe riacquisire una nuova centralità geopolitica.

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