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L’anniversario del massacro di Khojaly nel contesto post-bellico del Nagorno-Karabakh

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Il 26 febbraio 1992 si è compiuta una delle pagine più buie della guerra del Nagorno-Karabakh, il sanguinoso conflitto tra Azerbaigian e Armenia, iniziato il 31 gennaio dello stesso anno. In questo contesto è la popolazione di Khojaly, un paese tra Agdam e Khankendi-Stepanakert, che subisce le maggiori conseguenze: causando 613 vittime civili fra la popolazione azerbaigiana, fu questo il peggior massacro del conflitto del Karabakh. Oggi dunque l’Azerbaijan, come ogni anno ricorda le sue vittime, avanzando l’istanza internazionale di riconoscimento della natura di “genocidio” ai tragici eventi di Khojali.

Il peso e l’eco del massacro di Khojali si trascinano fino ai giorni nostri, assumendo anche una rilevante valenza diplomatica. Infatti, come nota Thomas de Waal, giornalista esperto di Caucaso e Senior Associate al Carnegie Endowment for International Peace, “l’anniversario di Khojaly negli anni è diventato il pilastro della causa azera nel mondo, cioè essere vittima di un’aggressione”. Commemorare le vittime civili di Khojali serve dunque a Baku anche a ricordare una volta di più alla comunità internazionale di essere stato, fin dal principio della guerra, vittima di aggressione da parte armena sul proprio territorio sovrano.

Proprio attorno alla dicotomia aggressore-aggredito si è infatti generato uno scontro di visioni e narrazioni sull’origine della guerra, visioni che da entrambe le parti sono funzionali a legittimare lo sforzo bellico e le rivendicazioni territoriali. In particolare, la strage di Khojaly, dimostra e supporta appieno la natura di “parte aggredita” dell’Azerbaigian, attraverso due elementi che vanno oltre l’efferatezza della strage. Il primo è la natura premeditata del massacro da parte delle forze armene. Il secondo elemento in supporto della tesi azera è costituito dalla dichiarazione dell’allora leader militare armeno Serzh Sarkisian, riportata nel volume di de Waal “Black Garden”. Sarkisian precisa che le azioni di Khojaly erano volte a dimostrare alla controparte azera la brutalità e la potenza militare dell’Armenia. Questa affermazione conferisce al massacro la natura di deliberato atto di intimidazione da parte del Yerevan.

Conseguentemente, la comunicazione e la diffusione della prospettiva azera, cioè di essere vittima di aggressione da parte armena, è centrale nell’attività diplomatica di Baku. Ciò si traduce in un impegno massiccio nella public diplomacy, che ha quindi l’obiettivo di contrastare la narrativa armena intorno alla guerra del Nagorno Karabakh, forte della potente lobby armena all’estero e diffondere, quindi, visione azera sulla storia e le dinamiche belliche. Ciò è inoltre sostenuto anche dalla percezione di Baku, secondo la quale la prospettiva armena ha fortemente influenzato la visione della comunità internazionale riguardo alla guerra del Nagorno-Karabakh, creando così un doppio standard nelle relazioni con i due Paesi caucasici.

Un esempio di ciò è l’atteggiamento ambiguo dell’Unione europea nei confronti della guerra del Nagorno Karabakh. Infatti, nelle dispute territoriali nell’ex Unione Sovietica, come nel caso del Donbass, dell’Abkhazia o dell’Ossezia del Sud, l’Unione Europea ha richiamato le norme del diritto internazionale, sottolineando il suo sostegno al principio dell’integrità territoriale ucraina, da una parte, e georgiana dall’altra, il quale si è poi attuato in sanzioni nei confronti della Federazione russa.  Sulla questione del Karabakh, invece, Bruxelles nonostante i pronunciamenti dell’ONU e dell’OSCE in tal senso, inizialmente, non ha mostrato una analoga chiarezza di prospettive e intenti, limitandosi a dichiarare il suo pieno supporto alla mediazione del gruppo di Minsk per un impegno congiunto per una pace duratura. Bisogna però sottolineare che negli ultimi tempi l’UE ha optato per un approccio generalizzato per tutti i conflitti, a difesa dell’integrità territoriale degli Stati e inviolabilità dei confini internazionalmente riconosciuti.

Nuove opportunità per il Caucaso meridionale

A fronte di ciò, gli sforzi azeri nella comunicazione e nella public diplomacy proseguono anche a seguito del cambiamento dei rapporti di forza dopo la guerra del Karabakh di settembre 2020, concluso con un accordo per il cessate-il-fuoco del 10 novembre 2020, che apre a nuove opportunità per il Caucaso meridionale e per gli equilibri regionali.

Si delinea come fondamentale la necessità di superare le dinamiche belliche promuovendo nuovi rapporti di cooperazione sia sul piano diplomatico che su quello economico.

In questa direzione si colloca l’incontro tra i leader di Armenia ed Azerbaijan avvenuto a Mosca a gennaio 2021. Si è trattato, infatti, del primo summit tra le parti belligeranti dopo la guerra dello scorso anno. In questa occasione, l’11 gennaio, è stato costituito un gruppo di lavoro tra i primi ministri di ciascun Paese. A ciò si aggiunge un accordo in quattro punti che prevede una lista di progetti infrastrutturali congiunti i quali hanno la potenzialità di ridisegnare equilibri regionali, in particolare aprendo i confini tra Armenia e Azerbaijan e Armenia e Turchia, chiusi da più di trent’anni. Infatti, attraverso il corridoio di Nakhichevan si rendono possibili nuove connessioni infrastrutturali e opportunità di cooperazione economica in cui l’Azerbaijan può giocare un ruolo di primo piano. La leadership azera, infatti, è già impegnata in tre nuovi progetti: un’autostrada che collega Fizuli a Shusha e due aeroporti, a Fizuli e a Kelbajar o Lachin. Aliyev ha anche annunciato la volontà di iniziare la costruzione di “smart cities” nei territori del Karabakh. Tuttavia, se da una parte questi progetti ambiziosi contribuiscono a rafforzare l’immagine di Baku e il suo ruolo nel Caucaso, dall’altra importanti aspetti rimangono irrisolti, come la reale applicazione di una convivenza pacifica delle comunità azerbaigiana e armena nell’area. Solo attraverso la graduale costruzione di una solida cooperazione economica e diplomatica tra le parti, si potrà evitare che tali questioni ancora aperte possano costituire in futuro premesse per nuovi scontri.

Questa possibile cooperazione economica e diplomatica è anche un’occasione per l’Unione europea per tornare a ricoprire un ruolo chiave nel Caucaso; ciò potrebbe essere attuato attraverso tre strategie: primo, sviluppando una comunicazione più trasparente che vada ad eliminare la percezione del doppio standard di Baku; secondo, contribuendo a ricostruire la fiducia tra le parti, profondamente deteriorata dal decennale conflitto; terzo, finanziando progetti di sviluppo infrastrutturale per costruire relazioni commerciali tra Azerbaijan e Armenia.

In conclusione, ricordando il massacro di Khojaly, non si può non guardare al presente. Come dimostrato dagli scontri dello scorso anno, la guerra del Nagorno-Karabakh rimane una ferita aperta nel Caucaso. Tuttavia, con la firma del cessate il fuoco, si sono aperte nuove opportunità di cooperazione tra Armenia e Azerbaijan che potrebbero rimodellare le dinamiche regionali del Caucaso meridionale. Superare le ferite del passato potrebbe essere funzionale a questo sforzo.

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