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L’accordo di Escazú: il lungo cammino del trattato latinoamericano per l’informazione ambientale e la tutela degli attivisti

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Dopo un lungo iter di ratifica e il discusso abbandono del Cile, entrerà in vigore nei prossimi mesi l’accordo di Escazú. Si tratta dell’unico trattato giuridicamente vincolante derivato dalla Conferenza ONU Rio+20, il primo trattato regionale latinoamericano in materia ambientale e l’unico al mondo a contenere disposizioni specifiche per la protezione degli attivisti ambientali.

Quattro anni di negoziazioni, guidate da una commissione presieduta da Cile e Costa Rica, hanno prodotto il testo finale dell’Accordo Regionale sull’accesso all’informazione, la partecipazione pubblica e l’accesso alla giustizia in materia ambientale in America Latina e Caraibi, conosciuto come accordo di Escazú, Costa Rica. Hanno partecipato alle negoziazioni per la stesura del documento, presentato ufficialmente il 4 marzo 2018, 24 Paesi dell’area (CEPAL).

L’accordo è stato firmato dai primi 13 Paesi  il 27 settembre del 2018 in occasione della 73° sessione dell’Assemblea Generale ONU, ma il processo di ratifica si è trascinato a lungo, anche oltre il termine iniziale del 27 settembre 2020, destando molta preoccupazione. A renderne possibile l’entrata in vigore garantendo il minimo legale di 11 ratifiche è stato il Messico il 5 novembre, dopo mesi di scarso interesse dimostrato dai leader dell’area e accesi dibattiti nazionali che hanno bloccato le ratifiche, sorprendentemente anche in Cile e in Costa Rica, principali promotori dell’accordo.

Resta da vedere come i Paesi dell’area applicheranno l’accordo e se sapranno utilizzare questo strumento per migliorare la gestione delle risorse ambientali e aumentare la sicurezza degli attivisti nel continente in cui sono avvenute il 70% delle uccisioni di difensori ambientali nel 2019 (Global Witness).

Cosa prevede il trattato

L’accordo di Escazú riflette un approccio di governance ambientale fondato sui diritti, che riafferma il principio 10 della Dichiarazione di Rio del 1992 secondo il quale: “Il modo migliore di trattare le questioni ambientali è quello di assicurare la partecipazione di tutti i cittadini interessati, ai diversi livelli” ovvero garantendo il diritto di accesso di qualsiasi persona all’informazione ambientale, a partecipare in maniera significativa alle decisioni che hanno conseguenze sul proprio ambiente ed accedere alla giustizia quando questi diritti vengono violati.

I firmatari vanno oltre Rio impegnandosi a garantire il diritto di ogni persona a vivere in un ambiente sano,  con un’attenzione particolare per gruppi e comunità vulnerabili e per gli attivisti. Elementi chiave del trattato di Escazú sono: a) la tutela del diritto di accedere alle informazioni ambientali, facendo richiesta alle autorità competenti senza dover specificare motivazioni specifiche e in forma gratuita, con la possibilità di fare ricorso se le informazioni richieste non vengono trasmesse in tempi consoni (30 giorni lavorativi); b) la partecipazione pubblica nei processi decisionali: ogni Paese firmatario si impegna a garantire meccanismi di partecipazione alle decisioni riguardanti progetti, attività e autorizzazioni che possono avere un effetto significativo sull’ambiente e sulla salute delle persone; c) diritto di accedere alla giustizia per controversie ambientali con le garanzie del giusto processo, strutture che facilitano la produzione di prove di danni ambientali e di adeguate forme di risarcimento, istituzionalizzando tribunali e procedure specializzate in materia ambientale e promovendo allo stesso tempo meccanismi di soluzione delle controversie alternative alla corte, come mediazione e conciliazione; d) l’impegno dei Paesi firmatari a garantire protezione e sicurezza per persone, gruppi e associazioni che difendono l’ambiente, permettendo loro di operare senza temere restrizioni, minacce e violenze e ad adottare misure appropriate per prevenire, indagare e punire ogni tipo di intimidazione o attacco contro di loro (CEPAL).

Si prevedono, inoltre, la produzione regolare a livello nazionale di dati rilevanti, con sistemi di informazione ambientale accessibili al pubblico, l’elaborazione e diffusione di rapporti periodici sullo stato dell’ambiente, la definizione di modalità e tempistiche precise per il coinvolgimento della collettività nei processi decisionali, includendo per ogni progetto/attività in esame che potrebbe avere un impatto sull’ambiente, l’identificazione di gruppi vulnerabili assicurandone la partecipazione, con l’impiego del linguaggio e dei metodi più appropriati per ogni contesto.

Le opposizioni nazionali alla ratifica

Di solito i Paesi promotori di un trattato sono i primi a ratificarlo, al contrario in Costa Rica la ratifica si è arenata in settembre quando la revisione dell’accordo da parte della Corte Costituzionale si è conclusa richiedendo informazioni aggiuntive sulle risorse economiche necessarie per gli adempimenti che riguardano il potere giudiziario. In Cile, il governo Piñera ha addirittura rifiutato l’adesione e la firma stessa del trattato con la motivazione che gli obblighi in esso previsti creerebbero delle ambiguità e dei contrasti con la legislazione ambientale nazionale e una generale “incertezza giuridica”, e il rischio di coinvolgere il Paese in controversie internazionali. L’atteggiamento contraddittorio del presidente Piñera, che aveva fatto leva sul ruolo giocato dal Cile nella stesura dell’accordo di Escazú per ottenere la presidenza della COP25, ha causato l’indignazione di varie organizzazioni incluso Greenpeace Cile, che lo hanno accusato di aver ingannato il Paese facendo credere che i temi ambientali fossero al centro della sua agenda politica (Greenpeace Cile).

In Brasile e Guatemala gli esecutivi non hanno dimostrato interesse per l’avanzamento del processo di ratifica, con il testo ancora all’esame di vari ministeri senza passare al voto parlamentare; in Colombia e Perù i dibattiti in Parlamento hanno bloccato la ratifica, con le opposizioni convinte che il trattato porrebbe limiti alla crescita economica e disincentiverebbe gli investimenti, causando una perdita di sovranità nazionale sui territori amazzonici. A rallentare l’iter di ratifica in Paraguay anche l’intervento del monsignor Edmundo Valenzuela, arcivescovo della Chiesa cattolica, (a capo delle diocesi di  Asunción y Primado), che già nel 2019 aveva accusato il trattato di contenere una “ideologia di genere” e di facilitare la legalizzazione dell’aborto e delle unioni gay, invitando le chiese nazionali ad opporsi (Ultima Hora).

L’approvazione e il futuro del trattato

Il trattato di Escazú, pensato da e per i Paesi dell’America Latina e dei Caraibi entrerà in vigore (a 90 giorni dalla ratifica del Messico)  a quasi 3 anni dalla sua approvazione e con l’adesione di soli 11 Stati dei 33 della regione (Antigua e Barbuda, Bolivia, Ecuador, Guyana, Messico, Nicaragua, Panama, San Vicente e Granadinas, Saint Kitts e Nevis, Santa Lucia e Uruguay).

Molto ancora resta da fare: il primo trattato che promuove la protezione degli attivisti è stato firmato ma non ratificato da 13 Stati, tra i quali Colombia e Brasile, riconosciuti dalla classifica di Global Witness il primo e il terzo Paese più pericoloso al mondo per i difensori dell’ambiente, con l’uccisione rispettivamente di 64 e 24 attivisti nel 2019.

L’implementazione effettiva dell’accordo si tradurrebbe in una azione regionale comune per migliorare la governance ambientale attraverso trasparenza dei dati e partecipazione della società civile, e proteggere quanti sono in prima linea per contrastare gli effetti del cambiamento climatico e la perdita di biodiversità evidenti in tante regioni dell’area, in particolare tra le comunità indigene, spesso danneggiate dallo sfruttamento dei territori a beneficio di grandi imprese. Nel contesto attuale, inoltre, l’accordo di Escazú potrebbe fare da catalizzatore in America Latina per la promozione di uno sviluppo trasparente e sostenibile per l’ambiente e le persone nel contesto della riattivazione economica indispensabile nel biennio 2021-2022 per la ripresa post-Covid.

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