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La vittoria di Orban e la minaccia illiberale in Ungheria

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Il 3 aprile 2022, le elezioni tenutesi in Ungheria hanno confermato la quarta vittoria consecutiva di Viktor Orbán, il quale si è presentato alle urne con il suo partito, Fidesz, in coalizione con il Partito Popolare Cristiano Democratico (KDNP).

L’attuale Assemblea Nazionale ungherese (eletta con un sistema elettorale misto) vede quindi 135 dei 199 seggi assegnati alla coalizione sostenitrice di Orbán, mentre i restanti 57 sono andati alla coalizione Uniti per l’Ungheria, fondata nel 2020 e composta da una varietà forse troppo eterogenea di partiti: la coalizione mette infatti insieme partiti come Jobbik (definito come di estrema destra) con realtà come il Partito Socialista Ungherese. La coalizione sostiene Péter Márki-Zay, conservatore e co-fondatore di Un’Ungheria per Tutti, organizzazione che sostiene Uniti per l’Ungheria senza però farne parte. L’ennesima vittoria del premier ungherese e del suo partito sembrava però già preannunciata: durante il mese di marzo 2022, un sondaggio del think tank Republikon Institute aveva individuato un appoggio a Fidesz nel 41% della popolazione, a fronte di un 39% a sostegno di Uniti per l’Ungheria.


Insieme al rinnovo per l’Assemblea Nazionale, l’Ungheria ha nello stesso giorno votato anche un referendum riguardante una limitazione all’introduzione di argomenti legati alla sessualità e la sfera LGBT+ nei programmi educativi del Paese. I quattro quesiti proposti alla popolazione riguardavano l’argomento dell’insegnamento ai minori – in assenza di consenso genitoriale – di argomenti legati all’orientamento sessuale e alla disforia di genere, ed esistenza di trattamenti per la riassegnazione di genere per le persone transessuali; il referendum è stato definito dalle associazioni LGBT+ ungheresi ed estere “vigorosamente anti-LGBT e destinato a limitare i diritti delle minoranze”. L’affluenza alla votazione non ha però permesso un quorum, e ciò, a livello costituzionale, sancisce la possibilità per il legislativo di Budapest di considerare tali risultati come non vincolanti, nonostante i voti abbiano comunque portato a una percentuale superiore del 95% contraria all’insegnamento di tali argomenti nelle scuole. Avendo però Fidesz la maggioranza dei seggi, ed essendo la legge già precedentemente approvata (si è trattato di un referendum confermativo), questa rimarrà molto probabilmente in vigore.


Con queste elezioni, Fidesz sancisce la sua terza vittoria consecutiva alle elezioni dell’Assemblea Nazionale, evento che Márton Gyöngyösi – vicepresidente di Jobbik e ora Europarlamentare – ha definito come “una buona notizia per Putin”, esprimendo inoltre preoccupazione per la ormai precaria continuazione del sostegno all’Ungheria da parte degli altri paesi membri del Gruppo Visegrád, i quali non hanno apprezzato la decisione di Orbán di rimanere neutrale di fronte alla guerra in Ucraina. La decisione di neutralità ungherese sembra però non essere totalmente in linea con l’opinione pubblica, in quanto lo stesso Republikon Institute, chiedendo agli intervistati nel sondaggio sulle preferenze di voto se l’Ungheria dovesse aiutare l’Ucraina nonostante il rischio di ripercussioni economiche negative, ha riscontrato come il 33% degli ungheresi pensa che aiutare gli ucraini sia un dovere imprescindibile, insieme a un 30% che condivide l’idea in maniera più tiepida; nella ricerca, solo l’8% degli intervistati è in totale disaccordo con tale idea. Secondo Gyöngyösi, l’Ungheria rischia di diventare “un’autocrazia sempre più asservita alla Russia”. La posizione presa dal governo ungherese può essere legata al rapporto a livello energetico che questo paese ha con la Russia: soprattutto dopo l’attivazione del gasdotto Turkstream, l’Ungheria ha notevolmente aumentato la sua dipendenza dal gas naturale russo, ed è emblematico il fatto che Mosca abbia deciso invece di sospendere l’apporto energetico alla Polonia, storica alleata ungherese e anch’essa Paese Visegrád, ma con la sostanziale differenza di una politica estera apertamente antirussa.


Come riportato dalla stampa italiana ed estera, Orbán ha definito tale vittoria come la più importante dal 2010, affermando di aver ottenuto insieme alla coalizione che lo appoggia: “Una vittoria così grande che si può vedere anche dalla luna. Di sicuro anche da Bruxelles”. Tali parole arrivano dopo un periodo in cui il premier ungherese e Fidesz hanno sviluppato una deriva sempre più illiberale, la quale ha portato ad una inevitabile situazione di rottura dei rapporti con l’Unione Europea. Secondo Orbán, infatti, l’Ungheria sta portando avanti un processo di sviluppo sociale e politico che mostrerebbe ad un’Europa dalle radici cristiane la giusta direzione da prendere: una visione espressamente conservatrice, caratterizzata da un orgoglio nazionalistico e dalla totale fedeltà alla patria. In Ungheria, tale conversione a una democrazia illiberale si è sviluppata nel tempo con l’inserimento nella Costituzione dei concetti di Dio e cristianesimo come valori fondanti del Paese, nella quasi totale limitazione dell’aborto e nel matrimonio come unico riconoscimento della famiglia, oltre ad attacchi civili e sociali come un’attività di revisionismo nei confronti dell’olocausto e l’impedimento per le persone transgender al diritto di cambio del proprio nome sui documenti d’identità.


Fidesz: percorso ungherese verso una democrazia illiberale?


Nato nel 1988 con la missione di diffondere politiche liberali contrarie al regime comunista del tempo, Fidesz (Unione Civica Ungherese) è un partito conservatore cristiano che ha visto il consolidamento della sua ascesa nel 2010, quando riuscì a battere alle elezioni un partito socialista ormai allo stremo e accusato di aver alterato lo stato dei conti ungheresi, andando quindi a mettere in serio pericolo il Paese dal punto di vista economico. La politica del partito dell’attuale Primo Ministro vede una strategia basata sul populismo e il nazionalismo, che offre alla popolazione una retorica antimodernista e molto scettica sulla visione europeista. Agli albori della sua fondazione, l’Unione Civica Ungherese vedeva la sua base elettorale caratterizzata prettamente da intellettuali delle aree rubane, ma già agli inizi degli anni ’90 il partito è riuscito ad ampliarsi in più classi sociali. Oggi, Fidesz vede un supporto più solido nelle aree rurali rispetto alle città, e il suo elettore medio può essere descritto come di mezza età, proveniente da una classe media e con valori definibili di destra. Inoltre, l’Unione ha subìto un ribaltamento della sua base elettorale, in quanto la sua popolarità è cresciuta soprattutto tra gli elettori con un livello di istruzione più basso rispetto al passato.


Rispetto all’Unione Europea, la visione di Fidesz si pone su una retorica polemica: il partito ritiene infatti l’UE come dominata da massivi livelli di burocrazia e tecnicismo, e da uno spirito laico e secolare che va inevitabilmente a scontrarsi con i frequenti richiami conservatori del partito. Inoltre, Fidesz ha col tempo sviluppato una notevole intolleranza verso le politiche di austerità imposta dalla Commissione Europea, in quanto queste collidono con il neoliberismo estremo su cui si è sviluppata la società ungherese. E proprio in un tale contesto si inserisce Viktor Orbán, presentandosi come uomo forte in grado di tutelare gli interessi nazionali e resistere all’arroganza di UE, banche, multinazionali e al liberalismo.
Le passate elezioni possono quindi far nascere degli interrogativi riguardo il futuro dell’Ungheria: ci si potrebbe chiedere se l’ennesima vittoria di Orbán stia consolidando una democrazia illiberale a lungo termine, e, allo stesso tempo, se la posizione dell’attuale governo riguardo la guerra in Ucraina e i rapporti con la Russia potrebbe andare a minare la politica estera ungherese con gli altri Paesi centro europei; tra alcuni anni, potremo ancora parlare di Gruppo Visegrád?

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