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TematicheItalia ed EuropaLa violenza sessuale come arma di conflitto-II parte

La violenza sessuale come arma di conflitto-II parte

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Ripartire da qui in avanti con nuova consapevolezza 

Il Consiglio di Sicurezza auspica che con l’approvazione della Risoluzione 2647(2019) avvengano dei cambiamenti significativi, volti alla risoluzione della violenza sessuale di genere, come strumento nel corso dei conflitti armati e nelle situazioni post belliche.

Per fare ciò, occorre innanzitutto un ripensamento che coinvolga vari attori: è necessario un attento lavoro all’interno delle varie comunità, così da comprendere cosa gli appartenenti alla stessa, nei loro vari ruoli (individuali, familiari, di capi religiosi o politici, le forze armate o giudiziarie) intendano per violenza, sia perché questa sia così radicata da essere considerata normale, a prescindere dalle latitudini geografiche e dal substrato ideologico, culturale e sociale di riferimento. Gli enti detentori del potere ai vari livelli, devono farsi promotori di un cambiamento culturale, attuando impegni specifici e con cadenze prefissate, concorrendo così a debellare ogni atto possibile di violenza sessuale.  

Il Consiglio di Sicurezza, nel corso di approvazione della Risoluzione 2647 propone alcune misure, quali: l’emissione di ordini chiari attraverso le catene di comando; l’elaborazione di codici di condotta che vietino in maniera chiara e ferma la violenza sessuale; la definizione delle relative procedure di esecuzione per garantire la responsabilità in caso di violazione di tali ordini, gli impegni dei singoli comandanti, le indagini su tutte le accuse credibili, anche sulla base delle informazioni comunicate dagli organismi ONU competenti e la punibilità dei responsabili; il libero accesso al monitoraggio e alla fornitura di servizi e all’assistenza umanitaria nelle zone sotto il loro controllo.  

Parimenti, alcuni sforzi già intrapresi da vari organismi ONU, tra cui, oltre al Segretario Generale, il Rappresentante Speciale sulla Violenza Sessuale nei Conflitti, il Gruppo di Esperti sullo Stato di Diritto e la Violenza Sessuale nei Conflitti, le Consulenti per la Protezione delle Donne e altri, possono risultare di grande utilità al fine di stabilire impegni a tempo determinato e piani di attuazione che coinvolgano tutte le parti in conflitto per prevenire e/o affrontare gli atti e le forme di violenza sessuale in situazioni di conflitto e post-conflitto 

Tuttavia, non basta!  

Le azioni da intraprendere prevedono infatti oltre a vari stakeholders anche differenti piani d’azione, come l’istituzione di punti di riferimento ad alto livello, in ambito civile, militare e di polizia impegnati nel debellare la violenza sessuale nel corso dei conflitti armati. Serve poi una sinergia tra vari attori: il Consiglio di Sicurezza chiede al Segretario Generale di evidenziare nel suo report annuale sulle violenze sessuali nei conflitti armati gli sforzi attuati dai singoli Stati membri, e chiede al Rappresentante Speciale del Segretario Generale sulla Violenza Sessuale nei Conflitti di tenere aggiornato il Consiglio stesso in merito al progresso degli impegni intrapresi dagli Stati. Le autorità nazionali a loro volta sono chiamate ad implementare e rafforzare la propria legislazione nazionale, rendendo maggiormente efficienti sia le indagini interne che i sistemi giudiziari statali e garantendo la processabilità e condanna dei responsabili (ad esempio il Gruppo di Esperti in Materia di Stato di Diritto e Violenza Sessuale, istituito ai sensi della risoluzione 1888, potrebbe sostenere efficacemente le autorità nazionali nei loro sforzi al riguardo). Inoltre, gli Stati membri devono rafforzare l’accesso alla giustizia per le vittime di violenza sessuale nei conflitti (reati considerati tra i più gravi, a livello internazionale, da parte della Corte Penale Internazionale). Vanno poi implementati alcuni strumenti quali: la protezione delle vittime e dei testimoni; l’assistenza legale per i sopravvissutil’istituzione di unità di polizia e tribunali specializzati per affrontare tali reati (esempi tristemente famosi dell’Ex Jugoslavia e del Ruanda); la semplificazione procedurale per le vittime, eliminando ostacoli quali termini di prescrizione restrittivi per la presentazione delle domande di risarcimentorequisiti che discriminano le vittime in qualità di testimoni e denuncianti, l’esclusione o il discredito delle testimonianze delle vittime da parte delle forze dell’ordine e nell’ambito dei procedimenti giudiziari e di altro tipo, e la mancanza di strutture per le udienze a porte chiuse.  

Per quanto riguarda poi le esigenze dei sopravvissutiquesti vanno aiutati tenendo conto di loro esigenze e problematiche prioritarie: ad esempio, la relazione intercorrente tra violenza sessuale nei conflitti armati e l’infezione da HIV, ormai riconosciuta e tutto ciò che ne consegue,  in termini di emarginazione e stigmatizzazione, è qualcosa di cui i leader comunitari devono farsi carico,  contribuendo anzi al loro reinserimento sociale ed economico e a quello dei loro bambini, ad esempio con l’istituzione di fondi appositi. Inoltre è necessario che gli Stati membri, con l’assistenza del Segretario Generale e dei pertinenti organismi delle Nazioni Unite, da un lato  istituiscano commissioni d’inchiesta per documentare ed investigare casi di violenza sessuale avvenuti durante o a fine conflitto, il tutto tenendo conto dei bisogni dei sopravvissuti, rispettandone la sicurezza e la riservatezza e organizzando nel corso di visite periodiche sul campo, incontri tra organizzazioni Onu esperte in materia e rappresentanti della società civile (come organizzazioni locali gestite da donne o giovani e che possano  farsi portavoce delle preoccupazioni ed esigenze delle donne nelle zone di conflitto armato) e poi assicurandone l’accesso ai servizi sanitari, psicosocialilegali, ad un alloggio sicuro, a mezzi di sussistenza, ai servizi per donne con bambini risultato di violenza sessuale durante un conflitto, così come uomini e ragazzi vittime di violenza sessuale nei conflitti: tenendo poi conto che gli atti di violenza sessuale, soprattutto di genere, nei conflitti possono far parte degli obiettivi strategici e ideologici di alcune parti nel conflitto armato, come gruppi armati non statali, o gruppi terroristici (Risol.2242 (2015).   

Al tempo stesso, gli obiettivi che gli Stati si sono prefissati di raggiungere va coadiuvato dal lavoro di gruppi di esperti in materia (il Gruppo Informale di Esperti, Pace e Sicurezza e l’UN Women), così come da consulenti per la protezione delle donne all’interno delle peacekeeping operations, che chiedano  l’attuazione delle disposizioni operative della risoluzione odierna e di quelle riguardanti la piena ed effettiva partecipazione e protezione di genere nei processi elettorali, nei programmi di disarmo, smobilitazione e reintegrazione,  le riforme del settore della sicurezza e della giustizia e più ampi processi di ricostruzione postconflitto. Nel frattempo però si continuano a registrar tanti episodi nei confronti della popolazione femminile durante i conflitti armati e ciò rende più urgente la promozione della parità di genere e l’emancipazione politica, sociale ed economica delle stesse,  la loro tutela da torture e trattamenti crudeli, inumani o degradanti, e l’eliminazione di pregiudizi e discriminazioni presenti nel tessuto cultural e sociale di riferimento. Infatti, se le donne sono imprescindibili per lo sviluppo delle proprie società, bisogna rovesciare, il concetto di violenza sessuale, addossandone l’unica e vera responsabilità nei confronti di chi la perpetra e non di chi la subisce. 

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